Dragonomics – La (seconda) casa non si tocca

In by Simone

La tassa sulla proprietà immobiliare è congelata, la bolla speculativa resta per ora libera di gonfiarsi, nonostante i buoni propositi. Sullo sfondo, le difficoltà del potere politico cinese nel fare i conti con se stesso

La patrimoniale non piace ai padroni del vapore, in nessuna parte del globo. Per forza, osserverà qualcuno, come si può chiedere a un politico di tassare chi gli finanzia la campagna elettorale o, peggio, se stesso?
In questo senso, la Cina non è da meno dell’Italia.
Secondo quanto riporta il China Securities Journal, il progetto pilota per tassare le proprietà immobiliari – soprattutto seconde case e abitazioni di lusso – resterà per ora confinato alle città di prima fascia e non verrà esteso a quelle di seconda e terza, come invece da più parti si pronosticava.

Nel settembre scorso, erano emerse indiscrezioni secondo cui la tassa sarebbe stata allargata dai siti originari di Shanghai e Chongqing ad altre città, al fine di raffreddare l’aumento dei prezzi degli immobili, vero motore dell’inflazione cinese e scandalo sotto gli occhi di tutti.

Negli ultimi dieci anni, il costo della casa è aumentato in Cina di dieci volte. Nonostante alcune misure restrittive del governo – che riguardano soprattutto la concessione di crediti ai palazzinari e di mutui ai compratori – i prezzi hanno ripreso a crescere pericolosamente negli ultimi mesi. Ecco perché si pensava a una tassa che colpisse soprattutto le seconde case.

La speculazione immobiliare è un buco nero che attira le risorse altrimenti disponibili per investimenti più produttivi. All’origine ci sono ragioni sia culturali sia materiali. Così, se è vero che la proprietà di una casa è il prerequisito ormai indispensabile per potersi sposare, è altrettanto vero che milioni di cinesi buttano i propri risparmi in progetti immobiliari improbabili perché il mattone è quasi l’unico investimento possibile.
A gennaio – secondo dati diffusi dal Financial Times – i maggiori developer cinesi hanno raccolto in totale 5,4 miliardi di dollari dai loro azionisti: una cifra che corrisponde alla metà di quanto avevano raccolto in tutto il 2012. È la prova che la curva del mercato sta di nuovo puntando verso l’alto, nonostante le politiche restrittive decise da Pechino.

Le conseguenze sociali sono spesso nefaste, come nel caso dell’esplosione degli affitti che penalizza i redditi bassi e medio-bassi di tutti quei cinesi che non possono permettersi di acquistare una casa.
O come nel caso dei contadini espropriati delle terre e indennizzati poco e male, proprio per fare spazio a compound pseudo avveniristici, cattedrali nel deserto e città fantasma.
Il che è una bomba a orologeria: una bolla speculativa che rischia di esplodere con conseguenze tragiche.

Finora però continua a gonfiarsi, e uno dei problemi principali è proprio il potere politico legato a doppio filo a questo fenomeno. Le amministrazioni locali, nell’ipotesi più virtuosa, beneficiano proprio della vendita dei terreni ai cosiddetti “sviluppatori”; i funzionari di provincia – e questa è invece la realtà più sordida – si riempiono le tasche con le mazzette degli stessi palazzinari che vogliono vedere un proprio progetto approvato. Non solo: tra i benefit del politico compiacente ci sono spesso proprio le case, di solito principesche, che bisognerebbe ora tartassare.
Si capisce quindi che la tassazione sulle proprietà immobiliari “si fa, forse si fa, magari non subito, aspettiamo ancora un po’, lasciamo perdere”.

Un funzionario anonimo intervistato dal China Securities Journal dichiara che “il mercato non è abbastanza maturo” per un’applicazione estesa della tassa. Il che, a orecchie disincantate, suona come: “Non tutti i funzionari locali sono ancora riusciti a sbarazzarsi delle eccessive proprietà accumulate negli anni”. Va ricordato che tra novembre e dicembre si è registrato un numero record di vendite di seconde abitazioni, in ogni angolo della Cina, ma soprattutto nelle principali città.

Tuttavia l’ondata di panico appare un’eccezione alla regola, mentre la tendenza principale va in direzione opposta. Negli ultimi sei mesi, le azioni delle società immobiliari quotate a Hong Kong hanno guadagnato tra il 15 e il 50 per cento.
Anche la borsa non crede nella tassa sulle case.