Cos’è la legge “pro proteste” di Hong Kong degli Usa e perché non piace alla Cina

In Cina, Economia, Politica e Società by Simone Pieranni

Ieri, 27 novembre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato l’Hong Kong Human Rights and Democracy Act. Si tratta di un disegno di legge che vincola il trattamento speciale riservato dagli Usa a Hong Kong a revisioni periodiche sullo stato dei diritti umani e civili nella ex colonia britannica.

La risposta della Cina non poteva mancare: l’atto americano è un’intrusione, per quanto simbolica, su un territorio sottoposto alla sua sovranità. La vicenda, inoltre, si inserisce nella più ampia questione legata allo scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina. Anzi proprio questa “guerra dei dazi” tra le due potenze potrebbe essere il motivo vero dietro la decisione di Trump: innervosire la Cina per ammorbidirla al tavolo dei negoziati. O più in generale, provare a indispettire la Cina su più ambiti possibili (Hong Kong, Xinjiang e Taiwan).

Pechino da parte sua, per quanto riguarda sia Hong Kong sia lo scontro economico, va avanti per la sua strada. Di recente il Pcc ha confermato che non cambierà il proprio modello di sviluppo (trainato dallo Stato) per assecondare le richieste Usa, così come su Hong Kong proseguirà con la sua teoria “un paese due sistemi”.

Cos’è l’Hong Kong Human Rights and Democracy Act

Come riportato dalle agenzie e dai media internazionali, e riassunto da China Files, “Il provvedimento – di fatto un emendamento allo United States-Hong Kong Policy Act del 1992 – richiede una revisione annuale del trattamento commerciale speciale concesso all’ex colonia britannica, disponendone la revoca in caso l’autonomia della regione amministrativa speciale venga gravemente compromessa”.

Si prevedono inoltre “sanzioni per tutti i funzionari locali responsabili di violazioni dei diritti umani”, mentre una disposizione aggiuntiva (il Protect Hong Kong Act) vieta l’esportazione di strumenti per il controllo della folla utilizzati dalla polizia, quali gas lacrimogeni e proiettili di gomma. “Ho firmato queste leggi per rispetto verso il presidente Xi e il popolo di Hong Kong – ha dichiarato Trump – nella speranza che risolvano in maniera pacifica le loro differenze”. Ma il presidente americano ha anche espresso preoccupazione per “alcune disposizioni” che rischiano di interferire con la sua autorità costituzionale in materia di politica estera. Mentre la legge ha soprattutto un valore simbolico, se esercitata al massimo delle sue potenzialità potrebbe mettere a rischio 38 miliardi di dollari di commerci bilaterali”.

Quando è nato l’Act?

Il disegno di legge è stato presentato a giugno – come specifica la Bbc – nelle prime fasi delle proteste a Hong Kong ed è stato approvato in modo schiacciante dalla Camera dei rappresentanti il mese scorso . “Il disegno di legge ha avuto un ampio supporto congressuale, il che significa che anche se Trump avesse posto il veto, Congresso e Senato avrebbero potuto potenzialmente votare per ribaltare la sua decisione”.

La reazione cinese

Pechino ha definito il provvedimento “pieno di pregiudizi e arroganza”. “Questa è una pura ingerenza negli affari interni della Cina”, ha affermato il ministero degli Esteri cinese, poche ore dopo la firma del disegno di legge da parte di Trump. “Questo disegno di legge, che è stato denunciato da tutti i cinesi, compresi i connazionali di Hong Kong, è pieno di pregiudizi e arroganza. Tratta Hong Kong con intimidazioni e minacce “, ha affermato il ministero in una nota.

“Un simile atto farà capire ai cinesi, compresi i connazionali di Hong Kong, le sinistre intenzioni e la natura egemonica degli Stati Uniti”, ha aggiunto il ministero nei commenti ripetuti sui media statali cinesi. “La trama degli Stati Uniti è destinata a fallire.”

