Dragonomics – Li l’americano

In by Simone

In America Latina non mancano critiche alla "politica degli annunci" di Li Keqiang, in visita ufficiale nel continente, dove cerca di ridefinire la strategia "win-win" di Pechino. Il viaggio del premier cinese rientra comunque in una strategia sia economica sia politica, di lungo respiro. La ferrovia Atlantico-Pacifico? Progetto vecchio e inattuabile. Il commercio bilaterale? Per carità, con il rallentamento dell’economia cinese e il calo dei prezzi delle materie prime, tutto il Sud America ha già accumulato un deficit insostenibile. Hanno promesso di comprarci nuovi prodotti ad alto valore aggiunto e di rimettersi a importare carne? Sì, come no, l’aveva promesso anche Xi Jinping.

Il viaggio del premier Li Keqiang in Sud America non sembra suscitare entusiasmi trascendentali tra i partner latinos, e si fa strada sempre più l’idea che Pechino adotti una “politica degli annunci” (dove l’abbiamo già sentita?) che non saranno mai realizzati.
A Lima, Perù, l’ultima tappa prima di quelle conclusive in Cile e Colombia, Li ha siglato l’ennesima padellata (wok) di accordi, raccomandando alle aziende cinesi non solo di “fare sistema” – cioè agire insieme ed ottimizzare i costi – ma anche di assumere “responsabilità sociale”, cioè dare beneficio alle comunità locali. È la nuova versione del win-win cinese, che in Africa ha lasciato più di un sospetto che fosse in realtà un win (Cina)-win (le elite locali)-loose (le comunità).

Nella capitale peruviana, Li ha dunque incoraggiato le compagnie minerarie e manifatturiere a coordinarsi con le istituzioni finanziarie, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo, e ha detto che Pechino rafforzerà i suoi legami con il Paese andino, aggiungendo poi un’esortazione a mantenere un “rapporto armonico” con le comunità locali.
Intanto siglava accordi per decine di miliardi di dollari che si aggiungevano ai 53 (miliardi) già sottoscritti in Brasile la scorsa settimana.

Proprio dal Brasile, arrivano però le prime voci critiche: “Dobbiamo prendere questi potenziali investimenti con cautela”, dice per esempio al South China Morning Post Larissa Wachholz, esperta di investimenti sino-brasiliani.
Il punto è che, per esempio, il commercio con la Cina è sempre più controverso per gli interessi degli esportatori di materie prime, come il Brasile stesso, Perù e Cile. Il rallentamento economico oltre Muraglia e il calo dei prezzi delle commodities sui mercati internazionali hanno creato dolorosi deficit commerciali. Brasilia, per esempio, che nel 2011 aveva 20 miliardi di dollari di surplus con la Cina, l’anno scorso ha totalizzato 4 miliardi di di disavanzo, destinati ad aumentare quest’anno. Anche il Perù, che esporta migliaia di tonnellate di rame, ferro e zinco in Cina, è in deficit commerciale dal 2013.

Questa settimana, Li ha rinnovato le promesse della Cina di acquistare più prodotti a valore aggiunto, come ad esempio aerei a reazione del Brasile, e ha annunciato anche la ripresa delle importazioni di carne bovina, sempre dal Brasile, che era stata sospesa nel 2012. “L’aveva già promesso Xi Jinping durante la sua visita lo scorso anno – dice Wachholz – ma finora non se ne vede traccia. I produttori di carne brasiliani continuano a manifestare ansia e frustrazione”.
“C’è poi un problema di trasparenza”, ci dice Marcelo Ninio, inviato della Folha de Sao Paulo a Pechino. “Un mese fa la Cina ha concesso un prestito a Petrobras da 3,5 miliardi di dollari, che sembrerebbe siano già diventati 10 miliardi negli ultimi giorni. Petrobras è in crisi e al centro di uno scandalo per corruzione, del prestito cinese non si sa nulla, né i tassi di interesse né se sarà pagato in denaro o in petrolio. È un’impresa di Stato, quindi dovrebbe rendere trasparenti le proprie operazioni, il mio giornale sta pensando di citarla in giudizio”.

Poi c’è la sbandierata ferrovia da 4.400 chilometri che dovrebbe collegare l’Atlantico e il Pacifico attraversando Brasile e Perù. Le aziende di Stato cinesi si sono impegnate a finanziare e realizzare studi di fattibilità nei prossimi mesi. Ma già Renato Pavan, esperto di trasporti in America Latina, dice al South China Morning Post che si tratta di una vecchia idea che non ha “alcuna possibilità” di essere realizzata: “È impraticabile dal punto di vista geografico, economico e commerciale. Dovrebbero esservi investiti circa 13 miliardi di dollari e, rispetto alle rotte marittime attuali, la distanza tra i porti sudamericani da cui proviene l’export e la Cina sarebbe ridotta di soli 2000 chilometri. Questo progetto è solo una questione politica”.

Appunto, la politica. Li Keqiang ha insistito che gli investimenti saranno dettati solo da criteri di mercato. Dobbiamo credergli?
Il problema è che “Argentina, Venezuela, Brasile, Ecuador sono in crisi – spiega Marcelo Ninio – e la crisi è un’opportunità politica per la Cina, non solo economica”.
Si chiama “diplomazia delle infrastrutture” e se è vero che – secondo il giornalista brasiliano – “i progetti avviati soffrono qualche battuta d’arresto, come la ferrovia veloce messicana bloccata lo scorso autunno”, emerge comunque la tendenza generale a una interrelazione sempre più stretta tra Cina e America Latina.

“L’anno scorso Xi Jinping ha visitato i Paesi dell’ALBA [l’unione bolivariana, ndr], mentre quest’anno Li Keqiang si è dedicato a quelli dell’Alianza del Pacífico, che è più filo-Usa”, aggiunge Ninio. “È come se prima avessero avvicinato gli alleati naturali, poi gli altri. Il Paese trait d’union è il Brasile che fu tra i primi a creare una strategic partnership bilaterale con la Cina, nel 1993, quando Pechino era isolata per i fatti di Tian’anmen”.
Che le mosse di Pechino abbiano anche una componente politica, lo rivela pure la vicenda del progetto alternativo al vecchio canale di Panama, il passaggio per il Nicaragua, che è sostanzialmente un’iniziativa cinese. “Lì, la Cina non agisce formalmente su spinta del governo, ma attraverso una società registrata a Hong Kong da un uomo con forti legami a livello di leadership [Wang Jing, ndr]”, spiega Ninio. “Perché? Semplice, perché il Nicaragua è ancora uno dei pochi Paesi che riconosce Taiwan”.

A partner politicamente diversi corrispondono dunque approcci formali diversi, ma si va comunque in una direzione unica: la maggiore integrazione anche politica tra America Latina e Celeste Impero.
Il momento chiave in cui è stata suggellato il nuovo trend si è avuto nel gennaio scorso, con il summit di Pechino tra Cina e Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (CELAC), l’organizzazione pan-americana che però tiene debitamente alla larga Stati Uniti, Canada, nonché possedimenti francesi, britannici e olandesi. “Si sono trovati tutti insieme – conclude Ninio – 33 Paesi latino-americani dalle più disparate linee politico-diplomatiche e lei, la Cina. Lì, c’è stato l’aggiornamento ufficiale dalla dimensione economica a quella politica”.