La Cina scossa dall’urto del rock

In by Simone

Alla fine dei suoi concerti spacca per terra la chitarra, con violenza. Ripetutamente, tanto che due giganti della sicurezza, spesso lo prendono e a calci in culo lo spediscono nel camerino. «Da ragazzino avevo amici che erano delinquenti, teppisti. Alcuni andavano a rubare pezzi da fabbriche e poi li rivendevano, facevano un botto di soldi. Una volta la polizia ne ha beccato due. Altri due erano riusciti a scappare e uno lo avevo fatto nascondere in casa mia. Una notte arriva la polizia e mi arresta. Avevo 14 anni e mi condannarono a sei mesi di domiciliari. Durante quel periodo ho imparato a suonare la chitarra, ho sentito i racconti degli amici che parlavano di rock, ho visto le foto e ho pensato fosse quello che faceva per me». Predisposizione, destino, feeling, coincidenze.

Rimane il fatto che si tratta di Xie Tian Xiao, rocker cinese, classe 1972. Ieri a Pechino un suo concerto ha infiammato il pubblico locale, pronto a pogare, cantare, urlare, alzare mani, improvvisare balli. Tian Xiao, niu bi letteralmente, figata, hanno scandito al termine di ogni canzone i ragazzi e le ragazze giunte all’happening. Hanno sprigionato, soprattutto, urla al cielo, in un clima da concerto cinese. Si fuma lontano dal palco, ci si scompone senza troppo casino, con cinesi giganti in uniforme a girare tra il pubblico per assicurarsi che tutto vada bene. Anche perché lo stage è nella cornice del villaggio olimpico, dietro il palco spunta imponente il Nido d’Uccello. E sul campo dove migliaia di fans si scatenano, tra qualche giorno sgambetteranno i campioni di Inter e Lazio, che giungeranno a Pechino per una insolita Supercoppa italiana in Cina.

Xie Tian Xiao regge l’urto dei fan e regala due ore di rock, a suo modo. Baffetti e pizzetto, magro, ma sguardo e parole decise. Un tipo determinato, arguto e serio. Il primo autore e cantante rock a ricevere un premio musicale elargito dal governo. «Non potevano proprio non darmelo», sorride. A settembre uscirà il suo nuovo album, nell’attesa degli appassionati, degli addetti ai lavori e di chi critica una sua presunta commercializzazione per fare il botto. A lui – che come Jimi Hendrix con quello statunitense, ha chiuso un concerto con la versione rock dell’inno cinese, «e lo rifarei», aggiunge – importa poco. La sua attuale posizione, del resto, non gliel’ha regalata nessuno: «se non ci fosse stato il rock magari finivo a fare il delinquente. Di certo non avrei lavorato». Quello che ha in testa invece è un’idea fissa: fare buona musica e cercare un’innovazione tutta cinese del movimento rock locale, da non confondere con la storia e le caratteristiche di quello occidentale. Sono due partite diverse.

A 18 anni Tian Xiao va via da Shandong, nell’est cinese e arriva a Pechino: «mi sembrava un mondo, non una città». Vive in un dormitorio e ferma per strada i capelloni e tutti quelli che ritiene possano essere interessati al rock. A farlo, ad amarlo. Trova gli amici giusti, conosce qualcuno dei suoi idoli, fonda un gruppo e in dieci anni diventa la nuova icona del rock cinese. Grunge, rock e una ricerca costante ad una via cinese del genere musicale, nel mezzo dell’esplosione di un fenomeno. «Negli anni novanta in Cina nacquero un sacco di etichette che volevano rock: qualsiasi cosa assomigliasse al rock veniva messa in pista. Chiaro che la qualità faticava a venire fuori, anche perché per la Cina era tutto nuovo». Impianti, tecniche, attrezzature. Il pioniere era stato Cui Jian il rocker cinese per eccellenza. Cui Jian si è ritagliato un posto nella storia della musica locale, proprio all’inizio del movimento, negli anni Ottanta. Insieme alle riforme, nasceva quel groviglio di chitarre, urla e strani personaggi a cantarne le strofe: dalle nostre parti si chiama rock and roll, in Cina si dice yáogǔn. Poi il proliferare dei gruppi, infine la stabilizzazione. Oggi è ancora epoca di sperimentazione, in un paese in cui per un concorso musicale nazionale si sono presentati 5 mila gruppi. Tanti, anche per una nazione di un miliardo e passa di persone, di cui due terzi vivono nelle campagne. Pechino negli anni novanta, non era come quella odierna, un fiorire di club e bar dove si suona dal vivo. «Un tempo si suonava solo negli stadi, erano delle adunate paurose, perché c’era un sacco di gente che voleva sentire il rock. Per quello che rappresentava, due ore di casino, non chissà per quale motivo».