Come riporta il Guardian, Pechino ha convocato l’ambasciatore americano Terry Branstad per la seconda volta in una settimana per chiedere che Washington smetta di interferire negli affari interni della Cina. La Cina ha anche promesso che avrebbe reagito con “ferme contromisure”. Alla domanda su quali sarebbero state queste contromisure, Geng Shuang, portavoce del ministero, ha dichiarato: “Ciò che dovrebbe venire alla fine arriverà”.

Le reazioni dei mercati

Mentre nei giorni scorsi i mercati avevano reagito positivamente alla possibilità di un accordo commerciale tra Cina e Usa, la notizia della firma di Trump ha destabilizzato le borse asiatiche, benché solo in parte. Come scrive la Cnn, “lo Shanghai Composite (COMP) cinese è sceso dello 0,5%. L’ indice Kospi della Corea del Sud (KOSPI) è sceso dello 0,4%. L’ indice Hang Seng (HSI) di Hong Kong è scivolato dello 0,2%, mentre il giapponese Nikkei 225 (N225) è sceso dello 0,1%. Alcuni titoli tecnologici cinesi sono avanzati a Hong Kong, contrastando la tendenza al ribasso”.

Lo scontro commerciale

Ieri il vicepremier della Cina, Liu He (autore di un interessante articolo sul Quotidiano del Popolo a proposito del ruolo del mercato e dello Stato nell’economia cinese) ha sentito al telefono il rappresentante del commercio degli Stati Uniti, Robert Lighthizer, e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin, incaricati dei negoziati commerciali con la Cina. Secondo la stampa cinese durante i colloqui, le due parti hanno discusso della risoluzione delle criticità reciproche e hanno concordato di mantenere la comunicazione sui punti rimanenti nelle consultazioni sull’accordo di “fase uno”.

Anche il ministro del Commercio cinese Zhong Shan, il governatore della Banca popolare cinese Yi Gang e il vicepresidente della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma Ning Jizhe hanno preso parte al colloquio, secondo quanto riportato da Agenzia Nova.

Il 22 novembre scorso Trump aveva dichiarato che gli Stati Uniti sono “potenzialmente molto vicini” al raggiungimento di un accordo commerciale con la Cina. “Abbiamo un accordo, potenzialmente molto vicino”, ha dichiarato Trump in un’intervista a Fox News. Il presidente statunitense ha inoltre ribadito che la Cina vuole concludere un accordo “molto più” degli Stati Uniti. Trump ha poi dichiarato di sostenere il movimento democratico di Hong Kong, ma ha sottolineato che sostiene anche il presidente cinese Xi Jinping, in particolare mentre Washington e Pechino stanno negoziando un accordo commerciale storico. “Dobbiamo stare con Hong Kong, ma sto anche con il presidente Xi, è un mio amico”, ha detto Trump.

Ma l’aria non è proprio delle migliori: nei giorni scorsi il ministro degli esteri cinese Wang Yi durante un incontro con l’omologo olandese Stef Blok ha accusato gli Stati Uniti di essere la più grande fonte di instabilità nel mondo. “Alcuni politici statunitensi stanno diffamando la Cina in tutto il mondo senza fatti o prove – ha detto Wang, secondo quanto riferito dal South China Morning Post – Gli Stati Uniti hanno gravemente interferito negli affari interni della Cina, tentando di minare la prosperità e la stabilità di Hong Kong “.

Prima dell’Act, cosa è successo a Hong Kong?

Le proteste nell’ex colonia britannica sono cominciate a giugno dopo che il governo locale ha proposta la riforma della legge sull’estradizione, consentendola anche in Cina.

Le manifestazioni sono cominciate per denunciare l’ingerenza cinese sullo stato semi-autonomo della città chiedendo il ritiro della legge. Pechino e Carrie Lam, la chief executive, non hanno reagito immediatamente. Solo dopo mesi di proteste e scontri, con polizia e manifestanti sempre più protagonisti di riot, Carrie Lam ha ritirato la proposta, ma ormai le richieste dei manifestanti erano diventate altre (sabato pare che Carrie Lam fornirà delle risposte).

Domenica scorsa inoltre, si sono svolte le elezioni locali che hanno visto la vittoria del fronte “pro-democrazia”.

Di Simone Pieranni

[Pubblicato su il manifesto]