In Cina e Asia – A Taiwan si cerca di eliminare la Cina dalla Costituzione

In Notizie Brevi by Sabrina Moles

Lunedì, durante una sessione parlamentare, il gruppo dei legislatori del Partito Democratico Progressista (DPP) ha fatto richiesta per cambiare la bandiera del paese e rimuovere qualsiasi riferimento alla Cina continentale dalla Costituzione. La richiesta, per ora in pausa e considerata dai conservatori una provocazione, riflette una crescente tendenza a considerare lo status quo obsoleto e retaggio dell’identità del Kuomintang, il partito esule che dopo la guerra civile si è ritirato sull’isola per sfuggire ai comunisti e che domina la scena politica del paese da allora. Secondo i 58 legislatori che approvano la mozione, nessuno di questi elementi rifletterebbe più la realtà di Taiwan, avviata verso una “normalizzazione” della propria politica estera nonostante le pressioni da Pechino. Il DPP, che ad oggi occupa 61 seggi su 113, potrebbe non ottenere la revisione di alcun elemento citato nella mozione, perché le regole per il cambiamento della Costituzione sono molto rigide e l’opposizione importante. [Fonte: SCMP]

Myanmar: gli Usa preparano sanzioni

L’ONU ha pianificato un incontro questo giovedì per discutere della situazione, mentre a Washington si stanno valutando possibili sanzioni. I comunicati ufficiali sono in arrivo da tutto il mondo: l’ASEAN ha immediatamente chiesto di ristabilire un clima di dialogo, la Gran Bretagna – ex potenza coloniale in Myanmar – ha pubblicamente condannato i militari e chiede la liberazione dei civili, tra cui Aung San Suu Kyi. Nel frattempo sta facendo il giro del mondo un video di un’istruttrice di fitness con alle spalle un convoglio di militari di passaggio sulle strade di Naypyidaw. A questo link il nostro articolo che riassume i fatti di queste ultime ore e il contesto che li ha generati. [Fonte: Nikkei]

La Cina lancia il mercato delle emissioni, ma il settore energetico rimane indietro

È stato lanciato questa settimana il sistema di mercato delle emissioni in Cina. Si tratta di uno strumento amministrativo utilizzato per controllare le emissioni nocive prodotte da un’azienda, che dovrà pagare lo Stato in base alla quantità di inquinamento prodotta, “acquistando” delle quote. La mossa fa parte dell’ambizioso piano per il raggiungimento della neutralità carbonica di Pechino, che mira a compensare completamente il rapporto tra emissioni e assorbimento del carbonio entro il 2060. Ciononostante, la Cina rimane il maggiore inquinatore al mondo: è stato stimato nel 2019 che il solo paese asiatico produca il 29% dei gas serra al mondo. Il governo centrale ha inoltre messo sotto accusa la National Energy Administration (NEA), l’ente regolatore per il settore energetico. Secondo Pechino la NEA non avrebbe rispettato gli standard ambientali previsti, permettendo che il settore del carbone continuasse a crescere anziché diminuire. Il Global Energy Monitor denuncia inoltre l’espansione della rete di oleodotti e gasdotti nel paese, che non rappresentano una soluzione alla domanda di energia meno inquinante. Secondo Li Shuo, esperto di energia per Greenpeace China, la produzione di carbone sta tornando ai livelli del 2012-2014, quando le emissioni raggiunsero il picco massimo divenuto tristemente noto come “airpocalypse”. Ma, ha aggiunto, la critica del governo centrale può dare una spinta alla NEA verso l’applicazione rigorosa delle nuove direttive vigenti e avere un impatto significativo verso l’evoluzione di un settore energetico più pulito. Fonti: [France24, SCMP, SCMP]

La censura cinese arriva anche oltre il “Great Firewall”

Sono almeno cinquanta le persone arrestate negli ultimi tre anni dal governo cinese per aver utilizzato piattaforme di social per criticare il Partito. Secondo un’indagine del Wall Street Journal è emerso che in questi casi le persone sono state condannate per aver diffuso notizie false e danneggiare l’ordine sociale, nonostante i post venissero pubblicati su siti bloccati in Cina. Secondo gli attivisti per i diritti umani quello che si sta registrando è un’escalation della presa di posizione dell’autorità cinese nei confronti dei netizen “dissidenti”: negli anni passati la consuetudine era quella di approcciare i sospettati in privato, anche arrivando a molestie o brevi detenzioni. Sotto accusa soprattutto commenti e post sugli argomenti più scottanti: Hong Kong, Xinjiang, i dati dichiarati sulla pandemia e il ruolo del Partito Comunista Cinese. Alcuni testimoni intervistati dal giornale hanno detto di ritenersi stupiti della condanna, dichiarando di avere un numero insignificante di followers. L’azione sistematica di controllo della circolazione dei contenuti su piattaforme esterne al Great Firewall è un trend in crescita, andando di pari passo con il proliferare di account pro-Pechino associati al mondo della diplomazia e dei media, oltre ai troll che attaccano gli utenti e amplificano la copertura della propaganda nazionalista su queste piattaforme. Anche nel resto del mondo aumentano le richieste dei governi nei confronti delle grandi piattaforme social, come sta avvenendo in queste ore in India dopo che gli scontri tra manifestanti e polizia ha riacceso il malcontento nei confronti del governo. [Fonte: WSJ, The Guardian]

La nuova Rivoluzione Culturale passa da internet

Benvenuti su NetEase, la piattaforma di streaming musicale dove ogni artista può facilmente trovare la propria nicchia di fans. Questa è la storia di una di quelle tribù digitali che stanno crescendo all’interno della piattaforma: una comunità dei giovani cinesi di sinistra, appassionati di musica rivoluzionaria che tra un pezzo e l’altro amano discutere di Hegel e Marx. Questo perché ogni playlist funziona come forum a tema, dove tra consigli di ascolto più “generalisti” emergono vere e proprie chicche, come la playlist delle canzoni della guerra sino-vietnamita. La community dei giovani cinesi di sinistra raccoglie ragazzi di diversa estrazione sociale, dagli studenti all’estero ai millennials preoccupati per il proprio futuro. La maggior parte di loro appartiene alla generazione dei nuovi arrivati sul difficile mercato del lavoro cinese, con una visione del mondo scettica spinta dal capitalismo sfrenato e dalla crisi della democrazia. Mentre la retorica politica tradizionale su internet non rischia la censura, il dibattito di nuova generazione cade in una zona grigia dove ancora non è chiaro cosa viene accettato e cosa respinto dai compagni virtuali: l’ingresso di “Marching for Our Beloved” in una playlist rossa – canzone sulla rivolta democratica di Gwangju nel 1980 e ripresa dai manifestanti pro-democrazia di Hong Kong – ha fatto infuriare buona parte degli ascoltatori. Per queste ragioni nessuno utilizza la propria identità reale su NetEase, anche se la maggior parte degli utenti non si occupa di attivismo politico nel mondo reale, ma semplicemente trova conforto nella musica e nel sfogarsi con persone che condividono lo stesso pensiero. [Fonte: RADII China]

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