I commerci con l’Africa raddoppieranno entro il 2020 arrivando a un volume di affari di 400 miliardi di dollari ha dichiarato il premier cinese Li Keqiang ad Addis Abeba di fronte all’Unione africana. La visita del premier cinese e sua moglie toccherà anche la Nigeria, l’Angola e il Kenia e sono una sessantina gli accordi commerciali che verranno firmati. Cosa fanno e come arrivano i cinesi in Africa.
L’impetuosa fase di sviluppo economico e demografico che la Cina ha vissuto in questi anni, con una crescita annua del PIL del 6-7 per cento, ha prodotto la necessità di garantire al Paese l’accesso a grandi quantità di materie prime, a fonti sicure di energia e a nuovi mercati su cui riversare i suoi manufatti.
Ed ecco che le ricchezze dei Paesi Africani e gli spazi che le loro economie offrono diventano una priorità strategica per la Cina, e un impulso per i cittadini dell’impero di mezzo a migrare verso l’Africa. Dato l’ingente flusso di migranti e i deboli controlli sull’immigrazione, è pressoché impossibile effettuare una stima effettiva del numero di individui coinvolti. In ogni caso, le stime totali affermano che i cinesi presenti sul continente africano sono un numero che varia tra i 580mila e gli 800mila.
I metodi, ufficiali e non, per raggiungere il continente africano sono quattro. In primis, l’immigrazione regolata tramite accordi bilaterali, questo è il caso dei medici, e dei tecnici legati a progetti di aiuto e sviluppo. Il secondo metodo, e anche il più largamente utilizzato dai migranti “a tempo determinato”, è quello di venir reclutati da agenzie private d’impiego con licenza per lavorare a progetti governativi di costruzione di ferrovie, autostrade, oleodotti o miniere.
Una terza via passa attraverso network sociali informali di amici, familiari o persone dello stesso luogo di origine e/o attraverso agenzie di collocamento senza licenza. Queste tipologie di agenzie, solitamente, hanno tariffe molto alte e spesso si procurano clienti con false promesse in merito a futuri salari e futuri benefici. Il quarto metodo è quello dell’immigrazione illegale, gestita da trafficanti di esseri umani.
Purtroppo le informazioni riguardanti quest’ultimo tipo di “tratta” sono veramente poche, sappiamo però che i compensi richiesti abitualmente dai trafficanti sono $25,000 a persona per l’Europa e $30,000 per gli Stati Uniti, cifre che possono essere verosimilmente indicative anche per il continente africano.
Il gruppo di migranti può essere suddiviso in quattro categorie principali: lavoratori a tempo determinato al seguito di grandi imprese; piccoli imprenditori; migranti in transito; e contadini. La più grande di queste categorie è quella dei lavoratori a tempo determinato (circa 130mila nel 2007). Spesso questa manodopera, anche con familiari al seguito, si insedia in appositi complessi abitativi temporanei, e la loro permanenza, determinata dalla durata del contratto di lavoro, può arrivare a qualche anno.
I piccoli imprenditori, commercianti e negozianti hanno un buon radicamento soprattutto nei grandi centri urbani, dove stanno sorgendo vere e proprie “Chinatown”. I settori di impresa solitamente sono la distribuzione e vendita al dettaglio di beni cinesi, la ristorazione o la medicina tradizionale cinese.
La terza categoria, i migranti in transito per lo più verso i paesi sviluppati, è la più difficile da identificare e documentare, visto lo stato informale in cui questi si muovono; possono, ad esempio entrare con un visto turistico o di lavoro e poi fermarsi più a lungo del periodo autorizzato o spostarsi in altri paesi con mezzi illegali.
I contadini sono invece incoraggiati ad emigrare dalla prospettiva di diventare proprietari terrieri e di essere assistiti nella vendita dei loro prodotti. Nel 2007, Li Ruogu, il direttore della China Export-Import Bank, sollecitò i contadini poveri a trasferirsi in Africa, promettendo investimenti e aiuti per progetti di sviluppo.
