Coronavirus: Italia-Cina, il contagio a confronto

In Cina, Economia, Politica e Società by Redazione

A ormai quindici giorni dallo scoppio del focolaio di Codogno i numeri sono tali che è possibile fare un’analisi statistica con una certa significatività. Tra ieri e l’altro ieri l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) ha rilasciato i dati aggregati sulle prime 105 vittime, cioè tutte quelle morte al 4 marzo e risultate positive al coronavirus.

Il dato che appare più evidente è l’età media elevata delle persone morte, che in media hanno 81 anni di età.

L’età di morte in media è di venti anni superiore a quella delle persone positive, che in Italia è di 61 anni. Il 97,2% delle vittime aveva un’età superiore ai sessant’anni. Questi numeri confermano che le persone più a rischio sono quelle avanti con gli anni.

Rispetto alla Cina l’impatto del virus sugli italiani sembra spostato in avanti di dieci anni. L’età media delle vittime è 81 anni in Italia contro i 70 in Cina. In Cina, le persone decedute prima dei sessant’anni sono state il 20% del totale, da noi solo il 2,8%. L’età media delle persone positive è di 61 anni da noi e di 51 tra i casi cinesi. Non è una sorpresa, perché l’età media degli italiani è di 44 anni, sette più di quella della popolazione cinese.

Anche in Italia si rafforza un altro dato osservato in Cina, cioè la diversa mortalità del virus tra gli uomini e le donne. Da noi le donne rappresentano solo il 26,7%, ancora meno che in Cina dove erano il 36%. In quel caso, molti esperti avevano puntato il dito contro le sigarette. La Cina è uno dei paesi con la maggiore percentuale di fumatori uomini al mondo, e una delle più basse tra le donne.

Questa disparità poteva spiegare perché una polmonite risultasse più letale tra gli uomini che tra le donne. Anche in Italia fumano più gli uomini delle donne, ma le percentuali sono meno divaricate che in Cina. Dunque, è difficile spiegare con il tabacco una differenza ancora più marcata che in Cina. L’Iss, come a suo tempo le autorità cinesi, non ha diffuso il dato disaggregato sia per età che per genere, quindi è difficile fare più che un’ipotesi.

Gli esperti spesso citano la presenza di altre patologie come un altro importante fattore di rischio. Le persone decedute avevano in media altre tre malattie oltre il coronavirus. Questo tra l’altro renderà più complicato associare i decessi a una patologia o all’altra da parte dell’Iss e dell’Istat che dovrà compilare le tabelle definitive.

L’ipertensione è la malattia più frequente (75%) nelle vittime, seguita dalle cardiopatie (70%) e dal diabete (34%).

Anche nei dati cinesi la cosiddetta «comorbidità» era evidente e riguarda sostanzialmente le stesse patologie. Ma in Cina circa un terzo delle vittime non aveva altre malattie, mentre in Italia solo il 15% delle vittime aveva una o nessun’altra malattia. Anche questo dato è probabilmente legato alla maggiore età dei malati italiani rispetto alla Cina.

Se si disaggregano i dati per fasce d’età, il tasso di letalità, cioè il rapporto tra il numero delle vittime e dei casi, in Italia è inferiore rispetto alla Cina del 30-60%.

«I dati vanno a tutto merito del nostro Sistema Sanitario Nazionale e dei nostri operatori e professionisti che voglio ringraziare per il lavoro preziosissimo, infaticabile che giorno dopo giorno stanno garantendo», sostiene Brusaferro.

Sulla popolazione nel suo complesso, la letalità cinese è del 2,3%, inferiore al 3,5% italiano. Ma non c’è contraddizione tra i due dati. Si tratta di nuovo di un effetto statistico determinato dal maggior peso dei malati anziani sul totale della popolazione. A parità di condizioni, il rischio di morte che si corre in Italia è inferiore a quello cinese.

Di Andrea Capocci

[Pubblicato su il manifesto]