La bolla immobiliare si sgonfia

In by Simone

Secondo gli ultimi dati, i prezzi immobiliari cinesi non crescono più o addirittura calano. Questo potrebbe consentire alle autorità economiche del Paese di rilassare la stretta sul credito che, necessaria per sgonfiare la bolla e più in generale per raffreddare l’inflazione, sta però strozzando le piccole imprese.
Il China Real Estate Index System riporta che i prezzi delle case a Shanghai e Guangzhou sono ora inferiori a quelli di inizio anno, mentre a livello nazionale, si registra un calo a ottobre dello 0,23 per cento rispetto a settembre, superiore quindi allo 0,03 per cento di un mese prima.
Secondo gli analisti di J.P. Morgan i prezzi potrebbero ridursi tra il 5 e il 10 per cento nei prossimi 12-18 mesi, raggiungendo addirittura cali del 20 per cento in alcune delle maggiori città.

Il boom incontrollato dei prezzi immobiliari, cioè l’impossibilità per molti cinesi di comprare casa, è da tempo un tarlo nel cervello del governo. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, dal 2000 i prezzi sono cresciuti almeno del 70 per cento a livello nazionale. In alcune città si è registrato un aumento del 10 per cento annuo; almeno del 3 per cento nelle metropoli di primo livello (Pechino, Chongqing, Shanghai, Tianjin e una quindicina di altre municipalità che uniscono alta densità di popolazione, Pil e redditi elevati).

Ad accelerare la bolla immobiliare ha contribuito senz’altro il pacchetto di stimoli che il governo varò nel 2009 per tenere a debita distanza la crisi finanziaria globale, generando un eccesso di “credito facile”. Quegli oltre 700 miliardi di dollari si riversarono soprattutto in costruzioni e infrastrutture per valutazioni di vario genere. Si prevedeva un processo di urbanizzazione senza fine e si riteneva necessario rinnovare il patrimonio architettonico del Paese.

Ma c’erano anche altri motivi: il mattone offre lavoro alla manodopera non specializzata che ancora abbonda in Cina, contribuendo così a garantire l’ordine sociale. Infine, traina altri settori: quello siderurgico, del  cemento, e certi segmenti del manifatturiero, come l’arredamento. Si calcola che circa il 25 per cento dell’economia cinese sia in qualche modo collegata alle costruzioni.

Un’altra caratteristica tipicamente cinese che ha favorito l’investimento immobiliare è il solido stato patrimoniale dei nuclei famigliari – in questo c’è qualche similitudine con la vocazione al risparmio delle famiglie italiane – che si traduce spesso nell’acquisto di case.

Tuttavia c’è anche l’aspetto speculativo, sottolineato soprattutto dai media occidentali (Forbes, Wall Street Journal): la bolla immobiliare cinese tende a gonfiarsi e a diventare cronica per la mancanza di alternative d’investimento. I nuovi ricchi non mettono soldi in borsa – “che è come un casinò”, commenta Forbes – e sono riluttanti a immobilizzare denaro in banca, visto che i tassi d’interesse non sono quasi mai più alti dell’inflazione. Così si sono buttati sul mattone.

Su un ambiente già favorevole all’investimento immobiliare si sono dunque innestati processi speculativi, gonfiando la bolla.
È proprio tenendo conto di questo doppio aspetto che è intervenuto il governo cinese: stop al credito facile e vincoli all’acquisto di nuove case.

Secondo un rapporto di Barclays Capital pubblicato martedì scorso “da aprile 2011, più di 40 città hanno introdotto restrizioni amministrative all’acquisto di case. A Pechino, per esempio, è stato stabilito che ogni famiglia residente potesse comprare solo un appartamento nuovo. I migranti che vivono a Pechino non possono comprare un appartamento se non forniscono le prove documentali di avere pagato le tasse e i contributi sociali per i precedenti cinque anni consecutivi. Nonostante la pressioni degli immobiliaristi e dei governi locali per la revoca delle restrizioni – dato che i prezzi hanno cominciato a scendere in tutto il Paese – il governo centrale ha chiarito che le norme resteranno in vigore e potrebbero essere estese alle città di secondo e terzo livello. A novembre 2011, la città di Zhuhai, nella provincia del Guangdong, si è aggiunta a quelle che hanno adottato restrizioni per l’acquisto (e per i prezzi) delle case. Questo porta a 47 il numero totale delle città che adottano tali politiche.”

È proprio in questa possibilità/capacità del tutto politica di intervenire in tempo reale che fa ritenere a molti analisti che gli effetti di questo “sboom” (o mini-sboom che dir si voglia) immobiliare cinese non avranno conseguenze catastrofiche come il “decennio perduto” del Giappone o la crisi dei mutui subprime negli Usa. Secondo Barclays, se la banca centrale Usa continuava ad abbassare i tassi d’interesse mentre i prezzi immobiliari stavano esplodendo, le autorità cinesi li hanno alzati, rendendo più difficile accendere prestiti per costruire e comprare case. Ma l’intervento politico rende anche il problema “politico”; e quindi “sensibile”.

I cinesi benestanti che hanno puntato sul mattone come opportunità speculativa si rendono conto che il loro investimento perde valore. Si prefigura una nuova ragione di attrito tra il governo e il blocco sociale che, arricchendosi nella sua ombra, l’ha finora sostenuto.
A ottobre – registra il Wall Street Journal – una quarantina di proprietari hanno protestato presso la sede del gruppo immobiliare Greenland di Shanghai. Ce l’avevano con la svalutazione delle proprie case – meno 28 per cento – e con la svendita a minor prezzo di appartamenti uguali ai loro da parte della società. “Ho comprato un appartamento a settembre e ho già perso più di 400mila yuan (oltre 46mila euro) – ha dichiarato una donna d’affari di circa 40 anni – sono i risparmi di una vita, come possono essere così spietati, questi immobiliaristi?”. Il ceto medio si indigna.

* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.