Ma come sono accolti in Africa?
La popolazione cinese è percepita e accettata in maniera diversa a seconda del paese preso in considerazione. Questo perchè esistono diversi fattori che influenzano la percezione dei migranti cinesi e le attitudini verso questi delle comunità in loco. Innanzitutto, il ruolo giocato dai media. I media, specialmente quelli occidentali, descrivono le attività della Cina in Africa come “predatorie”, “neocoloniali”, e utilizzano termini come “invasione” o “farwest cinese” per definire l’operato della RPC. Terminologia negativa, e fuorviante poiché descrive l’Africa in una relazione di sudditanza e subordinazione fallace, negando il ruolo attivo che i diversi leaders africani hanno nella costruzione di una partnership economica e commerciale con la Cina e le concessioni che ne conseguono.
Un secondo fattore cruciale che influenza la percezione dei migranti cinesi all’interno delle diverse comunità africane è il forte legame della Rpc con i regimi dello Zimbawe o del Sudan, legame visto negativamente dall’opposizione politica africana o dai cittadini, e i primi destinatari di questo malcontento sono in genere i migranti, percepiti come agenti del governo cinese.
Un terzo fattore compromettente è lo stile di vita dei migranti cinesi, specialmente dei lavoratori a contratto. Generalmente questi vivono in compounds isolati, e lavorano tutto il giorno, limitando al minimo l’interazione tra la comunità cinese e la comunità africana, generando un alone di mistero e diffidenza. Ecco perché in molti paesi africani circola la voce che il governo cinese impieghi, per i progetti governativi, detenuti costretti a lavorare per pagare il loro debito con la società. In Angola, molte persone si rifiutano di credere che un uomo libero lavorerebbe così tanto e per così pochi soldi come fanno i cinesi, e la spiegazione più semplice è dunque quella del lavoratore detenuto.
Altro elemento critico nei rapporti sino-africani è la concorrenza commerciale. I negozi cinesi aumentano di giorno in giorno, contribuendo alla saturazione del mercato locale di beni di consumo, con prodotti generalmente più economici di quelli venduti nei negozi locali. D’altro canto vi sono sondaggi e interviste effettuate in alcuni paesi (Zambia, Kenya, Angola, Cameroon, Algeria), che indicano che molti africani ammirano la Cina e i cinesi perché portano ricchezza e lavorano duramente.
Infine è bene ricordare che i meccanismi di integrazione si sviluppano e rafforzano nel lungo periodo. A questo proposito sono di buon esempio i quattro stati (Sudafrica, Mauritius, Madagascar e Reunion), nei quali sono presenti le seconde generazioni dei migranti cinesi, e dove i livelli di integrazione sia sociale che politica sono molto alti. Inoltre, nonostante le differenze linguistiche, culturali, e di valori, i cinesi sembrano essersi adattati allo stile di vita locale, ai suoi costumi, e aver appreso l’idioma locale.
Questo spirito d’adattamento sommato al duro lavoro dei migranti potrebbe aiutarli a oltrepassare le barriere locali e raggiungere un successo sia in termini economici che sociali. D’altra parte se l’onda di sentimenti anti-cinesi non si arresta, l’Africa continuerà ad essere per i cinesi solo un luogo dove cercar fortuna nel minor tempo possibile, per ritornare vincitori in patria.
*Pandora Puccioni ha studiato Lingue Orientali a Firenze, ed è attualmente iscritta alla Laurea Magistrale in Studi dell’Asia e dell’Africa a Pavia. Dopo la prima laurea, ha scelto di vivere per due anni tra la Cina e l’Italia, studiando presso l’Università di Lingue Straniere di Pechino, ha lavorato e viaggiato in lungo e in largo, risiedendo principalmente a Pechino e Fenghuang. In questo periodo ha lavorato come interprete, traduttrice, insegnante presso istituti pubblici, privati, e Ong.