La mia India – Il problema dei sacchi di juta

In by Simone

Lo scorso anno la produzione di cibo in India ha raggiunto i 250 milioni di tonnellate. Dovrebbe essere un motivo di gioia, ma i poveri ancora non riescono a reperire cibo nei punti di distribuzione del governo. Motivo? Mancano i sacchi di juta.
Non ne so molto del distretto di Latehar, in Jharkhand, né di cosa stia succedendo laggiù. Quando mi sono messa online per saperne di più, ho trovato una notizia sulla diminuzione di lupi nel santuario dei lupi di Latehar e un paio sulle violenze dei naxaliti. Per la precisione, un attentato a Inder Singh Namdhari, membro indipendente del Parlamento.

C’era anche una notizia su un villaggio chiamato Sarju – o Sarayu – che, da “covo” di maoisti, ora sembra sia sulla via dello sviluppo. Uno speciale programma di sviluppo è stato introdotto per incoraggiare dimostrazioni politiche, giustizia sociale e sicurezza. Le forze dell’ordine sono già state mandate in loco e si sta già parlando di educazione, acqua potabile, sanità, addirittura di costruire uno stadio.
Del cibo, però, non si parla molto.

Mi sono interessata al distretto di Latehar dopo aver sentito della protesta di Manika block, nella stessa zona, dove alcuni attivisti hanno chiesto che i granai del governo venissero aperti e che il cibo fosse distribuito agli affamati. Succedeva un paio di giorni dopo la festa dell’Indipendenza (15 agosto, ndt), quando il chief minister Arun Munda si esibì in un bel discorso sulla sicurezza alimentare.

Forse c’è motivo di preoccuparsi. Il sistema di distribuzione del cibo è molto importante in Jharkhand, Stato che non produce abbastanza cibo per soddisfare il fabbisogno e con un indice di povertà decisamente alto (povertà in senso ufficiale, cioè mancanza di alimentazione calorica) rispetto alla media del resto dell’India.

I “poveri”, nelle zone rurali, raggiungono quasi il 50 per cento. Inoltre, gli scienziati temono una riduzione del 40 per cento nella produzione di riso di quest’anno, dovuta al ritardo del monsone.

Il 40 per cento in meno è una cifra allarmante, non che le cose di solito vadano molto meglio. Un video dello scorso giugno, pubblicato su Videovolunteers da un inviato locale, raccontava che la popolazione non riceveva abbastanza cibo dai PDS shop (Public Distribution System shop, i negozi del governo dove si vendono generi di prima necessità a prezzi calmierati, specialmente riso e farina), sicuramente non riceveva la quota legale di 35 kg mensili.

Un funzionario locale, nel video, spiegava che circa cinque chili venivano trattenuti per ripagare il peso dei sacchi di juta.

Anche il giro d’affari dei sacchi di juta è abbastanza curioso. Pare che l’anno scorso la produzione di cibo in India sia salita fino a 250 milioni di tonnellate. Ciò dovrebbe essere motivo di gioia.

Ma nella località di Raisen, in Madhya Pradesh, i contadini protestavano – e la polizia apriva il fuoco contro di loro – perché lo stato non comprava il loro raccolto.

Contemporaneamente, il chief minister del Madhya Pradesh dava la colpa al governo centrale, minacciando di entrare in sciopero della fame. Motivo: mancanza di sacchi di juta.

Se mancano i sacchi, i contadini non possono trasportare il raccolto. Un problema simile si era presentato in Uttar Pradesh e, si legge sulla stampa, alcuni contadini in Punjab si sono suicidati, per questo motivo.

Dall’altra parte del Paese, in Bengala occidentale, i coltivatori di juta bruciano i loro campi, siccome il prezzo della juta è crollato. Ed è un fatto strano, considerando una domanda così alta e che India e Bangladesh sono i primi produttori di juta al mondo

Forse i contadini del Jharkhand dovrebbero iniziare a seminare juta, o un qualche sostituto organico. Lo stato vanta anche alti livelli di disoccupazione, nonostante il reddito pro capite sia in linea con la media indiana. 

Il che significa che ci sono molti altri poveri che disperatamente hanno bisogno di un lavoro e una manciata di persone con un sacco di soldi.

Il che mi fa pensare a Niyamat Ansari, attivista assassinato per aver aiutato a smascherare le operazioni fraudolente di chi doveva applicare proprio nel distretto di Latehar il NREGA (National Rural Employment Guarantee Act, legge che garantisce 100 giorni lavorativi all’anno con salario minimo ad ogni adulto residente in zone rurali del Paese, ndt).

Il che significa che dei funzionari locali si stavano fregando i nostri soldi creando dei documenti falsi, usando il nome di cittadini poveri e – letteralmente – affamati.

Mi piacerebbe sapere se questi funzionari siano ora in prigione. Spero lo siano.

*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine. Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.

[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis]