In Cina e Asia – Inquinamento dell’aria, a Chunjie PM 2.5 alle stelle

In Notizie Brevi by Gabriele Battaglia

I titoli di oggi della nostra rassegna:

– Inquinamento dell’aria, a Capodanno PM 2.5 a 700 a Pechino
– Cina: le proteste si spostano dalle fabbriche ai servizi
– Hong Kong è «parzialmente libera», dice Freedom House
– Giappone, no al diritto di oblio su Internet
– I comunisti filippini riprendono le armi Inquinamento dell’aria, a Capodanno PM 2.5 a 700 a Pechino

La vigilia di capodanno cinese di sabato scorso è stata segnata dall’aria irrespirabile in molte grandi città del Nord della Cina, fa sapere il Ministero della tutela ambientale cinese. A Pechino, nonostante le autorità cittadine abbiano imposto un taglio del 30 per cento alle vendite di fuochi artificiali e mortaretti, i livelli di Pm 2.5 sono balzati a 700, scrive il Global Times. Rilevazioni simili anche a Tianjin e Shijiazhuang, nella provincia dello Hebei. Meglio, invece l’aria nelle città che hanno istituito un bando sui fuochi d’artificio, come Shanghai, Nanchino, Hangzhou e Taiyuan. Complice forse anche il grande esodo verso le province che ha svuotato molte grandi città, in alcune zone si sono addirittura registrati livelli accettabili di inquinamento nell’aria. 

Cina: le proteste si spostano dalle fabbriche ai servizi

Secondo l’ong China Labor Bullettin, in Cina nel 2016 si sono verificati 2.663 scioperi, 112 in meno rispetto all’anno precedente, ma quasi il doppio rispetto al 2014. A fare notizia è il progressivo spostamento delle proteste dal manifatturiero ai servizi. Le astensioni dal lavoro in forma di protesta sono raddoppiate nel settore della vendita al dettaglio, cresciute di un quarto nei trasporti e un quinto nei servizi. Per la prima volta il totale di questi tre comparti ha superato quello riportato dal settore produttivo, sceso quasi di un terzo. Allo stesso tempo il problema dei salari arretrati, tipico dell’industria edile, si sta estendendo anche ai mestieri coinvolti nell’"internet plus", il piano lanciato nel 2015 dal premier Li Keqiang con l’obiettivo di estendere l’utilizzo dell’informazione tecnologica ai settori convenzionali. Una bella gatta da pelare per Pechino che vuole fare dei consumi il traino della crescita cinese.

Hong Kong è meno libera, dice Freedom House

L’influenza di Pechino su Hong Kong si fa sempre più invadente, scrive nel rapporto Freedom in the World 2017 Freedom House, organizzazione che monitora lo stato dei diritti umani nel mondo con sede a Washington. La scomparsa di cinque librai, la vicenda dei due parlamentari indipendentisti sospesi e una generale crescente pressione sui media e sugli ambienti accademici vengono citati come fattori determinanti nel cambiamento generale del clima politico-sociale nell’ex colonia britannica. La città rimane campionessa nel ranking dei diritti politici e libertà civili, nota il South China Morning Post. In generale però la città rimane «parzialmente libera», con un indice generale di libertà fissato a 3,5 su 7.

Giappone, no al diritto di oblio su Internet

La Corte suprema giapponese ha rigettato l’appello di un uomo che aveva citato in giudizio Google per ottenere la cancellazione dei riferimenti alla sua condanna per prostituzione minorile dai risultati del motore di ricerca. In questo caso, si legge nella sentenza, la gravità del crimine e il diritto del pubblico di sapere hanno la precedenza sul diritto alla privacy dell’imputato. “La prostituzione minorile è punita dal codice penale ed è oggetto di forte condanna sociale”, ha scritto nella sentenza la giudice Kiyoko Okabe. Il risultato arriva a un anno di distanza dalla sentenza di un tribunale locale che invece riconosceva all’uomo, sulla scia della sentenza del 2014 della Corte di giustizia europea, il diritto di ricostruirsi una vita professionale senza che la sua fedina penale diventasse un ostacolo. 

I comunisti filippini riprendono le armi

I ribelli comunisti filippini hanno annunciato la fine del cessate-il-fuoco accusando il governo del presidente Rodrigo Durtete di violare i diritti umani nelle zone sotto il loro controllo. Il comunicato è arrivato quando è trascorsa una settimana dall’ultima tornata di colloqui di pace, che si è tenuta a Roma sostenuta dalla mediazione norvegese. Il Partito comunista delle Filippine ha comunque spiegato di non volersi ritirare dalle trattative. Tuttavia il prossimo 11 febbraio rinizieranno le operazioni contro le forze di sicurezza e l’esercito regolare.I ribelli hanno inoltre criticato il presidente per la mancata amnistia .