India – Amit Shah e la strategia dell’odio

In by Simone

Amit Shah, presidente del partito nazionalista indiano Bharatiya Janata Party (Bjp), mercoledì 10 settembre è stato formalmente accusato dalle autorità di polizia dell’Uttar Pradesh (Up) del reato di incitamento all’odio relativo ad un comizio tenuto lo scorso mese di aprile in cui incitò gli elettori hindu a "vendicarsi" contro la comunità musulmana.
La richiesta di apertura del processo, che dovrà passare al vaglio degli organi giudiziari dello stato dell’India settentrionale, arriva con tempistiche quantomeno sospette: sabato 13 settembre sono infatti fissate delle importanti elezioni suppletive per il “parlamentino” dell’Up, dove il Bjp potrebbe consolidare a livello locale la schiacciante vittoria registrata nella passata tornata elettorale. Facendo leva, come allora, sull’odio interreligioso.

L’ascesa di Shah nell’organigramma del primo partito indiano è indissolubilmente legata al fenomeno Narendra Modi. Prima della vittoria plebiscitaria alle scorse elezioni nazionali, Modi ha governato per due mandati consecutivi nello stato del Gujarat, avvalendosi della strettissima collaborazione del “giovane” Shah. Secondo un ritratto pubblicato dal magazine indiano Caravan, Amit Shah è “l’unica persona di cui Modi si fidi”. Un legame di ferro che poggia sulla totale fedeltà ed abnegazione di Shah al suo mentore e, questa l’ipotesi avanzata da alcune corti di giustizia indiane, spesso sfociata in presunti episodi criminali.

La coppia Modi-Shah, durante la gestione della cosa pubblica in Gujarat tra il 2002 e il 2006, ha assistito a una serie di cosiddetti fake encounters, omicidi perpetrati dalla polizia (almeno 22, secondo gli inquirenti). In quel lasso di tempo Amit Shah copriva la carica di ministro degli Interni in Gujarat e nel 2010 venne arrestato dal Central Bureau of Investigation (Cbi, una delle polizie federali indiane) con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio del malvivente (musulmano) Sohrabuddin Sheikh, ucciso assieme alla moglie e a un complice durante una trappola architettata dalla polizia del Gujarat. Shah sarebbe uscito dal carcere dopo soli tre mesi di detenzione, obbligato a lasciare il Gujarat per evitare il rischio di inquinamento delle indagini che, a distanza di anni, sono ancora in corso.

I precedenti con la giustizia non hanno però intralciato la carriera politica di Shah che, durante la scorsa campagna elettorale, è stato nominato responsabile della strategia politica del Bjp in Up, stato dalla presenza cospicua di comunità musulmane e di caste basse; fasce dell’elettorato che storicamente il Bjp ha sempre avuto difficoltà ad intercettare.

A ridosso del voto, nel mese di aprile, Shah dichiarò ad un comizio pubblico che una delle roccaforti del Samajwadi Party (partito di governo in Up) era un “covo di terroristi”. In un’altra occasione, in un villaggio a pochi chilometri dalla cittadina di Muzaffarnagar, Shah promise che col cambio di governo e la vittoria dei nazionalisti del Bjp la comunità hindu avrebbe avuto finalmente la propria “vendetta” contro i musulmani.

Un riferimento incendiario agli scontri violenti che nemmeno un anno prima avevano sconvolto la cittadina di Muzaffarnagar: musulmani e hindu si massacrarono per le strade, lasciando sul campo 62 morti. Il terrore, instaurato dalla rappresaglia dei militanti estremisti hindu, risultò in un esodo di massa: secondo le stime, scapparono dal distetto di Muzaffarnagar oltre 40mila musulmani.

L’istigazione all’odio interreligioso venne sanzionata dalla Election Commission indiana, che proibì a Shah di tenere comizi in pubblico, salvo poi ritrattare dopo la promessa scritta del leader del Bjp di “moderare i termini”. Ora, con la richiesta di apertura del processo avanzata dalla polizia di Muzaffarnagar, l’hate speech di Shah rischia di sfociare nel penale.

La strategia dell’odio avrebbe comunque pagato. Alla conta dei voti, il Bjp si assicurò 71 seggi sugli 80 disponibili in Uttar Pradesh, la più grande vittoria dei nazionalisti nello stato. Un risultato unanimemente tributato all’opera di Amit Shah che gli valse, nel mese di luglio, la nomina a presidente del Bjp a livello nazionale. Oggi, all’età di 50 anni, Shah è il più giovane presidente nella storia del Bjp.

La strategia messa in campo da Shah è stata ripresa con entusiasmo dalle alte cariche del Bjp in Uttar Pradesh, con una sistematica sequela di riferimenti denigratori nei confronti dei musulmani. Accuse grottesche che, secondo i nazionalisti, porteranno comunque i loro dividendi alle urne.

Un esempio è la teoria della Love Jihad, complotto nato all’interno delle organizzazioni ultranazionaliste hindu del paese che descrive un piano di annientamento demografico ordito dai musulmani a discapito della maggioranza hindu. Secondo alcuni ideologi di sigle dell’estremismo hindu come Vishva Hindu Parishad (Vhp) e Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), i giovani musulmani sarebbero addestrati all’interno delle madrasa nazionali per adescare e sedurre ragazze hindu, portandole alla conversione e al matrimonio.

La teoria, che secondo diversi giudici della Repubblica Indiana è stata provata senza alcun fondamento, è stata abbracciata ufficialmente dalla direzione statale del Bjp in Uttar Pradesh, che ne ha fatto uno dei principali temi della campagna elettorale in corso.

[Scritto per Lettera43; foto credit: indianexpress.com]