India – I matrimoni interreligiosi (ieri, oggi e domani)

In by Simone

I matrimoni interreligiosi in India sono tutelati e regolamentati da una legge del 1954. Il codice, però, presenta una serie di problemi e mette a repentaglio l’incolumità dei coniugi, poiché sposarsi tra religioni diverse è ancora oggi largamente un tabù e oggetto di attacchi estremisti. Un po’ di storia e alcune testimonianze di coraggiosi coniugi interreligiosi.
La campagna condotta dalla destra hindu contro il presunto complotto della Love Jihad ha richiamato l’attenzione su di una questione lasciata sostanzialmente irrisolta sin dagli albori della Repubblica Indiana, per affrontare la quale sono necessari oggi più che mai grande coraggio, grande determinazione e soprattutto un ancor più grande amore: i matrimoni interreligiosi.

Ben prima che nel settembre 2013 scoppiassero i disordini di Muzaffarnagar, in Uttar Pradesh, la cosiddetta Sangh Parivar  (l’unione dei partiti e organizzazioni fondamentaliste hindu) aveva cominciato a utilizzare l’argomento della Love Jihad a fini elettorali: la questione era stata poi ulteriormente discussa nel congresso del Bjp locale e sebbene alcuni delegati del partito avessero espresso delle riserve in proposito, la maggioranza aveva finito per approvare entusiasticamente la strategia in vista delle elezioni supplitive che si terranno nello Stato il prossimo 13 Settembre.

Per l’occasione, a capo della campagna elettorale era stato nominato Yogi Adityanath, incendiario parlamentare Bjp già noto per aver incitato i suoi seguaci, durante un comizio del 2009, a "convertire all’Induismo cento ragazze musulmane per ogni donna hindu che sposi un musulmano".

Dal punto di vista legale, l’India indipendente si é dotata sin dal principio di una legislazione specifica per i matrimoni interreligiosi, regolamentati a partire dal 1954 dallo Special Marriage Act, secondo il quale, in teoria, qualsiasi coppia di cittadini indiani maggiorenni ha diritto di sposarsi civilmente, qualunque sia la loro religione e senza alcuna necessità di conversione o abiura ufficiale.

Precedentemente, infatti, durante il Raj britannico i matrimoni interreligiosi potevano venir ufficializzati solo attraverso l’Act III, del 1872, in base al quale uno o entrambi i contraenti dovevano invece abiurare pubblicamente dalla propria religione. Una misura chiaramente superflua, ma che si inseriva coerentemente nelle politiche spesso pilatesche di non-interferenza esercitate dai britannici a proposito delle usanze familiari e religiose delle numerose comunità in cui si dividevano i loro sudditi indiani.

Per comprendere quanto puramente strumentale sia l’agitazione messa in atto a proposito della Love Jihad, basti pensare che però lo Special Marriage Act, che da 60 anni separa dunque nettamente la questione matrimoniale da quella delle conversioni religiose, non viene mai nemmeno menzionato o messo in discussione dalla destra induista. Ma, seppur per motivi opposti a quelli che muovono il fondamentalismo arancione, rivedere quella legge dovrebbe invece essere una priorità nazionale, perché nonostante le lodevoli intenzioni che l’avevano inizialmente prodotta, la sua attuazione pratica finisce in realtà più frequentemente per ostacolare che non facilitare il suo oggetto primario: i matrimoni interreligiosi, appunto.

All’indomani dell’Indipendenza, tanto Nehru quanto Ambedkar avevano investito enormi energie al fine di riformare e regolamentare il Diritto di Famiglia hindu secondo l’impostazione liberale che intendevano dare al paese. Tuttavia, se da un lato non si curarono di estendere la legislazione alla comunità islamica, dall’altro anche in ambito induista i loro tentativi vennero fortemente osteggiati dai conservatori, trasversalmente guidati in parlamento da NC Chatterjee, presidente dell’Hindu Mahasabha.

