Giappone – Il ritorno del karoshi

In by Gabriele Battaglia

Pochi giorni fa, il ministero del Welfare ha riconosciuto un indennizzo per morte da troppo lavoro a un lavoratore con con­tratto «ati­pico». Quello che il governo giap­po­nese gui­dato da Shinzo Abe vor­rebbe nor­ma­liz­zare, almeno per alcune cate­go­rie di col­letti bian­chi, nel ten­ta­tivo di ridurre la quan­tità di ore di lavoro dei lavo­ra­tori giapponesi. Ma, dicono i critici, la misura potrebbe produrre l’effetto opposto. A luglio 2013, un impie­gato di 47 anni sviene, col­pito da uno scom­penso car­diaco. Muore poco dopo. L’uomo faceva l’analista finan­zia­rio in un’azienda di Tokyo con un con­tratto a ore fles­si­bili con clau­sola di 40 ore al mese di straor­di­nari. Il mese prima del suo decesso aveva lavo­rato oltre il dop­pio — 100 ore — degli straor­di­nari concordati.

Pochi giorni fa, a distanza di più di due anni dalla morte, l’ufficio del lavoro di Tokyo ha rico­no­sciuto alla fami­glia il diritto all’indennizzo per casi di karo­shi, «morte da troppo lavoro». È uno dei raris­simi casi che riguardano un lavo­ra­tore con con­tratto «ati­pico», una forma di impiego che il governo giap­po­nese gui­dato da Shinzo Abe vor­rebbe nor­ma­liz­zare — almeno per alcune cate­go­rie di col­letti bian­chi — nel ten­ta­tivo di ridurre la quan­tità di ore di lavoro dei lavo­ra­tori giapponesi.

Il governo Abe è impe­gnato in uno sforzo legi­sla­tivo in mate­ria di lavoro nel ten­ta­tivo di rilan­ciare l’economia dopo anni di sta­gna­zione. L’equazione è sem­plice: più tempo libero uguale più con­sumi. Dall’anno pros­simo cin­que giorni di ferie obbli­ga­tori e una nuova festa nazio­nale, «il giorno delle montagne».

Ma loro, i lavo­ra­tori, sem­brano poco inclini – o forse impos­si­bi­li­tati — a pren­dersi giorni di riposo. La mag­gior parte di loro usa appena la metà dei 18,5 giorni di per­messo pagati all’anno. Ma per molte aziende giap­po­nesi far fare più ore al pro­prio orga­nico è l’opzione più comoda a fronte di una forza lavoro in con­ti­nuo calo — circa un milione all’anno, secondo l’istituto giap­po­nese di ricer­che sulla popo­la­zione e la sicu­rezza sociale.

La bozza di riforma del lavoro appro­vata dal governo, in attesa del pas­sag­gio alle Camere, punta a cam­biare la filo­so­fia lavo­ra­tiva dif­fusa nel Paese del Sol Levante. I prov­ve­di­menti riguar­dano, in par­ti­co­lare, due grandi «aree»: l’introduzione di un sistema ad alta pro­fes­sio­na­lità e l’allargamento di un sistema di impiego «fles­si­bile» a seconda delle neces­sità del pro­prio set­tore. In que­sto secondo ambito rien­tra l’esclusione dalle regole in vigore sugli orari di lavoro per alcune cate­go­rie di lavo­ra­tori — come gli ope­ra­tori del set­tore delle con­su­lenze e dei ser­vizi finan­ziari, ma anche archi­tetti e avvocati.

In totale saranno inte­res­sati poco più di un milione di lavo­ra­tori (il 4 per cento del totale) ma per il governo giap­po­nese è un primo passo avanti verso la gene­ra­zione degli «straor­di­nari zero».

Secondo la Kei­dan­ren, l’associazione di indu­striali del Sol Levante, l’iniziativa del governo ren­derà i lavo­ra­tori più pro­dut­tivi e pre­mierà coloro che por­te­ranno risul­tati, non chi lavo­rerà più a lungo. Anche lo Stato fa il suo: per aumen­tare l’efficienza nelle ore diurne, a par­tire da quest’estate, i fun­zio­nari mini­ste­riali ini­zie­ranno i pro­pri turni la mat­tina pre­sto per avere tardo pome­rig­gio e sera liberi per lo svago.

Come dimo­stra la vicenda dell’analista finan­zia­rio 47enne e di migliaia di altre vit­time del karo­shi, più libertà di ora­rio non signi­fica meno ore di lavoro. Per sin­da­cati ed esperti di diritto di lavoro con que­ste nuove regole il governo accende un sema­foro verde per i datori di lavoro che non pagano gli straor­di­nari.

Il timore di alcune asso­cia­zioni di fami­liari di vit­time di morte da super­la­voro è però che la nuova legi­sla­zione in mate­ria di lavoro possa por­tare a un nuovo aumento dei casi di karo­shi e a cre­scenti dif­fi­coltà per otte­nere inden­nizzi. «Sem­pre più per­sone muo­iono o si amma­lano per il troppo lavoro. Ma è molto dif­fi­cile dimo­strarlo», ha spie­gato al Japan Times Shi­geru Waki della Ryu­koku University. 

[Scritto per il manifesto; foto credit: stevemccurry.files.wordpress.com]