India – Il Paese che verrà

In by Simone

Come sarà questa nuova India dell’era Modi? L’abbiamo chiesto a Khaliq Parkar, giovane politologo formatosi alla prestigiosa Jawaharlal Nehru University di New Delhi. Un’analisi a tutto tondo della cosiddetta Modi Wave, dalla campagna elettorale alle preoccupazioni per un futuro minaccioso.
La mattina dei risultati elettorali mi è tornata alla mente una frase di Amartya Sen, “l’illusione di un’unica e inevitabile identità”. Durante la campagna elettorale, il processo del voto e, infine, l’elezione del nuovo governo, in un momento di introspezione avevo deciso di identificarmi come un politologo in erba, cittadino di una larga e frammentaria democrazia e in ultimo – non senza una fastidiosa rassegnazione – un individuo “inevitabilmente” etichettato come musulmano. Mentre i numeri dei seggi giravano sugli schermi, indicando l’avvento di uno governo stabile e monopartitico senza alcuna opposizione all’orizzonte, queste identità determinavano la mia reazione.

Più tardi, il presidente del Bharatiya Janata Party (Bjp) Rajnath Singh parlava alla folla radunatasi di fronte al quartier generale del partito a New Delhi. Dal suo breve discorso spiccavano due frasi distinte: primo, l’imponente vittoria indicava che tutti volevano e hanno sostenuto Narendra Modi e il Bjp, senza distinzioni di comunità religiosa, classe, casta; secondo, Singh ammoniva la folla, chiarendo che – pur nell’esuberanza dei festeggiamenti – nessuno doveva lasciarsi andare a commenti dispregiativi nei confronti di particolari comunità religiose o castali.

Questo discorso esemplifica le intenzioni di posizionamento del Bjp all’alba del nuovo governo. La cifra esorbitante di 282 seggi per la destra hindu contro i miseri 44 raccolti dall’Indian National Congress (Inc) sono la prova di un vero e proprio mandato: ogni passo che il nuovo governo compirà avrà il benestare del popolo.

Il nuovo governo potrà vantare una legittimità plebiscitaria per qualsiasi iniziativa, sia preferire lo sviluppo alla difesa dell’ambiente o varare norme ancor più stringenti nei confronti delle alternative sessuali. Qualsiasi critica avanzata contro una proposta di legge o una presa di posizione del governo sarà demolita da una semplice risposta: è la gente che lo vuole.

Rajnath Singh, inoltre, ha aggiunto che il paese ha dimostrato di voler “spazzare via il Congress dalla mappa politica”. Ciò permette al Bjp di utilizzare la stessa logica per invalidare la posizione dell’Inc come mera opposizione di facciata: perché dovremmo stare a sentire un’opposizione così debole, avendo la prova che il popolo ci vuole al potere?

Ma perché dire alla folla in festa di moderare i termini? Apparentemente, per mantenere quell’atmosfera bigotta utile ad evitare incidenti di massa e violenze. Ma, sul lungo termine, questa sarà la base della strategia politica del Bjp, che ora non ha più bisogno di mostrare il suo volto anti comunitario per sedersi al tavolo della politica.

Qualsiasi esternazione controversa o settaria farà estrarre il cartellino giallo alle schiere di “difensori della democrazia”, i progressisti e i simpatizzanti di sinistra, sempre pronti al “ve l’avevamo detto”. Se prima delle elezioni l’influenza e la forza del Bjp erano rappresentate dalla spinta verso lo sviluppo e dalla leadership di Narendra Modi, con la formazione del governo si andrà verso la proiezione di un nuovo avatar di “unione nazionale”, forte della legittimazione popolare.

Non appena il braccio destro di Narendra Modi, Amit Shah, ha guadagnato il centro del palco, la folla è esplosa esultante, cercando di stringergli la mano, donargli ghirlande di fiori, prostrarsi ai suoi piedi in cerca della sua benedizione. Essere testimoni oculari di questa adorazione per un leader politico tra i più anti comunitari nel panorama indiano, denunciato per una serie di omicidi extra giudiziari, recentemente accusato di aver orchestrato gli attacchi contro le minoranze musulmane in Uttar Pradesh, è stata un’esperienza dolorosa.

Essendo stato un giovane studente cresciuto durante i pogrom anti musulmani dei primi anni Novanta a Bombay e nel 2002 in Gujarat, un personaggio come Amit Shah rappresenta il fallimento dello Stato indiano e della nostra società: ora può vantare il sostegno del governo e il rispetto dei miei concittadini.

