Giappone – Via i criminali di classe A da Yasukuni?

In by Gabriele Battaglia

Da decenni è la pietra dello scandalo che divide Tokyo da Pechino e Seul, un luogo che pochi capi di governo, nonostante tutto, hanno rinunciato a visitare. Eppure oggi da un gruppo di attivisti conservatori è arrivata finalmente una buona idea per rifare il trucco a un luogo dalla pessima fama. Luogo sacro di pellegrinaggio per i nostalgici dell’Impero, il santuario Yasukuni si trova nel pieno centro della capitale giapponese. Qui, come ricorda anche il sito internet del complesso sacro citando la buon anima del suo fondatore, l’imperatore Meiji (1868-1912), sono onorate le anime degli uomini che diedero la vita per lo Stato giapponese.

Fin qui potrebbe sembrare tutto normale. L’Europa è costellata di monumenti ai caduti delle due guerre mondiali e di statue al milite ignoto. A metà tra l’istituzione ultraterrena e quella statale, luoghi di questo tipo sono parte integrante delle nostre stesse culture nazionali che senza quei primi fatidici quattro decenni del XX secolo non sarebbero ciò che sono oggi.

Ma per capire i motivi delle croniche incazzature cinesi e coreane nei confronti del Giappone, immaginate, mutatis mutandis, che nel pieno centro di Berlino, invece di un memoriale dell’Olocausto, sorga un memoriale di tutti i morti dei Reich tedeschi. E per tutti intendo “proprio tutti”.

Sì, perché tra i 2,5 milioni di anime qui onorate, ci sono anche quelle di alcuni criminali di guerra di classe A, colpevoli di crimini “contro la pace”. Al processo di Tokyo tra il 1946 e il 1948 in questa categoria furono fatti rientrare tutti coloro che, facendo parte dell’élite governativa nipponica, erano stati coinvolti nella pianificazione e dell’avvio del conflitto, durato, in Asia orientale, grossomodo dal 1931 al 1945.

La storia della loro “beatificazione” è complessa e ha risvolti affascinanti (qui troverete un resoconto più dettagliato): ad esempio il fatto che l’iter fu lungo più di trent’anni e si risolse in una cerimonia segreta nel 1978 officiata da un capo-sacerdote che rifiutava il verdetto del tribunale degli Alleati; o che nessun imperatore giapponese dal dopoguerra a oggi si è mai recato in visita al santuario se non nell’anniversario della resa, il 15 agosto; oppure ancora che Papa Giovanni Paolo II celebrò una messa per le anime dei criminali di guerra giapponesi nel 1980 in uno strano, quanto forse inopportuno, incontro di confessioni religiose.

Dopo anni di polemiche a distanza sul triangolo Tokyo-Pechino-Seul, da alcuni esponenti del Partito liberaldemocratico (PLD), oggi al governo, è finalmente arrivata una proposta di buon senso. Durante una recente riunione, i rappresentanti della Izoku Rengõ-kai, un’associazione di familiari dei caduti, legata al PLD, hanno approvato una risoluzione che chiede all’amministrazione dello Yasukuni di spostare le anime dei criminali di classe A in un altro luogo.

Il gruppo ha fatto sapere che altre risoluzioni del genere saranno approvate a breve e che potrebbe raggiungersi presto la massa critica necessaria al cambiamento. Il gruppo ha fatto sapere che altre risoluzioni del genere saranno approvate a breve e che potrebbe raggiungersi presto la massa critica necessaria al cambiamento.

L’idea è quella di dare all’Imperatore e al primo ministro la possibilità di recarsi al santuario senza remore. Se i monarchi giapponesi evitano Yasukuni come la peste da quasi 40 anni, primi ministri, ministri e parlamentari sembrano amare il posto tanto da organizzarvi dei pellegrinaggi di gruppo. Lo stesso Shinzo Abe, l’attuale primo ministro, vi si era recato a dicembre 2013 in una delle sue prime apparizioni pubbliche da capo del governo: le proteste da parte di Cina e Corea del Sud furono immediate e per non rischiare ulteriori grattacapi diplomatici, il 15 agosto scorso Abe si è limitato a inviare un’offerta.

Certo, a Yasukuni tutto ricorda la guerra: dal monumento al primo kamikaze al padiglione dove sono esposte le armi e i mezzi dell’esercito imperiale: una siile “trasmigrazione” di anime non avrebbe lo stesso impatto dell’ex cancelliere della Germania federale Willy Brandt inginocchiato al ghetto di Varsavia in segno di contrizione per i massacri compiuti dai militari tedeschi nel ’43.


[Foto credit: huffingtonpost.com]

Tuttavia, liberare Yasukuni dall’ombra di gente del calibro di Hideki Tojo, primo ministro e ministro della guerra tra il 1941 e il 1944, principale responsabile dell’avanzata imperialista giapponese in Asia-Pacifico, o del generale Iwane Matsui, uno dei responsabili del massacro di Nanchino del 1937, in cui si stima morirono tra le 200mila e le 300mila persone, potrebbe essere un minuscolo passo avanti sulla lunga strada della piena riconciliazione con i vicini asiatici. Minuscolo, ma pur sempre significativo

[Anche su East Rivista di Geopolitica; foto credit: photoshelter.com]