Dilemma Sky City

In by Gabriele Battaglia

Capolavoro dell’architettura o semplicemente spreco di risorse? Lo Sky City di Changsha, destinato a essere il grattacielo più alto del mondo, è ancora un oggetto misterioso. Xinhua scrive che i costruttori non hanno i permessi e il progetto suscita ancora perplessità. Di mezzo, infatti, ci sarebbe il mianzi dei dirigenti locali. Grattacielo sì, grattacielo no. Se è vero che lo Sky City di Changsha sarà completato nel giro di sei mesi, entro aprile 2014 la Cina avrà il grattacielo più alto del mondo, che supererà di otto metri il Burj Khalifa di Dubai; a quel punto, oltre Muraglia ci sarà la maggior parte degli edifici che si contendono il record di altezza a livello mondiale, simbolo sia del nuovo status di superpotenza del Dragone, sia di un modello economico fondato principalmente sul cemento e sul mattone.

Ma dietro a Sky City c’è un piccolo giallo. Un articolo dell’agenzia Nuova Cina, cioè la voce ufficiale del governo cinese, riporta che nessun lavoro sarebbe in corso nel sito dove dovrebbe sorgere il grattacielo da 838 metri per 208 piani, nel cantiere che è stato inaugurato con una cerimonia sabato scorso. Non solo: Xinhua sottolinea che i costruttori non hanno ancora ricevuto i permessi necessari, sollevando così dubbi sul fatto che il progetto possa essere completato, come costoro proclamano, entro aprile 2014. Citando fonti dell’università dell’Hunan – la provincia di cui Changsha è capitale – l’agenzia spiega infatti che il colosso di cemento non è stato ancora sottoposto alle doverose valutazioni e di sicurezza.

Zhu Linfang, che è il portavoce del Broad Group, cioè l’impresa costruttrice, dichiara invece al South China Morning Post che il dipartimento della Casa e dello Sviluppo urbano-rurale dell’Hunan ha concesso tutte le carte necessarie e che il grattacielo sorgerà nei tempi previsti. Uno Zhu un po’ piccato ha addirittura detto di aspettarsi che l’agenzia di stampa governativa “corregga il proprio errore” ma, a giovedì sera, Xinhua si era guardata bene dal farlo.

Quasi a segnalare la fine di un modello economico fondato sul consumo estensivo di terreni e sulla speculazione edilizia, i media cinesi si sono quasi all’unisono scagliati contro il progetto di Sky City, facendo apparire lontani i tempi in cui magnificavano il “cavatappi”, cioè il Shanghai World Financial Center, completato nel 2008 e alto 494 metri (si noti, quasi la metà). All’epoca, dopo essersi accorti che comunque il taiwanese Taipei 101 (completato nel 2004) lo superava (508 m), i media cinesi sposarono la tesi secondo cui il grattacielo di Shanghai “ha comunque la terrazza panoramica più alta del mondo”.

Era un duello di “mianzi”, cioè di faccia, quella cosa a cui i cinesi da una parte e dall’altra dello stretto di Formosa tengono più che alla propria vita. Oggi, gli stessi media continentali accusano Sky City di essere proprio quello: un progetto basato esclusivamente sulla “mianzi”, per farsi belli agli occhi del mondo. I critici sottolineano anche i costi dell’operazione: nove miliardi di yuan, cioè oltre un miliardo e cento milioni di euro.

Il progetto di Sky City raccoglie invece qualche plauso nel mondo dell’architettura. Il grattacielo, se realizzato, sarà infatti composto da moduli prefabbricati che verranno poi debitamente “incastrati” e sovrapposti, un modello costruttivo che porta una ventata di nuovo nel mondo dell’architettura cinese, dove di solito la trave e la piastrella si costruiscono direttamente in cantiere. Ma qui stiamo parlando di un progetto d’eccellenza, si capisce, non certo di uno dei mille compound di case – attenzione, non “grattacieli” – da cinquanta piani che sorgono un po’ ovunque in Cina.

I timori degli esperti riguardano soprattutto la sicurezza, visto che il Broad Group ha finora mantenuto il più stretto riserbo sui dettagli del progetto, che una volta ultimato, dovrebbe contenere 30mila persone e circa 4mila famiglie. L’impresa costruttrice sostiene che tali informazioni sarebbero “segreto commerciale”.

Secondo Yin Zhi, professore di architettura all’Università Tsinghua e consulente di pianificazione urbanistica per il governo di Pechino, se le case prefabbricate “sono comuni”, un grattacielo costruito con la medesima tecnica è “da pazzi”. “Che succede in caso di vento? E di terremoto? Oppure di incendio?”, si chiede l’architetto, citato dal South China Morning Post. “Gli edifici di tali dimensioni accolgono sempre esperti che ne ispezionino la struttura – continua Yin – ma di questo progetto la maggior parte delle persone che appartengono alla comunità degli architetti non ne sa nulla”.

La Cina dei megaprogetti immobiliari sembra avere imboccato, almeno a parole, la via della cautela. Su un piatto della bilancia c’è il rischio di un disastro, e il pensiero corre immediatamente a terremoti che polverizzano case (Sichuan, 2008) e treni ad alta velocità che deragliano provocando decine di morti (incidente di Wenzhou, 2011). Sono i prodotti perversi di uno sviluppo accelerato che ha sacrificato compatibilità ambientali e, appunto, la sicurezza.

Sull’altro piatto c’è la “faccia” di un governo locale a caccia di gloria e il conto in banca dell’ennesimo palazzinaro. Forse non ne vale la pena.

[Scritto per Lettera43; foto credits: ibtimes.com]