Quando per esempio Nehru cercò di inserire nel codice la clausola che dava anche alle donne hindu il diritto di chiedere il divorzio, Chatterjee si oppose fermamente, obiettando che "Se il matrimonio é uno dei 10 Sanskar – o sacramenti – necessari agli uomini appartenenti alle caste dei Nati Due Volte (le tre più alte nella piramide sociale induista) per poter seguire correttamente il loro Dharma ed evolvere spiritualmente, é tuttavia l’unico utile allo stesso fine per le donne e i Sudra (la quarta casta, servile). Introdurre il divorzio anche per le donne significherebbe quindi minare alla base l’unica possibilità offerta loro di ottenere una rinascita consona al loro ciclo karmico".
L’opposizione e le obiezioni alla riforma furono tali e tante che Ambedkar, stremato e disilluso, finì per dare le dimissioni dal governo Nehru.

Tuttavia, Nehru riuscì alla fine a far approvare comunque il Codice di famiglia hindu, da un lato certamente grazie all’immenso prestigio personale di cui godeva, ma dall’altro a prezzo di notevoli concessioni fatte nello stesso ambito alle fila dei conservatori interni ed esterni al Congress. Una di queste fu proprio quella che portò allo svuotamento sostanziale dello Special Marriage Act: tra le più ostiche disposizioni approvate allora e tuttora vigenti, figura infatti quella secondo la quale, per contrarre un matrimonio civile interreligioso, é necessario un periodo previo di notifica pubblica di almeno un mese – in pratica le nostre pubblicazioni – cosa invece non richiesta nel resto della casistica matrimoniale indiana.

Le coppie di religione o casta diversa devono infatti inoltrare richiesta scritta all’ufficio di stato civile, che poi ne affiggerà le pubblicazioni – complete di giorno, ora e luogo esatto fissati per il matrimonio – in maniera visibile e accessibile a tutta la popolazione locale per un periodo non inferiore ai 30 giorni.

Ovviamente lo scopo é proprio quello di informare le famiglie e le rispettive comunità religiose o castali delle intenzioni dei due fidanzati: chiunque può infatti sollevare da quel momento un’obiezione qualsiasi contro l’unione e ottenere così il rinvio continuo o l’annullamento definitivo della cerimonia, oppure, alla bisogna, impedirla direttamente con la forza all’ora e nel luogo della sua celebrazione. La richiesta deve infatti essere inoltrata presso l’ufficio della località di residenza abituale di almeno uno dei due fidanzati, mentre l’ufficiale che la accoglie é tenuto a informare il tribunale del distretto di residenza dell’altro, che provvederà poi a esporre copia conforme delle pubblicazioni di matrimonio anche in quei paraggi. In pratica, dunque, lo Stato indiano agisce in questo delicato frangente come fosse un super Khap Panchayat, i consigli degli anziani dei villaggi, dando alle comunità il diritto di stabilire se due loro membri adulti abbiano diritto o meno di sposarsi secondo i loro desideri.

Ma c’è di più: quandanche due fidanzati di diversa fede riuscissero a superare tutti questi ostacoli, l’hindu tra loro verrebbe comunque punito. Se un hindu (definizione che viene estesa anche sikh, jainisti e buddhisti) sposa un appartenente ad altre religioni (ne restano giusto un paio, tra le più diffuse: Islam e Cristianesimo) sostanzialmente perde infatti ogni diritto ereditario sui beni della sua famiglia d’origine, della quale non è più considerato membro ai fini legali del termine. Se nessun matrimonio interreligioso viene facilitato, quello di membri delle religioni autoctone indiane con altri di fede d’importazione viene dunque ulteriormente scoraggiato.

Eppure fortunatamente c’è chi ci prova lo stesso, nonostante il prezzo familiare e sociale da pagare sia spesso altissimo. Molti i nomi noti che hanno sfidato nel tempo le convenzioni, naturalmente protetti anche dalla popolarità e dal denaro di cui disponevano, come per esempio é anche il caso della megastar del cinema bollywoodiano ShahRukh Khan, musulmano, sposato da anni con Gauri, hindu.

Come di consueto, é però soprattutto la gente comune a fare le spese di leggi inique e di consuetudini retrograde o illiberali. Proprio a questo proposito, qualche settimana fa l’Hindustan Times ha intervistato alcune coppie miste di ogni età e provenienza: ecco le loro storie.

