In Cina e Asia – Cina: posizione ferma contro il cambio di regime in Siria

In Notizie Brevi by Sharon De Cet

La Cina si opporrà ad ogni tentativo di promuovere un cambio di regime in Siria ed incrementerà la collaborazione con Damasco sui progetti legati alla Belt and Road Initiative e alla lotta contro il terrorismo. È quanto affermato sabato scorso dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi durante una visita al presidente siriano Bashar al-Assad, la prima visita del tour di quattro giorni che Wang ha in programma nel Medio Oriente, dove il ministro cinese visiterà anche Egitto e Algeria.

A Damasco Wang Yi ha affermato di apprezzare l’appoggio della Siria ai progetti legati alla BRI e agli “interessi primari cinesi” ed ha sottolineato che la Cina non mancherà di sostenere la Siria nella sua ricostruzione e nella lotta contro la pandemia.
La regione mediorientale sembra stia diventando una vera e propria priorità nella politica estera cinese: il tour di Wang arriva infatti dopo la visita del ministro in Asia Centrale – dove l’Afghanistan è stato al centro dell’agenda in vista del ritiro delle truppe statunitensi dalla regione.

A Tashkent, Wang ha dichiarato alla controparte saudita Faisal bin Farhan Al Saud che la Cina continuerà ad aiutare l’Arabia Saudita nel mantenere la sicurezza nella regione, sottolineando altresì che ogni tentativo da parte di forze militari straniere di instaurare un modello istituzionale sugli altri paesi mediorientali sarà invano. Particolare attenzione è stata inoltre prestata alla questione dell’accordo di libero scambio tra la Cina ed il Gulf Cooperation Council – un’unione politica ed economica regionale e intergovernativa composta da Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti: secondo molti esperti, la visita di Wang potrebbe presto dare una nuova spinta per rinvigorire le negoziazioni, in stallo ormai da quasi dieci anni. [fonte SCMP]

Cina: aumentano i casi di discriminazione di genere sul posto di lavoro

Mentre Pechino tenta di combattere il declino della popolazione, adottando misure per favorire la natalità, le donne che lasciano il lavoro in seguito a discriminazioni sarebbero in aumento. È quanto emerge da un’inchiesta condotta da Bloomberg, secondo la quale il divario retributivo di genere per i nuovi assunti è aumentato di oltre il 20% dal 2013, anno in cui il governo cinese ha iniziato a consentire ad alcune famiglie di avere due figli. In negativo anche il rapporto lavoratori/lavoratrici, che negli ultimi quattro anni è diminuito di più in Cina rispetto alle principali economie globali, secondo i dati compilati dalla Banca Mondiale.

Il principale motivo alla base della crescente discriminazione è la riluttanza dei datori di lavoro a pagare il congedo di maternità: per legge, le donne in Cina hanno diritto ad almeno 98 giorni di ferie pienamente retribuite, ma solo parzialmente finanziate dallo Stato. Inoltre, le donne cinesi na sembrerebbero meno propense a impegnarsi in lunghi orari di lavoro dopo aver avuto figli, complice un sistema di assistenza all’infanzia molto competitivo. Ad aggravare il fardello delle lavoratrici vi sarebbero poi alcuni elementi culturali, come per esempio la mole di lavoro domestico: un sondaggio condotto delle autorità cinesi nel 2018 mostra che le donne dedicano ai compiti domestici una media di 126 minuti al giorno, rispetto a soli 45 minuti per gli uomini.

La Cina ha già leggi che vietano la discriminazione di genere sul lavoro. Tuttavia, il governo centrale si è sentito obbligato nel 2019 a stabilire norme specifiche relative all’assunzione: i potenziali datori di lavoro non possono più chiedere alle candidate il loro stato matrimoniale, richiedere test di gravidanza o pubblicare annunci che specificano un requisito o una preferenza di genere. Nonostante le normative vigenti, il problema non è scomparso. Un sondaggio su oltre 7.500 donne pubblicato a marzo da Zhaopin Ltd., ha riscontrato che ben il 56% delle intervistate ha dichiarato di aver dovuto rispondere a domande invadenti durante i colloqui di lavoro, mentre il 30% ha affermato di aver incontrato datori di lavoro che volevano solo uomini. In seguito alle polemiche emerse online, numerose aziende hanno dovuto scusarsi pubblicamente per aver operato discriminazioni in base al genere: Pop Mart International Group Ltd., un produttore di giocattoli con sede a Pechino, si è scusato il mese scorso dopo essere stato oggetto di intense critiche sui social media per aver chiesto alle candidate di lavoro di scrivere se e quando avevano pianificato di avere figli su un modulo di candidatura. “L’applicazione delle leggi e dei regolamenti esistenti è ancora molto scarsa e persino il governo stesso è ampiamente discriminatorio nelle sue assunzioni”, afferma Yaqiu Wang, ricercatore cinese presso Human Rights Watch. Secondo uno loro studio, circa l’11% dei bandi destinati ai dipendenti pubblici nel 2020 specificava una preferenza o un requisito per gli uomini. [[fonte Bloomberg]

I membri del PCC prendono “scorciatoie” per studiare i pensieri di Xi Jinping

Appunti, commentari, dispense. Non stiamo parlando degli strumenti utilizzati da milioni di universitari in tutto il mondo per evitare di leggere tutto il materiale richiesto per un esame universitario, ma di un nuovo business che in Cina già vale decine di migliaia di yuan. Il tema principale di questi riassunti ufficiali, disponibili a pagamento su numerosi profili WeChat, sono i pensieri del leader cinese Xi Jinping, che dal 2012 sono oggetto di studio obbligatorio per tutti i membri del PCC ma che molti, per mancanza di tempo o voglia, preferiscono delegare a professionisti dell’ideologia di partito.

