FEFF16 – Hong Kong, crisi da handover

In by Gabriele Battaglia

Il cinema di Hong Kong con i suoi 10 film è stato tra i più rappresentati della rassegna di Udine. Dalla commedia erotica di 3D Naked Ambitions all’azione di Dante Lam e Alan Yuen i titoli in programma hanno saputo emozionare e divertire. La crisi c’è, ma  il cinema della ex colonia britannica conserva la sua vitalità. “Voci e sguardi oltre l’handover”, come recita il sottotitolo del bel volume presentato proprio in occasione del FEFF16 a cura di Stefano Locati e Emanuele Sacchi, è ciò che si potrebbe dire della variegata e corposa – ben dieci titoli – produzione made in Hong Kong presentata alla kermesse friulana del 2014: tra nostalgia dei vecchi tempi, rivendicazioni di “hongkonghesità” e inevitabili aperture verso la Cina continentale.

Il cinema dell’ex-colonia britannica era (è) in crisi dai tempi dell’handover, non tanto per il ritorno alla Cina in sé, quanto piuttosto per l’ipertrofismo dell’allora terza industria cinematografica al mondo che aveva portato negli anni ottanta e nei primi novanta a una saturazione del mercato interno e asiatico (fonte della maggior parte dei profitti di queste produzioni).

A questo stato delle cose si è aggiunto nel post-1997 il dover venire a patti con il mammut cinese, provocando un iniziale spaesamento, andato via via migliorando fino a una certa stabilizzazione raggiunta con gli accordi CEPA (Closer Economic Partnership Arrangement).

Entrate in vigore nel 2004, queste misure hanno rappresentato per le maestranze di Hong Kong una via più facile di accesso al pubblico cinese e una maggiore libertà nelle co-produzioni con il continente. Per un cinema libero e estremamente eterogeneo come quello hongkonghese , però, le limitazioni imposte dalla censura della Repubblica Popolare hanno abbassato la soglia del mostrabile e ridimensionato la varietà dei temi ammessi, portando i cineasti a sottostare a compromessi significativi.

Per questo negli ultimi anni si stanno affermando nel cinema locale tensioni opposte: quella della rivendicazione dell’orgoglio hongkonghese e quella che spinge verso l’appagamento del pubblico della Cina continentale.

Un esempio della prima tendenza è sicuramente 3D Naked Ambition di Lee Kung-lok, commedia erotica stereoscopica che vede come protagonista la splendida faccia da schiaffi di Chapman To in un soggetto quantomeno singolare: uno scrittore di romanzi erotici disoccupato si ritrova star del porno in Giappone. 

Una pellicola di Categoria III (vietata ai minori) impossibile da esportare in Cina e che per questo sfoggia orgogliosamente seni al vento, battute volgari e gag di cattivo gusto, riaffermando così in maniera gioiosa l’anarchia cantonese. Non solo, la pellicola si chiude addirittura con un afflato campanilistico che rivendica l’unicità di Hong Kong attraverso alcune trovate anche piuttosto grossolane, come il richiamo – gratuito – alle tensioni per le isole Diaoyu/Senkaku.

Dall’altro lato c’è un film come As the Light Goes Out di Derek Kwok, storia di pompieri che si trovano a salvare vite umane in una situazione oltre le soglie della verosimiglianza.

Con un uso degli effetti speciali dirompente, prendono vita esplosioni pirotecniche e un fumo quasi tangibile e predatore, mentre le tensioni interne tra i pompieri, che fino ad allora avevano tratteggiato un quadro composito, vanno dissolvendosi tra atti di sacrificio estremi e appianamento dei problemi in nome del lavoro di squadra. Un racconto esportabile nel continente che coniuga spettacolarità e alti valori morali, nel quale non a caso sono inseriti anche due personaggi cinesi che comunicano in mandarino.

Certo, fortunatamente non siamo ancora ai livelli di un’altra opera presentata al festival, questa volta di produzione esclusivamente cinese, come To Live and Die in Ordos che verrebbe da definire “di regime” per la rappresentazione agiografica di un commissario di polizia integerrimo e giusto con tutti, per il quale il lavoro e il rispetto della propria uniforme sono i valori più alti.

Hong Kong comunque continua a produrre anche gli spettacolari blockbuster di genere che la hanno resa famosa, come il super action di Alan Yuen presentato al FEFF16, Firestorm, il quale può vantare un protagonista come Andy Lau – uno dei volti più iconici dello star system locale – e una serie di comprimari di lusso.
In un intreccio complesso ma innocuo, dove ogni situazione punta alla massima resa spettacolare, si svolge una sessione di guardie e ladri magniloquente e fracassona, dal ritmo adrenalinico, grazie a scene d’azione che non si preoccupano delle leggi fisiche. La computer grafica mostra i suoi muscoli, tra ralenti e acrobazie stilistiche barocche, fino al climax nel quale viene fatto saltare in aria un intero isolato, all’insegna di un divertimento spensierato e costantemente sopra le righe.

 
A contrapporsi a questo genere di produzioni c’è una quarta via, rappresentata al meglio in tempi recenti da Ann Hui e dal suo bellissimo A Simple Life (2011), ovvero quella del sociale che si interessa alle zone meno note dell’ex colonia inglese, con opere ambientate all’ombra dei grattacieli, nei quartieri più poveri e dimessi.

E’ il caso del racconto di disagio adolescenziale May We Chat di Philip Yung, storia di tre ragazze problematiche, apatiche e incapaci di esternare i propri sentimenti se non attraverso l’uso dei cellulari (e se il messaggio non si fosse capito, una è addirittura sordomuta!).

Mano a mano che due di loro vanno alla ricerca della terza, scomparsa nel nulla dopo un tentativo di suicidio, emerge un racconto crudo e realistico, fatto di assenze e abusi, con alcune scene di grande impatto emotivo che rendono il quadro senza speranza. Peccato che la critica sociale venga spazzata via a favore di un finale conciliatorio e poco credibile, per un ritorno su binari decisamente più banali e addirittura moraleggianti.

Il cinema di Hong Kong al FEFF 2014 continua a mostrare la sua vitalità e le sue contraddizioni, confermando di essere in una fase di passaggio. Vedremo dove porterà.  

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*Eugenio De Angelis è dottorando all’Università Ca’ Foscari di Venezia dove si occupa di cinema e teatro contemporaneo giapponese. Ha scritto per Cineforum, Nocturno e numerosi siti web. Collabora in varie forme con la Mostra del Cinema di Venezia, la Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro e il Ca’ Foscari Short Film Festival.