In Giappone il rimpasto di governo è un affare di famiglia

In Asia Orientale, Economia, Politica e Società by Stefano Lippiello

Il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha fatto entrare nel suo nuovo esecutivo, entrato in carica l’11 settembre, 13 nuovi ministri su un totale di 19. Il rimpasto di governo segue le elezioni di luglio per la Dieta, la camera alta giapponese, nelle quali la coalizione conservatrice guidata dal partito Liberaldemocratico (Ldp) del premier ha perso la maggioranza dei due terzi dell’aula.

Uno schiaffo per il primo ministro il cui più importante obiettivo politico è la riforma della costituzione del Giappone. Ora che il premier non ha più i numeri alla Dieta per una riforma si teme tra i conservatori che le opposizioni possano allontanarsi senza timori dal tavolo delle trattative.

Il primo ministro giapponese ha poteri molto ampi di nomina e revoca dei ministri e ogni primo ministro ne ha fatto uso spesso, ogni qual volta il governo non lavora bene, o c’è il bisogno di un diverso equilibrio fra fazioni interne al partito, o semplicemente quando il pubblico si è stancato di certe facce.

Solo due limiti esistono al suo potere: niente militari, a causa dell’esperienza drammatica dei governi militari prima e durante la seconda guerra mondiale, e che almeno metà ministri siano parlamentari, per garantire il controllo democratico.

Questo rimpasto è stato soprattutto un’operazione estetica per il pubblico giapponese, che ha dato – timidi – segni di insofferenza alle elezioni di luglio. Restano, infatti, al loro posto tutte le figure chiave dell’esecutivo e del partito, il potente ministro delle Finanze Taro Aso e il segretario generale Yoshihide Suga, braccio destro del premier.

Cambia invece dicastero Taro Kono, dagli Esteri alla Difesa. Una mossa criticata dai media della Corea del Sud, attualmente impantanata in una disputa storica e commerciale con il Giappone, a causa delle dure prese di posizioni del ministro verso la Corea.

La novità più importante è l’ingresso in un ruolo di governo del trentottenne Koizumi Shinjiro, figlio dell’ex premier Koizumi Junichiro. In questo caso scriviamo prima il cognome del nome – come il governo giapponese ha di recente chiesto alla stampa estera di fare – perché è ciò che qui veramente conta.

Il giovane Shinjiro è infatti l’erede di una delle famiglie politiche più longeve del parlamento, il suo avo Koizumi Matajiro fu eletto nel 1908 nel distretto di Kanagawa. Da allora il distretto non ha più abbandonato i Koizumi e viceversa.

Soprattutto nell’Ldp la politica giapponese è un affare di famiglia, anche Aso, Kono e Abe, così come sette degli ultimi dieci primi ministri, provengono da importanti famiglie che «ereditano» il proprio seggio. Il meccanismo si basa sulla trasmissione del jiban, la rete di supporto personale di un politico, e della corrispondente koenkai, un’associazione locale di elettori che supportano un candidato (salvo il caso del partito Comunista che ha solo koenkai di partito).

koenkai mobilitano i voti nel collegio e legano le personalità locali di vari settori al candidato e per loro tramite gli elettori a questo. I koenkai sono molto costosi e devono essere mantenuti anche fuori dalle elezioni, con riunioni, feste, gite negli onsen; nei roboanti anni Ottanta potevano arrivare a costare un milione di dollari all’anno. Inoltre, permettono di trasferire i finanziamenti politici alla nuova generazione in completa esenzione d’imposta.

Fu proprio il padre di Koizumi Shinjiro a nominare l’attuale premier Abe a quegli incarichi di responsabilità che lo portarono alla guida dell’esecutivo. Ora è Abe che nomina il rampollo dei Koizumi ministro dell’Ambiente e gli «offre una chance», come notano fonti del partito.

Koizumi, che si è espresso per l’uscita dal nucleare del Giappone, sarà messo alla prova: appena pochi giorni fa il suo predecessore ha dichiarato di non vedere alternative al rilasciare in mare l’acqua contaminata della centrale nucleare di Fukushima.

Il premier Abe è anche presidente del partito e secondo lo statuto di questo deve lasciarne la guida, insieme a quella dell’esecutivo, al termine del mandato in corso. Per ciò i nomi del nuovo governo vengono lette dalla stampa locale soprattutto nell’ottica della sua successione.

[Pubblicato su il manifesto]