UPDATE – India – Le confessioni di Abu Jundal

In by Simone

L’arresto del terrorista Ansari, alias Abu Jundal, rilancia la questione del terrorismo islamico in India e del coinvolgimento dei servizi segreti pakistani nell’attentato a Mumbai del 2008. Le confessioni di Ansari portano nuove prove schiaccianti che potrebbero inchiodare il Pakistan alle sue pesanti responsabilità. (UPDATED)
6 luglio 2012 – Update

Al termine dei due giorni di colloquio tra i segretari degli Esteri di India e Pakistan, le due parti hanno stilato la tradizionale dichiarazione congiunta in cui i Paesi si impegnano a lottare insieme la minaccia al terrorismo, sottolineando i progressi compiuti negli ultimi due giorni su questioni riguardanti i rapporti bilaterali.

Solo grazie alle domande dei giornalisti durante la conferenza stampa sono emersi i dettagli che tutti attendevano circa il caso Abu Jundal. Si è appreso che il governo indiano ha deciso infine di non condividere i dossier degli interrogatori di Abu Jundal con la parte pakistana, in attesa che Islamabad dimostri la propria sincerità con "azioni dure" nei confronti dei terroristi attualmente rinchiusi nelle carceri pakistane.

Il Pakistan, pur continuando a negare qualsiasi coinvolgimento di apparati statali nell’attentato del 26 novembre 2008 a Mumbai, ha offerto l’apertura di un’indagine interna a patto che i documenti e i contenuti delle confessioni di Abu Jundal siano condivisi.

4 luglio 2012 – La storia
Oggi è iniziato a Nuova Delhi il colloquio tra Ranjan Mathai e Jalil Abbas Jilani, rispettivamente i segretari degli Esteri di India e Pakistan. L’appuntamento, fissato da tempo, doveva svolgersi portando sul tavolo le questioni cicliche nei complicati rapporti tra i due Paesi confinanti – rilascio visti, tensione in Kashmir – ma la cattura di Sayed Zabiuddin Ansari alias Abu Jundal dello scorso 21 giugno ha completamente rivoluzionato l’agenda del meeting, riportando prepotentemente a galla la questione del terrorismo di matrice islamica in India ed il coinvolgimento del governo pakistano.

Chi è Abu Jundal

Sayed Zabiuddin Ansari è nato 30 anni fa nel distretto della città di Beed, 350 km ad est di Mumbai, zona abitata perlopiù da indiani di fede musulmana. La gente del posto lo ricorda come un ragazzino timido e tranquillo, studente mediocre. Ansari inizia a lavorare come elettricista finché, nel 2006, il suo nome viene scritto sulla lista degli indagati per un furto di armi ad Aurangabad: Ansari scompare nel nulla.

Con lo pseudonimo di Abu Jundal (ed un passaporto pakistano falso), nel 2008 aiutò a reclutare per conto della cellula terroristica Lashkar-e-Taiba i dieci componenti del commando che il 26 novembre 2008 attaccò il lussuoso hotel Taj di Mumbai. I terroristi uccisero 164 persone e ne ferirono più di 300.

Secondo i servizi segreti indiani, Ansari avrebbe impartito lezioni di hindi ai dieci terroristi, così da poter depistare le autorità indiane con la tesi di un complotto interno, e durante l’attacco li avrebbe guidati passo per passo in contatto telefonico satellitare da una cabina di controllo a Karachi, in Pakistan.

Ajmal Kasab, l’unico dei dieci catturato vivo dalle squadre speciali indiane – attualmente in carcere condannato alla pena di morte – ha confessato alle autorità che una persona chiamata Abu Jundal aveva insegnato al commando a parlare con accento hindi. In Pakistan si parla l’urdu, lingua molto simile all’hindi, ma che utilizza molti termini di derivazione persiana.

Braccato dalla intelligence indiana, ricercato anche dall’Interpol, Ansari è accusato di aver partecipato a diversi attentati terroristici avvenuti in India negli ultimi anni per conto degli Indian Mujahideen, braccio armato dello Student Islamic Movement of India, e di Lashkar-e-Taiba, cellula terroristica pakistana nata come movimento separatista del Kashmir.

Entrambe le organizzazioni, dal 2001, sono state dichiarate illegali e bandite da India, Pakistan, Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Europea, Russia ed Australia. Nei tre anni di latitanza Ansari si sarebbe nascosto in Bangladesh ed in Arabia Saudita.