Kavita e Akhtar Ali, Delhi

Kavita venne tenuta segregata in casa per quasi nove mesi e picchiata regolarmente dai suoi quattro fratelli e dal padre, dopo che aveva annunciato alla famiglia di essersi innamorata di un suo collega di università musulmano, che frequentava ormai da tempo e che intendeva sposare.

Tenuta completamente isolata dal mondo esterno per tutti quei mesi, dopo due tentativi di suicidio Kavita si era rassegnata all’idea che nel frattempo Akhtar l’avesse dimenticata: e invece no. Nel mentre lui si era messo in contatto con Dhanak, organizzazione specializzata nell’aiutare le coppie interreligiose che subiscono abusi da parte delle famiglie, attraverso la quale aveva presentato una petizione urgente all’Alta Corte di Delhi appellandosi allo Special Marriage Act (SMA). Nonostante tutte le opposizioni intentate, sono riusciti a sposarsi lo scorso aprile e se la famiglia di Akhtar fa loro visita regolarmente, quella di Kavita per il momento si rifiuta di relazionarsi con la coppia in qualsiasi modo.

Gopal e Samreen, Saharanpur – Uttar Pradesh

Samreen, musulmana originaria di Moradabad e Gopal, hindu nativo di Shimla, entrambi provenienti da ambienti conservatori, si erano innamorati quasi subito, poco dopo essersi incontrati alla facoltà di Ingegneria Informatica di Meerut; si erano sposati in segreto tre anni dopo e da allora ne sono trascorsi altri quattro. In principio un avvocato aveva spillato loro parecchio denaro per far celebrare il loro matrimonio secondo lo Special Marriage Act, salvo poi invece sconsigliarglielo a causa della questione dell’obbligatorietà delle pubblicazioni, e così Samreen aveva accettato di sposare Gopal con rito religioso secondo l’Hindu Marriage Act.

Ma a causa delle crescenti polemiche contro i matrimoni interreligiosi nel loro Stato, ora hanno paura e vorrebbero quindi registrare le loro nozze anche sotto l’ombrello protettivo dello SMA. Allo scopo, Samreen questa volta ha dovuto confessare ai suoi di essersi sposata di nascosto con un hindu e sua madre da allora non ha più smesso di piangere; d’altronde, anche il padre di Gopal, informato del matrimonio già tre anni fa, non ha mai più voluto avere alcun contatto con il figlio.

Munna Lal Verma e Razia Kazmi, Delhi

Quando si erano sposati, trent’anni fa circa, questi due studenti della Banaras Hindu University erano certi che la società indiana fosse sul punto di cambiare e che presto il loro matrimonio interreligioso non avrebbe più fatto scalpore. Si sbagliavano: "Se le cose oggi sono cambiate, é solo in peggio" dice Verma, 55 anni, professore presso un liceo statale. Lui e Razia, oggi casalinga, si erano sposati secondo il rito hindu di nascosto, ma a quel tempo col supporto e la complicità entusiasta di colleghi e professori universitari, dando poi l’annuncio alle loro famiglie a cose fatte mesi dopo. Quella di Razia, musulmana, le voltò però compatta le spalle, ad eccezione di una sorella maggiore. I loro figli, Aman ed Ekta, portano nomi che non si associano a nessuna religione in particolare.

Prashant e Sharifa, Kerala

Due anni fa Prashant, hindu e all’epoca studente d’Informatica, si era sposato in segreto con rito religioso con una collega d’università, Sharifa, musulmana: appena ricevuta la notizia, entrambe le famiglie dei due ragazzi li avevano disconosciuti. Ma i genitori di Sharifa avevano depositato poco dopo anche una denuncia contro Prashant, costringendolo a pagare una salata cauzione per non finire immediatamente in carcere, mentre fondamentalisti di entrambi gli schieramenti li tempestavano di telefonate e lettere minatorie.

