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In Cina e Asia – Usa e Nuova Zelanda boicottano le Olimpiadi: niente diplomatici a Pechino

In Notizie Brevi by Sabrina Moles

I titoli di oggi

  • Usa e Nuova Zelanda boicottano le Olimpiadi: niente diplomatici a Pechino
  • Tensioni tra Cina e India, Pechino saluta l’ambasciatore uscente Vikram Misri
  • Pechino lancia un nuovo colosso per controllare la logistica in casa e all’estero
  • Armi e Cina, l’industria bellica diventa la seconda al mondo per fatturato
  • Rivolta alle Isole Salomone: centinaia di cinesi rimangono senza casa
  • Russia-India: l’incontro tra Putin e Modi punta sulla sicurezza
Gli Usa e la Nuova Zelanda boicottano le Olimpiadi: niente diplomatici a Pechino

I diplomatici statunitensi hanno annunciato che non presenzieranno alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022. Il messaggio è quello di denunciare Pechino per “i crimini contro l’umanità e il genocidio in corso nello Xinjiang, più altre violazioni dei diritti umani” – come ha affermato il segretario alla stampa Jen Psaki. La mossa arriva in un clima già teso nei rapporti tra Stati Uniti e Repubblica Popolare, tanto che lo stesso Xi Jinping non aveva esplicitamente invitato Joe Biden all’evento. Semaforo verde per gli atleti statunitensi, che potranno prendere parte alle gare: “Gli atleti del Team Usa hanno il nostro pieno supporto. Saremo con loro al 100% mentre li applaudiamo da casa. Ma non contribuiremo alla fanfara dei Giochi”.

Lo staff diplomatico ha dichiarato di aver notificato Pechino prima dell’annuncio ufficiale alla stampa, anche se ciò non ha impedito all’ambasciata cinese negli Usa di commentare il gesto come “atto pretenzioso” e una “manipolazione politica”. Non sono mancati anche i commenti del ministero degli Esteri cinese, che poche ore prima aveva minacciato “risolute contromisure” in caso di boicottaggio: “Voglio sottolineare che i Giochi Olimpici Invernali non sono un palcoscenico per atteggiamenti politici e manipolazioni”, ha detto il portavoce Zhao Lijian. “È una grave parodia dello spirito della Carta olimpica, una sfacciata provocazione politica e un grave affronto a 1,4 miliardi di cinesi”. L’ultimo boicottaggio completo a opera di Washington risale ai Giochi Olimpici di Mosca del 1980, riuscendo a coinvolgere altri 64 paesi. L’annuncio, insieme alla tempesta mediatica intorno al caso della tennista Peng Shuai, sta spingendo alcuni politici di Australia e Regno Unito a chiedere la stessa presa di posizione ai propri governi. Di poche ore fa la notizia che la Nuova Zelanda avrebbe notificato ufficialmente alle autorità cinesi la propria astensione lo scorso ottobre.

Tensioni tra Cina e India, Pechino saluta l’ambasciatore uscente Vikram Misri

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha parlato in videoconferenza con l’ambasciatore indiano Vikram Misri, che si appresta a lasciare la sede di Pechino entro la fine del mese. Nonostante i recenti accordi con la Russia sulla produzione di armi in India, il ministro ha definito il rapporto tra i due paesi “positivo”. Le tensioni lungo il confine sino-indiano, ha continuato Wang, devono essere risolte per evitare il “reciproco esaurimento”. Tra i temi sul tavolo, oltre alle promesse di miglioramento della situazione sull’Himalaya, anche le preoccupazioni di Pechino nei confronti delle varie alleanze nella regione a guida statunitense o russa.

Pechino lancia un nuovo colosso per controllare la logistica in casa e all’estero

La Cina punta sui mega conglomerati: è di lunedì 6 dicembre l’annuncio della fondazione di un nuovo gruppo logistico che riunisce cinque giganti delle consegne, con l’obbiettivo di tamponare la crisi della supply chain globale. Una promessa che, come nota il Global Times, arriva puntuale poche settimane dopo la fine del G20, quando Pechino ha promesso di contribuire alla stabilità dei traffici internazionali. China Logistics Group è il prodotto della fusione tra China Railway Materials, China National Materials Storage and Transportation Group, Huamao International Freight Limited Company Shenzhen Branch, China Logistics e China National Packaging Corp: le società operano in 30 provincie cinesi e all’estero, per un totale di 3 milioni di veicoli e 24,26 milioni di metri quadri di terreni dedicati ai magazzini.

Secondo gli analisti il gruppo ha l’opportunità di migliorare la logistica multimodale, che combina trasporto ferroviario e marittimo. Ma non mancheranno le sfide: le società di logistica statali sono funzionali sulle lunghe distanze, ma mancano di competenze sulle consegne dell’ultimo miglio – in particolare i cosiddetti “beni bianchi”, ovvero i prodotti acquistati tramite e-commerce.

