India, in Karnataka scontri sul divieto di hijiab in classe

In Asia Meridionale, Economia, Politica e Società by Redazione

Un istituto superiore dello stato del Karnataka è stato al centro di aspri scontri politici e ideologici a seguito della sua decisione di vietare l’ingresso nelle aule a chi indossa il velo islamico. Mentre i conflitti tra induisti e musulmani si inaspriscono sempre di più, l’Alta Corte del Karnataka ha deliberato sulla legittimità di  vietare il velo islamico. Lo scorso 15 marzo la Corte ha stabilito che l’hijab non è “essenziale” per l’Islam, in un caso storico che potrebbe avere implicazioni in tutto il paese. L’articolo è a cura dell’associazione studentesca SIR .

In India la religione è sempre stata un fattore cruciale della vita pubblica e privata, e l’induismo è tutt’ora una parte centrale dell’identità del popolo indiano. D’altra parte, i lunghi periodi di dominazione islamica su varie parti del paese hanno lasciato un’eredità importante e i musulmani indiani compongono oggi circa il 15% della popolazione. Quella che può essere considerata una pacifica coesistenza tra credi diversi ha però subito una battuta d’arresto durante gli scorsi anni. La RSS, organizzazione paramilitare della destra nazionalista indù, ha acquisito sempre maggior popolarità, e lo stesso presidente Modi si è presentato alle elezioni del 2019 con un’agenda politica incentrata sulla difesa dei valori indù e pervasa da una vena nazionalista. Gli eventi delle scorse settimane, di una gravità tale da giustificare l’intervento della Corte costituzionale del Karnataka, sono la prova della presenza di un’ostilità crescente tra i due maggiori gruppi religiosi indiani.

Il Karnataka, teatro delle recenti agitazioni, è uno stato dell’India sud-occidentale che conta più di 60 milioni di abitanti, dove migliaia di donne musulmane indossano l’hijab e il burka ogni giorno. La questione del velo islamico è emersa nei mesi scorsi in alcuni college dello stato, ma ha iniziato a prendere slancio solo a seguito delle manifestazioni di Udupi, che sono subito diventate virali. Infatti, in un istituto superiore del distretto di Udupi – una roccaforte del BJP di Modi – è stato adottato un regolamento scolastico che consente alle ragazze di indossare il velo negli ambienti esterni del campus, nel cortile e nel giardino, ma lo vieta in classe. La regola che vieta di indossare il velo islamico a scuola è stata poi adottata da altre scuole e collegi femminili, e come conseguenza di ciò diverse giovani musulmane sono state escluse dalle lezioni per non aver rinunciato all’hijab. Centinaia di studenti del college di Udupi hanno iniziato a protestare, mentre il ministro dell’istruzione del Karnataka si rifiuta di abolire il divieto, provocando ulteriori manifestazioni.

In seguito agli scontri, il governo del Karnataka ha vietato raduni e manifestazioni per due settimane, ed ha deciso di chiudere i college dello stato per tre giorni; inoltre, l’alta corte del Karnataka si è impegnata ad ascoltare due petizioni concernenti la decisione del governo locale. Nel frattempo, la popolazione diventa sempre più polarizzata: da un lato, gruppi di studenti indù hanno iniziato a presentarsi a scuola sfoggiando scialli giallo zafferano, indumento tradizionale del credo induista; dall’altro lato, la giovane Muskaan Khan ha assunto il ruolo di leader della resistenza musulmana, a seguito della diffusione di un video in cui la studentessa affrontava un gruppo di nazionalisti indù che gridavano “Jai Shri Ram” (vittoria a Lord Ram), gridando a sua volta “Allahu Akbar” (Dio è grande).

L’Alta Corte del Karnataka ha ascoltato le argomentazioni di entrambe le parti in causa. Da un lato, i sostenitori del divieto affermano che le disposizioni delle scuole in materia di divise e abbigliamento abbiano semplicemente lo scopo di mantenere un senso di laicità, disciplina e ordine pubblico nelle istituzioni educative. D’altra parte, si accusa il governo Modi, cresciuto tra le fila dell’RSS, di aver provocato un clima di forte ostilità nei confronti della comunità islamica. Gli oppositori del divieto, tra cui la premio Nobel Malala Yousufzai e la dirigente del Congresso Priyanka Gandhi, affermano che il divieto sarebbe un modo di ostacolare l’istruzione delle giovani musulmane che si inserirebbe nel più ampio quadro di una sistematica discriminazione della comunità musulmana indiana da parte degli induisti nazionalisti che sono a capo del paese. Il divieto sarebbe dunque stata una mossa politicamente motivata al fine di promuovere la propaganda nazionalista del BJP, che vede l’India come una nazione indù e che starebbe cercando di minare le sue fondamenta secolari a spese della sua comunità musulmana.

Il 15 marzo la corte ha finalmente espresso il proprio verdetto, dichiarando legittima l’ordinanza del governo del Karnataka di vietare l’hijab e affermando che non costituisce pratica religiosa essenziale dell’Islam. I giudici hanno infatti citato diversi passaggi del Corano, sostenendo poi che ci sia abbastanza materiale nei libri sacri islamici per supportare l’idea che l’hijab sia solo una raccomandazione e non un obbligo. La corte ha dunque ritenuto lecito non consentire alle ragazze musulmane di indossare il velo in classe, anche perché questo ostacolerebbe la loro emancipazione e andrebbe contro lo spirito del secolarismo. La comunità musulmana riferisce di sentirsi non solo delusa dal verdetto, ma anche tradita dal proprio paese; molte ragazze musulmane hanno inoltre deciso di rifiutarsi di presentarsi in classe senza hijab. Al contrario, i sostenitori del divieto si ritengono soddisfatti del verdetto, convinti che la sentenza possa essere utile per creare una “mentalità nazionalista” tra i giovani.

Il caso ha portato a un’ulteriore polarizzazione delle diverse comunità indiane, con diversi critici che interpretano la vicenda come l’ennesima prova della volontà di emarginare i musulmani da parte del governo nazionalista di Modi.

di Laura Corti*

*membro di SIR, associazione studentesca dell’Università degli Studi di Milano