Nessuno dei due coniugi ha mai pensato di convertirsi alla religione dell’altro e se, da quando aspettano un bambino, la sola famiglia di Sharifa ha riallacciato con loro qualche relazione, alla signora non viene comunque consentito di partecipare a tutte le funzioni familiari: alla recente morte della nonna, un comitato religioso della loro moschea di riferimento ha infatti esortato la famiglia ad allontanare la ragazza dalla casa in lutto, in quanto "accogliendola si stabiliva un pessimo precedente per tutta la comunità".

Imran Hussein e Veena Virupakshappa Hebbali, Bangalore

Nel Maggio del 2013, mentre si diffondevano le polemiche contro i matrimoni interreligiosi, Imran e Veena – perito elettronico 29enne musulmano lui e laureanda in scienze 24enne hindu lei, si erano presentati al Circolo della Stampa di Bangalore per raccontare pubblicamente la loro storia. Solo un mese prima, due ragazzi musulmani erano stati aggrediti a sciabolate da fanatici induisti per aver chiacchierato con delle coetanee hindu a Puttur, 50 Km da Mangalore, e dozzine di incidenti analoghi si stavano verificando soprattutto lungo la zona costiera del Karnataka.

La coppia di innamorati era giunta a Bangalore fuggendo da Hubli, nel nord dello Stato, inseguita da una banda di fondamentalisti capeggiata dallo zio e dal fratello della ragazza, che già avevano tentato di aggredirli in diverse circostanze e che li stavano cercando senza sosta.

Dopo aver ascoltato le peripezie dei due fidanzati, tutti i giornalisti presenti al Press Club si erano attivati per rendere possibile la loro unione. Il primo giugno seguente i due ragazzi si erano infatti sposati al cospetto della stampa della città al completo, finendo però così sulla prima pagina di tutte le testate del Karnataka. "Abbiamo dovuto nasconderci per mesi e mesi, dopo le nozze", racconta Veena, mentre Imran é molto preoccupato per le telefonate e le convocazioni che i suoi familiari continuano a ricevere dalla polizia, a causa di una denuncia per sequestro di persona depositata a suo carico dalla famiglia di Veena e che inspiegabilmente non viene archiviata nonostante i documenti e le dichiarazioni giurate presentate dai due coniugi alle autorità. "Posso uscire di casa solo coperta da un burqa – spiega Veena – e non certo perchè mio marito sia musulmano, ma perché ho paura della vendetta dei miei parenti hindu".

Janhavi Samant e Shan Mohammed, Mumbai

"Quando abbiamo cominciato a vederci, ai miei non importava molto che Shan fosse musulmano, forse perchè si aspettavano che la cosa non durasse molto", racconta ridendo la 37enne Janhavi, dirigente di un dipartimento di Pubbliche Relazioni, ora che è sposata da sette anni con Shan, 38enne film maker che le ha dato due figli e col quale è stata fidanzata altri sette prima di decidersi a sposarlo, facendo sì che le due famiglie finissero col tempo per abituarsi all’idea.

In principio zii e zie la tormentavano avvisandola che Shan le avrebbe certamente imposto il burqa e magari avrebbe poi sposato anche altre donne, mentre, dal canto suo, alcuni membri della famiglia di Shan effettivamente speravano che Jahnavi si convertisse all’Islam. Ma Janhavi non ci ha mai nemmeno pensato, né suo marito glielo ha mai chiesto: si sono sposati con due cerimonie, una hindu e l’altra islamica, e vivono felicissimi così.

I problemi maggiori li hanno avuti però per trovare casa: a causa del cognome palaesemente musulmano del marito, in molte urbanizzazioni centrali di Mumbai si rifiutavano di affittare loro un appartamento. Dopo quattro anni di depistaggi e bugie, si sono stancati di doversi nascondere e hanno risolto comprandone uno tutto loro a Dadar.

E anche coi loro bambini hanno trovato un buon compromesso. "La religione alla fine é una scelta personale: perché orientare i bambini verso una o l’altra? – spiega Janhavi – Mio marito poi fondamentalmente è un ateo, anche se i miei suoceri sono invece molto religiosi; quando i ragazzi ci porranno la questione, vedremo come comportarci".

[Pubblicato su GuidaIndia; foto credit: dawn.com]

*Alessandra Loffredo è fondatrice e redattrice di GuidaIndia