India – Vendetta maoista

In by Simone

Sabato scorso i maoisti del Chhattisgarh, in un’imboscata, hanno decapitato la leadership locale dell’Indian National Congress. 27 morti tra cui politici di rilievo e Mahendra Karma, fondatore del Salwa Judum, esercito anti-naxalita macchiatosi di crimini atroci contro la popolazione civile.
Era da anni che l’offensiva maoista indiana non attaccava così duramente l’establishment politico nazionale. E non sorprende che, tra i territori che i naxaliti controllano lungo il Corridoio Rosso (dall’Andhra Pradesh fino al Bengala Occidentale), il colpo mortale sia andato a segno in Chhattisgarh, teatro delle repressioni governative più atroci contro i tribali comunisti.

Nel pomeriggio di sabato centinaia di miliziani naxaliti (a seconda delle fonti si va da 150 a 600 uomini armati) hanno circondato il convoglio di 36 veicoli che trasportava i pezzi grossi della leadership locale dell’Indian National Congress (Inc), in tour pre campagna elettorale in vista delle elezioni di ottobre.

Il commando spara per oltre un’ora, lasciando sul campo 27 morti e una trentina di feriti, bilancio già statisticamente ingente senza considerare la caratura delle vittime dell’imboscata: ex ministri, presidenti del parlamento locale, deputati al governo federale, una mattanza che decapita la leadership dell’Inc in Chhattisgarh ed impone riflessioni complesse, profonde e dolorose.

L’obiettivo dichiarato del nucleo naxalita si chiamava Mahendra Karma, leader dell’Inc già scampato a quattro attentati negli ultimi anni. L’autopsia del suo corpo martoriato ha rivelato 75 ferite da accoltellamento, in aggiunta ai prioettili. Un accanimento particolare riservato al fondatore e comandante del Salwa Judum, l’esercito tribale filo-governativo formato per sradicare i maoisti dalle campagne del Chhattisgarh.

Mezzi leciti o meno, poco importa; il “terrorismo rosso”, individuato come principale minaccia alla stabilità del Paese dal primo ministro Manmohan Singh, dal 2005 si è combattuto – in Chhattisgarh come altrove lungo il Corridoio Rosso – in deroga sistematica alle leggi che imporrebbero, nella più grande democrazia del mondo, il rispetto dei diritti umani.

I tribali armati dallo Stato e lanciati allo sbaraglio tra le file del Salwa Judum – “caccia purificatrice”, nella lingua locale – si sono macchiati di crimini pari a quelli dei naxaliti che erano stati chiamati a contrastare. Un rapporto dell’Asian Center for Human Rights indica: “Le forze di sicurezza del Salwa Judum si sono rese responsabili di evidenti violazioni dei diritti umani e delle leggi umanitarie tra cui tortura, esecuzioni di massa e stupri[…]”.

La maggior parte dei miliziani, pagati poco più di duemila rupie al mese (nemmeno 30 euro), venivano presi dalle sacche di ignoranza e povertà dell’adolescenza rurale, programmati per uccidere coetanei e parenti arruolati nella guerriglia maoista.

Nel 2011 la Corte suprema indiana ha messo al bando il Salwa Judum, mentre le famiglie vittime delle angherie governative – in sei anni di attività omicidi e stupri si contano a centinaia – non hanno nemmeno diritto ad un risarcimento. Lo Stato paga solo se i cattivi sono i naxaliti.

A due giorni dalla strage del distretto di Bastar, in India il dibattito è stagnante. “Non ci piegheremo ai naxaliti” (premier Manmohan Singh); “E’ un attacco ai principi democratici del Paese” (Rahul Gandhi, probabile candidato premier per l’Inc); “Tolleranza zero contro i naxaliti” (Narendra Modi, probabile candidato premier per i conservatori del Bharatiya Janata Party).

Da destra a sinistra, tutti d’accordo con azioni repressive, mentre sui social network si invoca l’intervento dell’esercito e dei droni, come gli Usa nel vicino Pakistan.

La questione naxalita affonda però le radici in problemi strutturali che Delhi, sin dalla nascita del movimento dal villaggio bengalese di Naxalbari negli anni ’60, non ha saputo affrontare.

Corruzione dilagante, polizia e burocrazia onnipotenti, espropri forzati e riconversione dei campi in zone industriali, discriminazione razziale: battaglie che i maoisti hanno abbracciato guadagnando un seguito imponente nelle zone rurali, sostituendosi spesso all’apparato statale nelle faccende di ordinaria amministrazione come distribuzione del cibo, creazione di posti di lavoro, manutenzione delle infrastrutture.

Al vuoto istituzionale lo Stato ha contrapposto una militarizzazione del territorio, innescando di fatto una guerra civile tra tribali. Un conflitto che, senza una vera trattativa tra le parti, non potrà che continuare a mietere due tipi di vittime: gli illustri e i politici, immediatamente martirizzati dimenticando un passato scomodo; e i “collaterali”, carne da macello tribale buona nemmeno per i titoli dei giornali.

[Pubblicato in versione ridotta su Il Manifesto; foto credit: indiatoday.intoday.in]