E per i gruppi, anche i più giovani, era una grande occasione. Dopo Pechino e il primo album Xie Tian Xiao si trasferisce per un anno negli Stati Uniti. Annusa l’aria, conosce gente, suona dal vivo, ascolta musica e a un certo punto la domanda sorge spontanea: «cosa ci faccio qui, ho pensato, io devo tornare in Cina». E rieccolo a Pechino: gruppo tutto nuovo e secondo album, quello che lo consacra, 200 mila copie ufficiali vendute, centinaia di migliaia anche quelle pirata, tournee all’estero e anche in Italia, ma anche l’album che gli porterà addosso le prime critiche. Per l’uso del guzheng, la cosiddetta cetra cinese, un antico strumento tradizionale e per essersi affidato ad una etichetta commerciale, la Pilot Record: «cazzate, fare musica in Cina non è come farla in Europa o negli States. Fare musica in Cina significa non opporsi ciecamente al commerciale. Il rock non è conosciuto e l’unico modo è farlo arrivare a più gente possibile. Vendessi meno sarei più figo, dicono. Ma la musica, la mia, sarebbe la stessa. Alcuni che facevano rock, oggi fanno pop. Quelli andrebbero criticati, al massimo. Io continuo a fare rock».

E si torna a bomba, alla necessità di adattarsi alla peculiarità del mercato cinese, dove manca una storia, un movimento, dove gli anatemi politici contro gli stili di vita di alcuni protagonisti, spesso, non aiutano e dove, più di ogni altra cosa, la ricerca è quella di una via cinese al rock and roll. Un vantaggio, secondo Xie Tian Xiao: «Cui Jian ha detto che il rock in Cina non è la vita, ma un fenomeno. Concordo, perché il fenomeno è nuovo ed è ostacolato da informazioni sbagliate. Inoltre non bisogna confonderlo con quello occidentale, qui è diverso. Questo però permette una ricerca e una necessità di trovare forme espressive. Dove tutto è permesso forse si scade prima nella banalità, nella commercializzazione. Guarda gli Oasis. E’ rock quello? Venissero a suonare in Cina…»
I suo concerti sono belli tosti, lui stesso specifica che l’esibizione live costituisce l’apoteosi della sua musica. Apprezza Hendrix, Doors, Nirvana e Neil Young. Non va in televisione, non accetta inviti a stupidi programmi televisivi o scenette propagandistiche, ha in piedi una collaborazione con Jimmy Page per fare qualcosa insieme nel mondo occidentale e ha un consiglio per i tanti giovani che provano a sfondare, magari proprio come lui: «gli direi di pensare a fare la propria musica. Di avere solo quell’obiettivo». Parola di Xie Tian Xiao, il rocker cinese che ricorda ancora oggi un episodio dei suoi primi impatti pechinesi: «andai a sentire le registrazioni di un gruppo rock cinese. Erano miei idoli (erano gli Hei Bao, Pantera Nera, altra storica band cinese, ndr). Gli portai un regalo da Shandong, era un portacenere. Mi ricordo che neanche lo portarono via e ci rimasi malissimo». Oggi può raccontarlo sorridendo.

[Pubblicato su Il Manifesto il 5 agosto 2009]