Armi e Cina, l’industria bellica diventa la seconda al mondo per fatturato

La Cina si dimostra una delle principali economie globali anche nel settore delle armi. Lo rivela l’ultimo rapporto del SIPRI, il think tank svedese che si occupa di studiare il tema della capacità bellica dei diversi stati. Gli Stati Uniti mantengono salda la prima posizione, ma il boom cinese si spiega anche grazie al minimo impatto dell’emergenza Covid sull’economia interna. Ma anche la dirigenza cinese ha giocato un ruolo importante, destinando risorse importanti alla modernizzazione dell’Esercito Popolare di Liberazione. Sono esattamente cinque le aziende cinesi che si inseriscono tra le prime 20 case produttrici di armi, per un fatturato di 66,8 miliardi di dollari nel corso del 2020, pari al 13% della quota globale.

Anche nel 2021 Pechino non ha cessato di finanziare lo sviluppo delle Forze Armate, con risultati importanti dal punto di vista dell’avanzamento tecnologico. Secondo uno studio finanziato dal Governo statunitense, la Cina oggi rappresenterebbe una “evidente minaccia” per Washington, anche se il valore aggiunto di questa crescita sarebbe da attribuire ad acquisizioni estere, joint venture e furto di proprietà intellettuale anziché a un genuino know-how sviluppato in casa.

Rivolta alle Isole Salomone: centinaia di cinesi rimangono senza casa

Sembrano risolti, per ora, i disordini nelle Isole Salomone. Insieme alla tregua tra manifestanti e Governo arrivano i primi bilanci dei disastri iniziati lo scorso 24 novembre. La Banca centrale ha stimato i danni per 67 milioni di dollari, molti dei quali si concentrano in un’area ben precisa della capitale Honiara: Chinatown, quartiere finito al centro dell’attenzione dei rivoltosi. Abitazioni di cittadini della Repubblica Popolare sono finite in macerie, quattro persone hanno perso la vita e i saccheggi sono andati avanti per ore prima dell’intervento della Polizia e delle forze di sicurezza australiane.

I manifestanti appartengono in larga parte al gruppo pro-Taipei “Malaita for Democracy”, situato sull’isola omonima, e che tutt’ora intrattiene buoni rapporti con Formosa. Insoddisfatti della redistribuzione delle risorse nel paese, i manifestanti accusano il primo ministro Manasseh Sogavare di aver interrotto i rapporti diplomatici con Taiwan a favore della Cina. Sogavare a sua volta ha accusato Malaita di essere un “agente di Taiwan”. Lunedì si è svolto in parlamento il voto di sfiducia a carico di Sogavare, che lo ha però passato indenne. Solo 15 deputati hanno votato per la sua rimozione, mentre in 32 si sono espressi per mantenerlo al suo posto. Proseguirà dunque l’azione di governo del premier, ma è prevedibile che ci saranno nuove frizioni con Malaita.

Russia-India: l’incontro tra Putin e Modi punta sulla sicurezza

Si è concluso con un accordo sulle armi il vertice di lunedì tra il premier indiano Narendra Modi e il presidente Russo Vladimir Putin. Le due parti hanno stipulato un contratto da 681 milioni di dollari per la produzione di fucili d’assalto AK-203, e tante parole promettenti sulla collaborazione e il sostegno reciproco nella regione. Il vertice tra Mosca e Nuova Delhi di quest’anno è stato, secondo le parole del ministro degli Esteri indiano Harsh Vardhan Shringla, “un passo in avanti molto importante” per la cooperazione militare dei prossimi dieci anni.

Le trattative sul lancio di alcuni hub di produzione di armi russe in India vanno avanti da diversi anni, non senza critiche da parte degli osservatori statunitensi. Ma Nuova Delhi non vuole mettere a repentaglio la propria relazione con Mosca in virtù della rinata alleanza con gli Usa (come il coinvolgimento nel QUAD), come ha affermato Harsh V. Pant di Observer Research Foundation, think thank con sede nella capitale indiana. Tra gli altri temi sul tavolo dei due leader c’erano anche la crisi afghana, la collaborazione sui vaccini Covid19 e la stabilità della regione.

I Rohingya fanno causa a Facebook

Non si fermano le denunce nei confronti Facebook, piattaforma finita al centro del ciclone sulla diffusione dell’odio online. E per questa ragione anche un gruppo di rifugiati Rohingya ha depositato la propria causa in un tribunale della California. Negli ultimi anni il gruppo etnico ha subito violenze e privazioni che hanno spinto centinaia di persone a fuggire oltre i confini del Myanmar, e oggi una grande parte di questa comunità vive in campi profughi situati in Bangladesh.

Nella denuncia si legge: “La realtà inconfutabile è che la crescita di Facebook, alimentata da odio, divisione e disinformazione, ha lasciato dietro di sé centinaia di migliaia di vite Rohingya distrutte”. Nel documento si spiega come gli algoritmi del social network avrebbero inasprito le narrazione polarizzanti sul gruppo etnico, che viene tradizionalmente percepito come “estraneo” nonostante la sua storica presenza sul territorio. La piattaforma è “aperta allo sfruttamento da parte di politici e regimi autocratici”, afferma la denuncia, perché Facebook sfrutterebbe l’odio online per profitto anziché contenere la disinformazione.