La mia India – Noi e i nostri politici

In by Simone

Tra i problemi più urgenti da risolvere in India c’è sicuramente quello della politica. Lo sostiene Annie Zaidi, riflettendo sul perché, a fronte di politici corrotti e criminali, la democrazia indiana si ostina a rivotare e rieleggere le stesse persone delle quali finge di lamentarsi.
Se dovessimo fare una lista dei problemi più urgenti in India mi sento tranquillamente di scommettere che la categoria “politici” sarebbe su quella di ciascuno di noi. Sarebbe addirittura in testa, probabilmente. È certamente sulla mia lista.

La corruzione è endemica. Tutti i noi soccombiamo ogni giorno sotto i suoi colpi in ogni sua possibile manifestazione. E mentre i politici e i burocrati non sono certo gli unici colpevoli, rimane comunque importante concentrarci sui nostri leader politici. Non solo perché l’India è rappresentata dalla sua politica, ma perché i politici riflettono le nostre aspirazioni. Sono la nostra immagine riflessa nello specchio, una faccia sfumata e irriconoscibile che eppure – inutile negarlo – rappresenta la maggioranza.

Questo il nodo cruciale: la rappresentazione. Questo il motivo per il quale si chiedono le dimissioni dei ministro quando qualcosa va davvero storto. Il ministro delle Ferrovie potrebbe avanzare le proprie dimissioni come a dire: “Sono responsabile e il fallimento del sistema è il mio fallimento”. Se la responsabilità fosse invece di altri, allora questi altri dovrebbero essere puniti al suo posto.

Se non puniamo i nostri politici in una maniera democratica, la nostra democrazia marcisce. Quando non riusciamo ad ottenere risposta circa il comportamento dei politici che agiscono contro i valori e le aspirazioni del proprio elettorato, allora stiamo costruendo una società deresponsabilizzata.

Se ci ostiniamo a farlo ormai da anni, allora non c’è dubbio, è quello che vogliamo anche per noi stessi: non vogliamo essere perseguiti per corruzione; non vogliamo assumerci le responsabilità del nostro lavoro; riconosciamo che noi stessi dividiamo di buon grado la società in caste e religioni, è un metodo che ci si addice. Noi stessi useremmo la violenza contro altri cittadini, considerando che possiamo farla franca, e per questo non ci lamentiamo davvero dei nostri politici: molti di noi sono colpevoli delle medesime opere ed omissioni.

Questa è soltanto una parte del motivo della mia soddisfazione nel sentire le parole di Sajjad Kichloo, ministro degli Interni dimissionario del Jammu e Kashmir a pochi giorni dalle violenze interreligiose di Kishtwar. Kichloo poteva anche non sentirsi responsabile per l’accaduto. In fin dei conti, le autorità si sono mosse immediatamente, imponendo un coprifuoco ed evitando la morte di centinaia di persone.

Nonostante ciò, sono piovute accuse di inadempienza e impreparazione contro la polizia. Così il ministro si è sobbarcato ogni responsabilità e il governo locale ha dato inizio ad un’indagine. Per questo Omar Abdullah, chief minister dello stato, ha ogni diritto di chiedere: “E per le violenze in Gujarat del 2002?”

In quell’occasione la gestione carente della situazione è stata evidente, se proprio non vogliamo parlare di pogrom. E per Bombay 1992? E nel 1993? Chi si è dimesso? Quanto ci è voluto perché qualcuno al potere si prendesse le proprie responsabilità?

Sicuramente qualcuno avrebbe dovuto dimettersi. Non dovrebbe un buon leader astenersi dal premiare o promuovere chi causa dei problemi? E chi ha causato dei problemi non dovrebbe non essere rieletto?

Se invece continuiamo a considerare questa tendenza come un buon modello di leadership, se continuiamo a eleggere queste persone, allora significa che stiamo votando ed eleggendo noi stessi. O almeno, la maggioranza di noi. Che l’immagine deformata allo specchio non sta solo portando la nostra maschera. Quella faccia è la nostra. Quell’anima è la nostra, e non è alla ricerca di giustizia.

Il che ci lascia con una domanda inquietante: se non cerchiamo giustizia, cosa stiamo cercando?

[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis]

*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine. Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.