India – Domani nuova udienza per Latorre

In by Simone

Questa settimana potrebbe vedere l’ennesima «svolta» nel caso dei due marò in India. Un appuntamento che, viste le precedenti aspettative di Roma puntualmente disattese dal sistema giuridico indiano (le famose presunte «aperture indiane»), sarebbe il caso di attendere con quanta più precauzione possibile.
Lunedì 12 gennaio la Corte suprema avrebbe dovuto valutare una nuova richiesta di proroga del rientro in India di Massimiliano Latorre, fissato per il 13 gennaio. Elemento di novità rispetto alla richiesta di qualche settimana fa, rigettata informalmente dai giudici e ritirata ufficialmente dai legali dei due fucilieri, è l’operazione cardiochirurgica alla quale Latorre si è sottoposto lo scorso 5 gennaio.

Si trattava di correggere una «malformazione congenita» al cuore e dal policlinico di San Donato Milanese fanno sapere che l’operazione è perfettamente riuscita.

Il periodo di degenza post operatoria, però, non permetterebbe al fuciliere di sostenere un viaggio intercontinentale e perciò, ancora una volta, si torna a contare sulla buona volontà della giustizia indiana, chiamata a fare un nuovo strappo alla regola.

La sezione della Corte suprema presieduta dal giudice Dattu, che aveva già ritenuto eccessive le precedenti richieste dei legali dei marò, nella tarda mattinata di lunedì ha preferito rimandare la decisione sulla nuova licenza di Latorre ad un’altra sezione della Corte, rinviando l’udienza a mercoledì 14 gennaio (domani).
Accusati di duplice omicidio, i due marò da quasi tre anni hanno potuto godere di un regime di limitazione della libertà inedito in India, considerando la gravità del crimine che gli viene contestato.
L’accondiscendenza di New Delhi pare incontri diverse resistenze all’interno dell’esecutivo indiano.

Nelle ultime settimane fonti anonime del governo hanno affidato al quotidiano Economic Times una serie di retroscena che di certo non depongono a favore dei due sottufficiali di Marina.
Il 2 gennaio, un funzionario di Delhi ha rivelato che, secondo il Ministero degli Interni indiano, l’unica garanzia del ritorno di Latorre in India sarebbe stata trattenere Salvatore Girone nel paese, negandogli la licenza richiesta per passare le vacanza di Natale con la famiglia in Puglia.

Gran parte dell’opinione pubblica italiana, apprendendo la notizia attraverso il prisma deformante di alcuni organi di stampa nostrani, ha interpretato l’esternazione degli Interni indiani come la prova di un «ricatto» in corso, rimuovendo il tentativo maldestro di trattenere i due marò in patria operato in circostanze molto simili dall’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata nel marzo del 2013. All’epoca, solo una durissima presa di posizione della Corte suprema e la minaccia di sospendere l’immunità diplomatica dell’ambasciatore a New Delhi Daniele Mancini assicurarono che i due fucilieri facessero ritorno in ambasciata entro la scadenza prestabilita.

Passano pochi giorni e la stampa italiana rilancia la «preoccupazione» di Ban Ki Moon, segretario generale all’Onu, per il braccio di ferro italo-indiano che ormai dura da quasi tre anni. In realtà, il portavoce della segreteria dell’Onu si era limitato a ribadire che la posizione delle Nazioni Unite sul caso non era cambiata rispetto a un anno fa, quando si chiarì che il caso dei due fucilieri italiani veniva considerata una «questione bilaterale» che India ed Italia avrebbero dovuto risolvere soddisfacendo entrambe le parti. Un’equidistanza che fa il paio col sostanziale silenzio dell’«alleato» statunitense e con le timide esternazioni dell’Ue (sempre provenienti da esponenti di nazionalità italiana).

Il 10 gennaio, l’ennesima picconata contro i due imputati. Sempre sull’Economic Times, è stata la National Investigation Agency (Nia) a rincarare la dose, sostenendo di avere le prove per accusare Latorre e Girone di omicidio preterintenzionale.

Secondo quanto rivelato da un funzionario della Nia, i due fucilieri avrebbero «sparato al peschereccio in assenza di provocazione o altri elementi che potessero farlo scambiare per una barca di pirati», esplodendo «20 colpi di arma automatica in direzione dell’imbarcazione a una distanza di 125 metri». Secondo il documento dell’accusa, a quella distanza i militari non avrebbero potuto sbagliarsi e scambiare Ajesh Binki e Valentine Jelastine per dei pirati.

L’impianto accusatorio, hanno ribadito ancora dalla Nia, sarebbe pronto per essere depositato agli atti. Bisogna solo aspettare di sciogliere il nodo della giurisdizione e capire dove si farà il processo. Decisione che, salvo nuovi colpi di scena, non arriverà prima della prossima udienza in Corte suprema, fissata per il mese di marzo.

[Pubblicato in versione ridotta su il manifesto; foto credit: agi.it]