I diari di Bollophur – Un capodanno upper class a Calcutta

In by Simone

Siamo ufficialmente abitanti del villaggio di Bollophur, periferia di Santiniketan, periferia di Bolpur, a tre ore da Calcutta, Bengala Occidentale. Questi sono i nostri diari.
“I’m sorry sir, these are jeans, not trousers, you cannot enter.”

La security dell’esclusivo Dalhousie Institute di Calcutta aveva ricevuto ordini precisi dai piani alti del club. Dentro solo vestiti eleganti, niente pagliacciate.

“But these are not jeans, see, they’re yellow! They’re trousers, come on!”
“Sorry sir, you are not allowed to enter like these. Look at the pockets, they’re jeans”
“Because your trousers have no pockets?”
“Sir this are jeans, I can’t let you enter”
“Answer my question, do your trousers have pockets or not? What are you saying?”
“Sorry sir, I can’t let you in.”

Al veglione di capodanno al Dalhousie Institute siamo dei mezzi imbucati. Non siamo membri – bisogna essere ricchi e/o anglo-indiani per esserlo – e Piu, l’amica che ci sta accompagnando, ha avuto i biglietti da un membro del club di origini cinesi, che il capodanno se lo vuole passare a casa tranquillo, mentre moglie e figlia ci aspettano oltre le guardie.

Il cinese aveva ragione da vendere, ma ancora non potevamo saperlo.

Ci appostiamo a pochi metri dall’entrata, mentre Piu cerca di far ragionare la security, senza successo, fino a quando un gruppo di indiani in ghingheri occidentale raggiunge a grandi passi la reception.

Il figlio, intorno alla ventina, ha i pantaloni come i miei.

“Sorry sir, you can’t enter, these are jeans.”
“What?
– interviene il padre – These are not jeans, it’s ok, he can enter.”

Passano e con loro passiamo anche noi. Che i miei jeans, in cinque minuti, sono ridiventati pantaloni eleganti per entrare al Dalhousie Institute. E i jeans erano il meno, secondo me.

Visti i controlli e la serietà dell’etichetta, pregusto già una serata molto chic ed elegante in cui passerò molto tempo davanti al buffet e moltissimo fuori a fumare con la mano destra. La sinistra terrà un bicchiere di superalcolici sempre riempito da camerieri in livrea che mi terranno sotto osservazione aspettando di presentarsi con la bottiglia e “May I pour some more, sir?”, “Yes, you may, Dada”.

E invece no.
Dopo il metal detector un banchetto distribuisce ridicoli cappellini dai colori sgargianti. Indossato il cappellino, si passa a fianco a due cartonati di babbo natale appesi a una ringhiera di metallo prima di intravedere il banchetto del catering, dove ordinatamente disposti in piatti di carta troneggia la varietà di fritti precotti e congelati che, per il doppio del prezzo di mercato dei banchetti di Calcutta, vengono riscaldati in un fornetto a microonde.

Poco più avanti si apre lo spiazzo, coperto da un tendone da circo.
Un centinaio di tavoli di plastica, con sedie di plastica grigia, aspetta di essere occupato dai membri del Dalhousie Institute e dagli amici più stretti, previo acquisto del biglietto d’invito. 1400 rupie.

Con 1400 rupie si esce a mangiare in un buon ristorante 10 volte, ma il 31 dicembre 2011 a Calcutta si può rivivere un’atmosfera da sagra del salame di Ceretto circondati da indiani della upper class calcuttina: parlano solo inglese tra di loro, ai camerieri in bengali; uomini tutti in giacca e cravatta, donne di varia eleganza occidentale o indiana tradizionale; i giovani forse non lo sanno, ma gli opuscoli di vestiti da matrimonio bengalesi disseminati su ogni tavolo lasciano intendere quale dovrà essere l’andazzo della serata nel club.
Mischiarsi all’interno del Dalhousie Institute, mantenere la purezza della razza, partorire al più presto altri piccoli membri pronti a riempire la malinconica area giochi dietro al banchetto del catering.

Il nostro tavolo è vicinissimo al palco dove la band rockeggia al ritmo dei classici americani: i Queen, Jim Morrison, When the saints go marching in, Elvis Presley, Creedence Clearwater Revival…la gente si diverte un mondo, è tutto un wooooo e un destreggiarsi sulla pista da ballo. Come biasimarli? Anche l’alcol costa il doppio, da mangiare ci sono solo stuzzichini, almeno uno si scatena.

A me non piace ballare, meno male che mi piace fumare.

Quando la band smette, e si potrebbe chiacchierare un po’ al tavolo, almeno conoscere le persone che ci hanno invitato al party, parte la musica dei ggiovani e con la musica parte il ricambio generazionale in pista.
Largo ai ggiovani, che sbracciano e impazziscono sulle “note” di “Fly like a G-6, like a G-6, like a G.6”. Love is in the air, ci si struscia ma non troppo, si fanno le figure come nei balletti di Bollywood, le giovani più occidentalizzate simulano penetrazioni anali immaginarie in mezzo alla folla. Mancano un po’ di tatto, ma è il 31 e siamo al Dalhousie Institute, mica come quei pezzenti senza pantaloni eleganti, e se mi va di simulare sesso anale in latex con la mia amichetta del cuore, questo è il momento di farlo. Per trovare marito c’è tempo.
I ragazzi, coi Ray Ban, si immedesimano nei loro eroi del cinema e bulleggiano come Sharuk Khan, a volte con una ragazza, più spesso tra di loro. In Italia non sarebbero stati considerati dei machos.

3-2-1 ed è il 2012. Urla, abbracci, brindisi, jailhouse rock, like a G-6 like a G-6 like a G-6, e alle due si sbaracca tutto.
E’ il 2012 da due ore e tutti gli stand chiudono, non si riscalda più nulla al microonde e chi si era comprato i coupon per acquistare al banchetto degli alcolici – noi – non li può restituire.

“Sorry sir, I can’t refund your coupon sir. I’m sorry sir.”

Compriamo uno spiedino gigante per una cifra indegna, così da far fuori i coupon rimasti.
Il sir e la ma’am si infilano in macchina e tornano a casa, nel mondo di quelli senza trousers.