I Diari di Bollophur – Tirar giù un ponte a forza di sputi

In by Simone

Siamo ufficialmente abitanti del villaggio di Bollophur, periferia di Santiniketan, periferia di Bolpur, a tre ore da Calcutta, Bengala Occidentale. Questi sono i nostri diari.
I quotidiani indiani hanno sempre qualcosa di esilarante e al contempo spaventoso da raccontare.

Qualche giorno fa mi ha incuriosito un titolo molto attraente sul Telegraph. Suonava qualcosa come “Spit threatens Kolkata landmark, Howrah Bridge”. Il gigantesco ponte di acciaio, simbolo di Calcutta, minacciato dagli sputacchi dei passanti.
Faccio un giro sul web in cerca di smentite. L’inquietante notizia appare anche sul Guardian e sulla BBC: è tutto vero.
Howrah Bridge collasserà a forza di scaracchi.

Chiunque sia stato a Calcutta ricorderà con incanto quel colossale scheletro di acciaio che connette le due rive dell’Hooghly.
Sulla banchina est alle prime ore del giorno si tiene il più grande mercato di fiori di Calcutta, che rifornisce di ghirlande tutte le case e i templi della megalopoli. Un tripudio di ibiscus, garofani, cornacchie e montarozzi di marciume floreale in putrefazione.
Dall’altra parte del ponte, sulla riva ovest, la vecchia stazione di Howrah, punto nevralgico delle ferrovie dell’India orientale.
In mezzo, il possente Howrah Bridge con i suoi 700 metri di lunghezza e il suo continuo via vai di pedoni, biciclette, Ambassador, scassoni traballanti, macchinoni dei nuovi ricchi, autoriksha e Bajaj. Per un totale quotidiano stimato a quota 100.000 veicoli e 150.000 passanti.

Ora, è proprio per via delle malsane e ‘colorate’ abitudini dei menzionati 150.000 passanti che il caro vecchio Howrah Bridge e il suo profilo da cartolina rischiano di fare una brutta fine.
L’esistenza dell’Howrah Bridge si fonda, sin dal lontano 1936, sui suoi pilastri d’acciaio, che fiancheggiano le corsie pedonali a lato della carreggiata. Negli ultimi quattro anni la superficie delle coperture di protezione dei pilastri d’acciaio ha subito un’erosione per il 50% del suo spessore, da 6 mm a 3 mm in pochi anni. Come fa il sistematico e routinario costume dello scaracchio a corrodere una robusta superficie metallica?

La risposta è: PAAN. Gli indiani sono ingordi consumatori di paan, una sorta di chewing-gum leggermente inebriante e molto aromatico che si compone di: noce di betel tritata, calce (ottenuta mescolando con l’acqua i gusci di lumaca bruciati e polverizzati… ma forse questa è una variante del Bengala, non so), spezie e aromi vari, katha (una pasta di legno di acacia bollito, rinfrescante e colorante, tanto da essere usato per tingere i tessuti) e tabacco, il tutto arrotolato in una soffice foglia di betel.
La procedura di assunzione è la seguente: si ficca in bocca l’intero malloppo, si ciancica e si riciancica, e poi si emettono sonori e consistenti sputacchi di colore rosso acceso. Tali colate di rosso sono onnipresenti nelle strade, nelle stazioni e negli angoli del panorama urbano.

Masticare paan serve a rinfrescare l’alito, ripulire il palato e godere di un temporaneo senso di stordimento.
Per via delle sostanze corrosive in esso contenute, i segni di riconoscimento del masticatore cronico di paan sono: un sorriso orribile, denti marci e macchiati di rosso, e una propensione al di sopra della media a sviluppare il cancro orale.
Se ancora posso permettermi di aggiungere un’ulteriore nota dolente, per via della sua estrema popolarità e delle sue proprietà inebrianti il paan è lo stupefacente più economico e sottovalutato dell’India. Cinque milioni di bambini al di sotto dei 15 anni sono abitudinari consumatori di paan.

Ritorniamo al punto: come pensano gli indiani di salvare la pelle al simbolo di Calcutta, minacciato da 150.000 sputatori al giorno?
Gli ingegneri del porto hanno pensato di ricoprire le basi dei pilastri con della vetroresina a prova di paan. ML Meena, presidente del Kolkata Port Trust, ribadisce “la vetroresina è facilmente lavabile. Basterà ricoprire i pilastri con un sottile strato di vetroresina protettiva”.

Ma c’è dell’altro: la campagna per scoraggiare l’abito dello sputacchio fa ricorso all’intervento divino. Gli ingegneri del porto pensano infatti di inserire, al di sotto dello strato di vetroresina, delle scritte minacciose –DO NOT SPIT- affiancate da immagini degli Dei e delle Dee del pantheon induista, su cui nessuno oserebbe mai scaracchiare.
Il paan è l’oppio dei popoli. La religione in alcuni casi ha davvero proprietà salvifiche.