Lo scorso 21 giugno Ansari è stato arrestato dalla polizia di Delhi all’aeroporto internazionale Indira Gandhi: era appena sceso da un volo proveniente dall’Arabia Saudita. Secondo le prime indiscrezioni, l’arresto sarebbe arrivato grazie all’estradizione concessa dalle autorità saudite dietro pressioni degli Stati Uniti, ricostruzione che il ministro degli Interni indiano P. Chidambaram si è rifiutato di commentare.

Le confessioni di Abu Jundal

Torchiato dalle autorità indiane, Ansari ha confessato di aver preso parte all’organizzazione dell’attentato del 26/11, di aver aiutato i membri del commando ad imparare l’accento locale del Maharashtra per sviare le indagini e, soprattutto, ha confermato la sua presenza nella cabina di controllo di Karachi.

Secondo le trascrizioni delle intercettazioni in possesso delle autorità indiane, uno dei coordinatori da Karachi, in forte accento maharati, durante la carneficina incitava i terroristi dicendo: “Ricordatevi che ogni persona che uccidete è come se ne aveste uccisi cinquanta”, “Questo è solo il trailer, ora inizia il film” e “Eliminate queste persone. Uccidetele!”.
Le registrazioni saranno ora incrociate col campione vocale di Ansari.

Ansari ha anche fatto i nomi di altre quattro persone presenti con lui nella cabina di controllo, tra cui figurano Sajid Mir, conosciuto anche come Said Majid, e Sameer Ali.

Nel 2010 David Headley, pakistano-americano condannato da una corte statunitense per aver aiutato i terroristi a selezionare gli obiettivi del 26/11, durante un interrogatorio concesso dagli Stati Uniti alla National Investigation Agency (Nia, una delle agenzie dei servizi segreti indiani) identificò Sajid Mir come l’uomo incaricato di gestire i reclutamenti internazionali per conto di Lashka-e-Taiba, mentre Sameer Ali, maggiore della Inter-Services Intelligence (Isi, i servizi segreti pakistani), lo avrebbe personalmente reclutato per l’attentato del 26/11.

Il nome di Sajid Mir è legato anche all’indagine di un cittadino francese, accusato di aver pianificato un attentato in Australia poco dopo l’undici settembre. Secondo Jean-Louis Brugiere, il giudice che si è occupato del caso, Mir sarebbe in realtà un ufficiale dell’esercito pakistano.

Il ministro degli Interni Chidambaram sostiene che per il Pakistan “non sia più possibile negare che nonostante l’attentato sia avvenuto a Mumbai, ci fosse una cabina di controllo in Pakistan prima e durante l’incidente. Senza il supporto dello Stato non sarebbe stato possibile stabilire una cabina di controllo”.

L’India chiede ora al Pakistan di ammettere il coinvolgimento dello Stato nell’attentato all’hotel Taj del 26 novembre 2008 e di cooperare attivamente nella cattura dei responsabili che, secondo Delhi, si troverebbero tuttora entro i confini pakistani.

La versione del Pakistan

Il 2 luglio un funzionario del Ministero degli Esteri pakistano ha dichiarato a The Express Tribune: “Le informazioni in nostro possesso indicano che almeno 40 cittadini indiani abbiano aiutato i terroristi. Vogliamo che l’India sia molto chiara su questo punto”.

Il segretario agli Esteri pakistano, Jalil Abbas Jilani, aveva reso pubblico l’intento di spingere l’India a condividere con la parte pakistana i progressi nelle indagini sul 26/11 e i dettagli delle confessioni di Ansari (in particolare gli estremi del finto passaporto pakistano intestato ad Abu Jundal). In quel caso, il Pakistan avrebbe portato avanti “azioni decisive”.

I diplomatici indiani, per ora, hanno respinto la richiesta, in attesa di un’ammissione di colpa ufficiale del Pakistan.

Alla vigilia dell’incontro, forse per intorbidire le acque e catalizzare l’attenzione lontano da una vicenda imbarazzante per il governo, Jilani aveva dichiarato di voler incontrare, a margine del meeting ufficiale di Delhi, gli esponenti dei movimenti separatisti kashmiri in India, sottolineando che senza un consenso sulla questione del Kashmir i rapporti tra i due Paesi erano destinati a rimanere in una situazione di stallo.

La provocazione è stata ignorata dalla quasi totalità dei media e dalla politica nazionale. L’India sa che il caso Abu Jundal rappresenta un’occasione imperdibile per inchiodare il Pakistan davanti alle sue pesanti responsabilità, ed ha deciso di agire con determinazione in sede diplomatica ed internazionale, forte delle prove che, per quanto emerso finora, questa volta sembrano davvero schiaccianti.

[Foto credit: ibnlive.in.com]