Un occhio all’Irlanda del Nord e al summit del G8, un altro alle strategie globali da grande potenza: la Cina osserva il vertice nord irlandese, nel mezzo dello scandalo Prism che ha nuovamente sconvolto i rapporti tra Cina e Usa, ragionando sulla disputa commerciale con l’Europa e circa la vicenda siriana (concentrando l’attenzione sul faccia a faccia tra Obama e l’alleato Putin).
Mentre Xi Jinping, due settimane fa, discorreva in maniche di camicia con Obama nell’incontro «informale» (che si può dire abbia risolto molto poco circa i tanti contenziosi tra i due paesi), sulle pagine del Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito Comunista, un articolo a firma di Zhong Sheng – che tradotto dal mandarino significa «la voce della Cina» – non risparmiava scudisciate all’Europa, rea di aver imposto il protezionismo sui pannelli solari cinesi.
L’articolo non usava eufemismi e la sensazione che emergeva alla lettura, è si una Cina che ormai conosce il proprio peso mondiale: «i tempi cambiano ed il potere sale e scende. Eppure questo non ha cambiato i radicati atteggiamenti arroganti di certi europei». La Cina, in breve, ha molte carte da giocare, anche se «non vogliamo una guerra commerciale». Eppure la ripicca è arrivata subito.
Pechino, ventiquattro ore dopo i dazi punitivi europei sui pannelli solari, attraverso il suo ministero del commercio ha dichiarato che avrebbe lanciato un’indagine sulle importazioni di vino europeo. Troppe le lamentele dei produttori nazionali che accusano il Bordeaux, il Chianti e lo Champagne di sovvenzioni illegali da parte dei paesi produttori.
Stessa accusa dell’Europa alla Cina sui pannelli solari, stesso colpo basso perché va a colpire un settore chiave dell’Europa per l’entrata nel mercato che tutti vogliono, quello delle grandi e delle medie città cinesi. Gli affari infatti non sono pochi: secondo le stime dell’Unione europea la Francia è di gran lunga il più grande esportatore di vino verso la Cina: 546 milioni di euro dei 763 milioni di euro di vino europeo venduto l’anno scorso arriva dalle viti francesi.
Le vendite francesi sono cresciute sei volte tra il 2007 e il 2011, secondo IWSR, una società di consulenza. Nel 2012, la Spagna era al secondo posto con 89 milioni di euro, seguita dall’Italia con 77 milioni di euro. Belle cifre che rappresentano però una piccola parte degli oltre 433 miliardi di scambi commerciali.
Anche per questo, nonostante l’Europa stia negoziando con Obama per accordi economici che sembrano avere come principale destinatario, in negativo, la Cina, nei giorni scorsi si è tornati a trattare. Glyn Ford, un ex membro del Parlamento europeo, al China Daily ha spiegato che l’accordo tra Bruxelles e Washington non dovrebbe tagliare fuori la Cina, invitando le parti a riconsiderare un accordo.
I cinesi però, forti di avere un mercato che fa gola a tutti, vorrebbero imporre le loro condizioni, non solo sui dazi, ma anche sugli investimenti delle grandi aziende di stato sui mercati europei.
La situazione è di stallo e conferma ormai l’esistenza di equilibri nuovi. Come ad esempio l’asse russo cinese, confermato dalla prima visita di stato a Mosca effettuata da Xi Jinping. Oltre a importanti accordi per le risorse (che in questo caso hanno messo in una posizione più debole l’Europa, a livello contrattuale per il futuro) Cina e Russia sono allineati sulla Siria, come confermato dal diniego russo circa la no fly zone chiesta da Obama.
Al riguardo ancora la settimana scorsa la Cina aveva precisato la propria posizione: «il destino della Siria deve essere deciso, politicamente, dai siriani. La Cina si oppone ad ogni intervento militare e ogni atto che forzi ad un cambio di regime».
[Scritto per Il Manifesto]