Al quartier generale del Bjp avevano approntato, prima ancora dei risultati definitivi, un gigantesco poster con scritto a caratteri cubitali “Thank You”: sotto la scritta, una figura di Modi piegata in segno di ringraziamento a mani giunte prometteva l’avvento di una Shreshtha Bharat (un’India nobile ed eccellente). La sicurezza ostentata dal Bjp è stata una caratteristica evidente lungo tutta la campagna elettorale. Molti di noi accademici e membri della società civile eravamo molto diffidenti di fronte ai proclami di una vittoria schiacciante del Bjp: confidavamo nel voto rurale, considerando le campagne pro Modi condotte online come la prova di un supporto esclusivamente proveniente dalla upper middle class; condividevamo sui social media foto di comizi semi desertici di Narendra Modi screditando il mantra della “Modi Wave”; credevamo che in altri stati relativamente più secolari come il Bihar e l’Uttar Pradesh avrebbero consolidato il voto in chiave anti Modi di minoranze significative, musulmani e caste basse.

Alcuni di noi prevedevano addirittura che una nuova formazione politica – l’Aam Aadmi Party – avrebbe offerto agli elettori un’alternativa reale, dando sollievo a un paese corrotto, con una crescita sotto le aspettative durante il mandato del Congress, soccorrendolo dalla minaccia anti comunitaria e polarizzante del Bjp. E occorre dare credito al sostegno che molti studenti membri di organizzazioni universitarie di sinistra hanno fornito alla campagna elettorale di questa terza opzione, in particolare nella circoscrizione di Varanasi, dove Arvind Kejriwal ha sfidato in uno scontro diretto Modi, perdendo con un enorme margine di 370mila voti. Per la prima volta in almeno trent’anni l’elettorato ha avuto l’opportunità di uscire dalla dicotomia Congress-Bjp e rispettive alleanze.

Alla fine della conta dei voti, il Bjp si è aggiudicato 282 seggi col 31 per cento delle preferenze, l’Inc si è fermato a 44 seggi col 19,3 per cento e Aap ha totalizzato solo quattro seggi, 2 per cento dei consensi totali. Tra gli altri “grandi” vincitori ci sono l’Aiadmk in Tamil Nadu (37 seggi col 3,3 per cento), il Trinamool Congress nel Bengala Occidentale, che ha trionfato sia sul Bjp sia sull’Inc con 34 seggi e il 3,8 per cento, e il Biju Janta Dal in Orissa, 20 seggi con l’1,7 per cento.
Da questa suddivisione del voto emergono alcune implicazioni.

Congress e Bjp, insieme, hanno totalizzato il 50 per cento dei voti, distribuendo l’altra metà tra oltre 1500 partiti politici e candidati indipendenti. Questo ha portato a una serie di speculazioni che variano dal sostegno compatto offerto al Bjp dalla comunità musulmana fino alla frammentazione del voto islamico, andato a rinforzare una vasta gamma di partiti minori.
Questa particolare distribuzione del voto e la capacità dei candidati di raccogliere non più del 30 per cento delle preferenze ha rilanciato il vecchio dibattito tra sistema maggioritario e proporzionale. Sarebbe ingenuo presumere che gli elettori o i partiti non avessero ben chiaro, anche nelle elezioni passate, che una coalizione con una percentuale di consensi relativamente esigua avrebbe potuto comunque procedere alla formazione di un governo con una solida maggioranza parlamentare.

Se vincere con pochi voti è chiaramente possibile, allora partiti come Aap hanno fallito nel giocare secondo le regole, incapaci di applicare una strategia vincente e mobilitarsi in maniera efficace attraverso un posizionamento ideologico o ricorrendo agli stratagemmi della realpolitik. È diventata invece una scappatoia dare la colpa al voto delle masse ignoranti, irrazionali, polarizzate: gente che non merita più la fiducia generale.

Mentre da un lato l’India avrà un governo forte, stabile e monopartitico per i prossimi cinque anni, all’orizzonte non si vede nulla che somigli a una qualsivoglia opposizione. Se l’assetto bicamerale permette alla Camera alta di controllare l’operato della Camera bassa, la Storia ci insegna che la possibilità di un’opposizione unificata formata da Congress, Trinamool e Aiadmk è altamente improbabile. E pure se si unissero anche solo per un’opposizione di facciata, sarebbero comunque un contropotere di minoranza, vantando un consenso minimo se non nullo.

In definitiva, come è riuscita l’impresa elettorale del Bjp? Assicurandosi che il gioco si svolgesse sempre in casa, imponendo la propria agenda nel dibattito elettorale.

Prima di tutto, hanno stravolto il vocabolario delle elezioni, trasformando un voto per le elezioni parlamentari della più vasta democrazia rappresentativa e multipartitica del mondo nel referendum della nomina diretta a primo ministro: condizione che, in India, non ha alcuna base costituzionale.
Imponendo il pugno di ferro di Narendra Modi come candidato premier contro il politicamente immaturo Rahul Gandhi e il riservato Manmohan Singh, il Bjp ha mostrato al popolo il suo Messia.

