India – Detenzione preventiva per i tibetani di Delhi

In by Simone

Dopo l’auto-immolazione dell’attivista tibetano Jamphel Yeshi, le autorità di New Delhi, impegnate a garantire la sicurezza per il meeting dei Brics di domani, hanno optato per misure drastiche: detenzione preventiva per i leader della dissidenza tibetana ed isolamento dei loro quartieri nella capitale.
Jamphel Yeshi (27 anni) è morto oggi in un ospedale di Delhi a seguito delle ustioni riportate lunedì scorso, quando decise di darsi fuoco nel bel mezzo di Jantar Mantar, un complesso di strutture architettoniche utilizzato per scopi astronomici da quasi 200 anni e, oggi, teatro prediletto dai manifestanti indiani per l’organizzazione di meeting e proteste.

Doveva essere semplicemente una marcia di protesta pacifica per un Tibet libero, come tante se ne sono succedute nelle ultime settimane in vista del meeting dei Brics di New Delhi dove, tra gli altri, parteciperà il presidente della Repubblica popolare cinese Hu Jintao. Per i tibetani, l’assassino.

Ma Jamphel, senza aver avvertito nessuno del movimento tibetano col quale stava manifestando tra Ramlila Maidan e Jantar Mantar, improvvisamente si copre di liquido infiammabile e si dà fuoco. Le foto terribili del giovane che corre in fiamme si vanno immediatamente ad aggiungere all’iconografia dei “martiri” tibetani.

Nell’ultimo anno, tra India e Cina, sono 30 gli attivisti o monaci che hanno scelto l’auto-immolazione come estrema protesta per rivendicare la libertà del Tibet e del popolo tibetano, annesso con la forza alla Repubblica popolare cinese nel 1959. Di questi, soprattutto monaci, 22 sono morti.

Yeshi è il terzo tibetano nella storia della capitale indiana ad essersi dato fuoco per la causa tibetana. Il primo a non sopravvivere.

L’estremo gesto ha suscitato nella comunità tibetana sentimenti apparentemente contrastanti, ma che ben descrivono la risolutezza e la determinazione di una minoranza etnica che a Delhi occupa interi quartieri e dormitori di università: “Non è stata una dimostrazione pianificata” ha spiegato al New York Times Tenzin Norsang, segretario del Tibetan Youth Congress e organizzatore della protesta di lunedì, “ma apprezziamo il suo coraggio”.

Dorjee Tseten, presidente di Students for free Tibet, ha dichiarato al quotidiano newyorkese che l’immagine di Jamphel in fiamme lo ha sconvolto, ma che “questa è una chiamata per la comunità internazionale. I tibetani hanno bisogno del suo supporto”.

Mentre i leader di Brasile, Sudafrica, Russia e Cina stanno raggiungendo New Delhi, la polizia della capitale ha implementato da martedì sera una serie di restrizioni che limitano la libertà di movimento della comunità tibetana fino al 31 marzo, quando Hu Jintao avrà già lasciato il Paese.

Temendo nuove proteste giudicate dalle autorità “illegali”, le forze dell’ordine hanno optato per la detenzione preventiva dei leader del dissenso tibetano nella capitale.
Martedì il poeta ed attivista tibetano Tenzin Tsundue è stato prelevato dalla polizia mentre partecipava ad un seminario presso l’Indian Habitat Centre. Secondo la stampa nazionale, centinaia di altri leader sarebbero stati presi dalle forze dell’ordine e messi in stato di fermo o costretti nelle proprie abitazioni per “motivi di sicurezza”.

Attorno ai quartieri tibetani di New Delhi – Majnu ka Tila, Budh Vihar e il Tibetan youth hostel di Rohini – le autorità hanno predisposto dei cordoni di polizia per isolare la comunità tibetana dal resto della città.

Anche agli studenti tibetani residenti nei dormitori universitari, da martedì, è stati proibito di lasciare le strutture accademiche, nonostante proprio in questi giorni siano in corso in India gli esami finali del semestre. Secondo altre fonti, chi volesse lasciare la propria stanza per recarsi a seguire le lezioni può farlo solo se scortato dalla polizia.

Mentre i portavoce della comunità tibetana gridano allo scandalo, la polizia di Delhi si difende dietro alla necessità di prevenire altre auto-immolazioni.
Nessun tibetano è stato arrestato fino ad ora” ha spiegato il portavoce della polizia di Delhi Rajan Baghat al canale televisivo NDTVSquadre di polizia sono state mandate nelle aree dove risiedono i tibetani per tenerli d’occhio ed evitare altri episodi di auto-immolazione come quello di lunedì”.

Per il governo indiano le proteste tibetane sono un bel grattacapo: da una parte ha l’obbligo di mantenere l’ordine in vista del meeting dei Brics di giovedì, dall’altro non può permettersi una rappresaglia troppo evidente nei confronti dei tibetani, ufficialmente accolti come esuli dal 1959 e che hanno fatto di Dharamsala (nello stato dell’Himachal Pradesh) la sede della dissidenza tibetana e del governo in esilio, oltre che la residenza ufficiale del Dalai Lama.

Hu Jintao, che arriverà a New Delhi nella tarda serata di oggi, è il presidente della Repubblica popolare cinese dal 2003, con un mandato che scadrà nel mese di ottobre.

Oltre a ricoprire la carica più alta di un Paese che i tibetani considerano invasore, nel 1989 – a 30 anni dalla prima sommossa tibetana del 1959 – in qualità di governatore del Tibet represse nel sangue le proteste di Lhasa, mandando nelle strade della capitale del Tibet quasi 2000 poliziotti ed instaurando nella provincia la legge marziale.

Due giorni fa un sito in mandarino, ripreso dall’agenzia di stampa governativa cinese Xinhua, aveva attaccato il Dalai Lama, accusandolo di essere il grande burattinaio dietro alla scia di auto-immolazioni che da mesi insanguina la protesta tibetana.

Secondo l’editoriale pubblicato su China Tibet Online, il Dalai Lama si sarebbe fatto promotore di ideali "nazisti e razzisti", incitando i manifestanti tibetani a darsi fuoco.

[Foto credit: lhasarising.wordpress.com]