Sebbene esistano app che offrono test giornalieri sui pensieri di Xi – come per esempio Xuexi Jiangguo, il cui download e utilizzo è obbligatorio per i 95 milioni di membri del partito – alcuni intraprendenti studiosi offrono esami precompilati per permettere ai quadri comunisti di passare i test di ideologia. Questi testi, tutti carichi di gergo di partito, in genere iniziano con un’elaborata panoramica dell’ultimo discorso di Xi, seguita da un’analisi di sezioni specifiche che sono rilevanti per la linea di lavoro del “cliente”. Segue poi una dichiarazione di lealtà al leader con la precisazione che il discorso sarà di ispirazione in futuro. Test su misura sono disponibili per i funzionari di ogni livello, dalle autorità municipali e di contea fino a quelle provinciali. I prezzi di tali test precompilati sono accessibili: per soli 898 yuan (138 dollari USA) all’anno, i membri possono accedere all’intero archivio di più di 40.000 esempi. Secondo un imprenditore intervistato dal South China Morning Post, la base di clienti è composta principalmente da quadri di basso rango che non hanno un assistente ma devono presentare molti rapporti per iscritto.

Non sorprende che Pechino abbia una visione negativa di tali pratiche: l’organo disciplinare del PCC ha ripetutamente messo in guardia i funzionari, poiché alcune persone sono state scoperte perché non avevano rimosso le filigrane dai test che avevano scaricato. Le pene per coloro che vengono catturati vanno da una lettera di avvertimento, fino ad un rimprovero scritto che viene allegato al loro profilo, danneggiando gravemente le loro possibilità di promozione. [fonte SCMP]

Covid-19: i paesi del Sud Est asiatico vogliono i vaccini occidentali

I paesi del sud-est asiatico si stanno rivolgendo sempre più ai vaccini occidentali per frenare la pandemia di coronavirus, una vera e propria transizione rispetto all’inizio dell’anno, marcato da una dipendenza dai vaccini cinesi. La maggior parte dei vaccini in Indonesia e nelle Filippine proveniva infatti dalla cinese Sinovac Biotech, ed anche la Malesia aveva basato la sua campagna vaccinale su un mix tra Sinovac e Pfizer.

Dietro le motivazioni del cambio di forniture vaccinali i paesi non hanno citato preoccupazioni sull’efficacia di Sinovac – nonostante l’Indonesia abbia recentemente affermato di aver pianificato somministrare una dose di richiamo agli operatori sanitari che avevano ricevuto due dosi del vaccino Sinovac – ma piuttosto ragioni legate alla nuova ondata di contagi dovuti alla variante Delta del virus.

Infatti, nelle ultime settimane molti paesi del sud-est asiatico, ed in particolare Indonesia, Cambogia, Myanmar, Vietnam e Thailandia – hanno rilevato un netto aumento dei ricoveri per coronavirus, complice la lentezza della campagna vaccinale. In Indonesia ad esempio – paese che ha recentemente registrato il record mondiale di contagi giornalieri con 54 mila casi positivi in sole 24 ore – solo il 5,8% della popolazione è completamente immunizzata. Per questa ragione, nei giorni scorsi Indonesia e Malesia hanno dichiarato di voler ricevere milioni di dosi del vaccino sviluppato da Pfizer Inc. e BioNTech nella seconda metà dell’anno. Le Filippine hanno già iniziato a ricevere forniture di vaccini da Moderna e Pfizer, con nuove donazioni attese nei prossimi mesi.

Il profilarsi di una nuova potenziale ondata di contagi nel sud-est asiatico è diventato per molte potenze occidentali, ed in particolare per gli USA, un’occasione da cogliere al volo: già a maggio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si era impegnato a donare 80 milioni di vaccini in tutto il mondo dalla fornitura nazionale americana, di cui circa il 75% sarà fornito attraverso il programma globale COVAX. Ora, con il rallentamento dell’epidemia negli Stati Uniti e l’alto tasso di immunizzazione tra gli americani, milioni di dosi di vaccino sono disponibili per la donazione ai paesi del sud-est asiatico.

La regione conta non pochi alleati americani: le Filippine, che hanno stretto un accordo di alleanza con gli americani; il Vietnam, che negli ultimi anni è diventato uno dei più importanti alleati geopolitici degli Stati Uniti nella regione; e l’Indonesia, tradizionalmente pro-USA. [fonte WSJ;DW]