In seguito, il Bjp è riuscito a dirottare verso il proprio elettorato – soffiandolo ad Aap – il tema dell’anticorruzione, spingendosi fino a screditare l’ex movimento anticorruzione portando come esempio il fallimento del governo locale di Delhi (durato solamente 49 giorni), manifestazione plastica dell’inaffidabilità di Arvind Kejriwal.

Il Bjp ha poi buttato nell’agone politico l’inflazionato termine “sviluppo”, giocando sul mito del successo del Modello Gujarat (altrove ampiamente criticato) applicato da Modi in Gujarat ed estendibile al resto del paese. Se la campagna elettorale della destra nel 1998, con lo slogan “India Shining” si è rivelata un fallimento, il “Gujarat Shining” del 2014 ha rappresentato la pietra miliare del successo del Bjp.

Infine, negli ultimi sei mesi precedenti al voto, Modi ha adottato la tecnica del silenzio ogni qual volta veniva portato in superficie il tema dei pogrom anti musulmani in Gujarat del 2002: Modi si è sempre rifiutato di ammettere lo sfondo religioso delle violenze, semplicemente dicendo ai vari intervistatori che si trattava di questioni del passato, che ne aveva già ampiamente parlato, rimanendo in silenzio davanti a ogni ulteriore insistenza nel merito.

Il rifiuto sistematico di ogni critica o di rispondere a qualsiasi domanda scomoda è stata una strategia vincente per Modi, riuscendo a non farsi trascinare dai media in campi dove non si trovava a proprio agio. I programmi circa il futuro di questo paese sono stati determinati esclusivamente da quanto il Bjp ha dato in pasto ai media e al pubblico: il manifesto politico, rilasciato a votazioni già iniziate, è la testimonianza di questa sicurezza ostentata.

Come sarà composta la nuova camera bassa del parlamento dopo queste elezioni? Prima di tutto, ci sarà la consueta mancanza di rappresentazione di alcuni gruppi: sono state elette solo 61 deputate, due meno rispetto alle elezioni passate; tra gli eletti del Bjp non c’è neanche un musulmano, nemmeno dalle circoscrizioni con una concentrazione di musulmani relativamente maggiore.

Secondariamente, la mancanza di una vera opposizione in parlamento andrà a diminuire la qualità del processo legislativo. Le proposte di legge passeranno facilmente e staremo a vedere come e se l’opposizione sarà in grado di sollevare dubbi e critiche costruttive all’interno del parlamento.

Infine, un’alta percentuale di deputati ha attualmente aperti processi a proprio carico: il 34 per cento è accusato di crimini che vanno da corruzione, molestie sessuali, istigazione all’odio, omicidio. 98 dei 282 seggi occupati da candidati del Bjp hanno conti in sospeso con la legge. In altre parole, non è cambiato nulla rispetto alle elezioni precedenti.

Riprendendo lo schema iniziale, come si può confrontarsi col nuovo governo partendo da un’identità molteplice? Siamo preoccupati per cosa questo nuovo governo possa significare per le minoranze. Non solo religiose, ma anche per le caste basse, che non compaiono in alcuna promessa programmatica avanzata dal Bjp; per le minoranze sessuali, che subiranno azioni repressive (il Bjp ha già dichiarato l’obiettivo di far passare leggi più severe contro l’omosessualità); per le popolazioni tribali, vittime delle attività minerarie e industriali durante i governi precedenti, con una nuova agenda improntata sullo sviluppo che si annuncia ancora più omnicomprensiva.

Siamo preoccupati per l’indipendenza delle istituzioni come la burocrazia e le forze dell’ordine. Siamo preoccupati per i nuovi testi scolastici, con capitoli di storia riscritti dalla nuova maggioranza, e per una politica estera che si baserà su una retorica anti pakistana. Siamo preoccupati che nonostante tutte le critiche mosse contro il Congress, il Bjp continuerà la medesima disordinata operazione di liberalizzazione, senza includere negli obiettivi di sviluppo le istanze degli ultimi tra gli ultimi.

Non crediamo che il Bjp e il resto dei gruppi aderenti all’ideologia dell’Hindutva orchestreranno violenze intercomunitarie, ma temiamo che la persecuzione e la soppressione delle minoranze prenderanno forme decisamente più insidiose.
Ma ciò che ci preoccupa di più è che questo governo e il Bjp continueranno a sovvertire il dibattito sulle reali urgenze di questo paese, ignorando le critiche e affibiando nomignoli infamanti ai propri detrattori.

La speranza è che questo governo forte con una maggioranza stabile non possa più avere scuse e porti avanti quelle riforme di cui l’India ha bisogno, proteggendo e sostenendo coloro che, fino a questo momento, ha sistematicamente escluso dai propri progetti di sviluppo.

[Foto credit: newindianexpress.com]

*Khaliq Parkar è stato assistente alla cattedra di Scienze Politiche del St. Xavier’s College di Mumbai. Attualmente è ricercatore presso il Center for Political Studies della Jawaharlal Nehru University, New Delhi.