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In Cina e Asia – Pechino cerca l’appoggio del Medio Oriente

In Notizie Brevi by Sabrina Moles

Pechino cerca l’appoggio del Medio Oriente

È terminato martedì il viaggio del ministro degli affari esteri cinesi Wang Yi in Medio Oriente, ed è già chiaro il leitmotiv della visita: proteggersi dalle interferenze straniere, salvaguardare i propri interessi. Per una settimana il ministro ha tenuto incontri di alto livello con i funzionari di Arabia Saudita, Turchia, Iran, Emirati Uniti Bahrain e Oman. È stata un’occasione per riallacciare i rapporti con le grandi nazioni islamiche della regione, soprattutto a fronte delle sanzioni che accusano Pechino di sfruttamento e emarginazione della minoranza uigura in Xinjiang. “Ci opponiamo all’imposizione dell’ideologia agli altri e all’uso dei diritti umani per interferire negli affari di altre nazioni e diffamarli” ha detto Wang Yi ai media cinesi, suggerendo che la Cina stia cercando di rassicurare il cerchio delle proprie alleanze per fare fronte unito contro il giudizio delle nazioni occidentali. Una ulteriore “risposta” ai tentativi statunitensi di riconquistare l’attenzione dei partner storici. La Cina e le nazioni del Medio Oriente sono i protagonisti del primo rapporto sui diritti umani della presidenza Biden, che oltre ad accusare Pechino di “genocidio”, cita anche altri casi di abusi e uccisioni illegali in Arabia Saudita ed Egitto. Tra le nazioni visitate solo la Turchia ha fatto menzione della questione Uigura, mentre all’esterno i manifestanti intonavano slogan di accusa nei confronti della Cina. Tutti e sei i paesi oggetto della visita fanno parte della Belt and Road Initiative: durante gli incontri si è parlato anche di cooperazione su più fronti come energia, infrastrutture, sicurezza e commercio. [Fonte: SCMP]

Giornalista della BBC lascia la Cina dopo mesi di “minacce e disinformazione”

Il giornalista John Sudworth ha deciso di trasferirsi a Taiwan con pochissimo preavviso. La ragione?  Il professionista dell’emittente BBC avrebbe affrontato mesi di attacchi personali e disinformazione ad opera delle autorità cinesi. Finisce così, dopo nove anni, la sua permanenza su suolo cinese. A seguirlo anche la moglie Yvonne Murray, giornalista per l’emittente irlandese RTÉ a fronte delle crescenti preoccupazioni per la sicurezza dell’intera famiglia. In un breve commento il Foreign Correspondents’ Club of China (FCCC) ha dichiarato che “la partenza di Sudworth e Murray – oltre alle espulsioni di almeno 18 corrispondenti lo scorso anno – è una perdita per la comunità giornalistica in Cina e più in generale, per chiunque si impegni a capire il paese”. In pochi mesi sono molti i giornalisti affiliati ai maggiori media anglofoni in Cina a sentire la pressione di Pechino, che li accusa di “aver prodotto notizie false, diffuso voci false sullo Xinjiang e calunniato la politica cinese nella regione”. La maggior parte dei giornalisti accusati è di cittadinanza cinese, ma non sono mancati casi di arresti nei confronti di altre nazionalità, come nel caso dell’australiana Cheng Lei. [Fonte: The Guardian]

La Cina e la sfida dell’internet “emissioni zero”

L’industria di internet in Cina ha fatto passi da giganti in pochi anni ma, denuncia Pechino, l’infrastruttura che sostiene questi servizi è incompatibile con gli obbiettivi di abbattimento delle emissioni. Server, data center e cellule telefoniche richiedono enormi quantità di energia che il paese ottiene ancora da fonti inquinanti: in un ultimo rapporto dello State Grid Energy Research Institute si legge che internet consumi già il 2,7% di energia totale. La domanda è troppo alta, e continuerà a crescere con la digitalizzazione di economia e servizi, nonché con l’espansione della rete verso la periferia del paese come previsto dai piani di riduzione della povertà di Pechino. “Il consumo di elettricità dell’industria Internet cinese sta crescendo a un tasso annuo di circa il dieci per cento. Raddoppierà in sette o otto anni e diventerà una delle principali fonti di consumo di energia in futuro”, ha detto il professore Wang Yuanfeng dell’Università Jiaotong di Pechino, studioso dello sviluppo sostenibile. Il governo sta invitando le big tech a collaborare per trovare soluzioni più ecosostenibili e meno energivore: Huawei, per esempio, ha presentato a febbraio uno schema per abbassare la domanda energetica mantenendo l’efficienza delle infrastrutture internet che si allaccerà solo a fonti rinnovabili. Oggi afferma di aver già risparmiato oltre dieci miliardi di kWh di energia grazie al consumo efficiente di elettricità abbinato a fonti green. La sfida rimane aperta e chiede la partecipazione del settore privato per ottimizzare il consumo energetico applicando tecnologie sempre più avanzate come intelligenza artificiale e blockchain. [Fonte: Xinhua]

Myanmar, inviato ONU avverte: “bagno di sangue imminente”

L’inviata delle Nazioni Unite per il Myanmar ha parlato ai 15 membri del Consiglio di Sicurezza chiedendo “un’azione significativa” per frenare l’escalation della violenza nel paese. Si intensificano le rappresaglie dell’esercito nei confronti dei civili, mentre le minoranze del paese finiscono sotto il fuoco di attacchi mirati: “un bagno di sangue è imminente”, dice la funzionaria. Nella giornata di ieri, infatti, ci sono state collisioni con i gruppi armati presenti nello stato Kachin: almeno una ventina le vittime. Anche le posizioni della Karen National Union – l’esercito della minoranza omonima – sono state bombardate da un attacco aereo a opera del Tatmadaw: per la prima volta negli ultimi venti anni migliaia di abitanti dei villaggi Karen sono dovuti fuggire, molti di questi in Thailandia. Non si arresta la protesta pacifica dei cittadini, che anche questa notte hanno vegliato in diversi centri abitati del paese. Arrivano anche le prime notizie su Aung San Suu Kyi, che ha potuto incontrare i suoi avvocati in videoconferenza: “Amay sembra sana”, ha detto uno di loro, utilizzando il termine affettivo birmano per “madre”. Sono oltre 560 le persone che hanno perso la vita dal 1° febbraio a oggi, denunciano gli operatori umanitari in Myanmar, e aggiungono: “I soccorritori e i medici della Croce Rossa del Myanmar sono stati ingiustamente arrestati, intimiditi o feriti e le proprietà e le ambulanze della Croce Rossa sono state danneggiate. Gli operatori sanitari non dovrebbero mai essere un obiettivo.” Si tratta di una vera e propria crisi sanitaria, in quanto i disordini nel paese stanno provocando un più ampio crollo dell’infrastruttura sanitaria e di altri servizi di base come trasporti e banche. [Fonti: Reuters, Reuters]

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