Coree – Molto più di una partita di pallone

In by Simone

La finale dl torneo di calcio maschile degli Asiad Games di Incheon (Corea del Sud) ha visto scontrarsi le squadre delle due Coree, evento che non capitava dal 1978. La Corea del Aud ha vinto ai supplementari un match il cui significato – storico e politico – travalicava la competizione sportiva.
Lo spirito Chollima – dal nome del mitologico cavallo alato simbolo nella propaganda nordcoreana del balzo il Paese dovrebbe compiere – questa volta non è bastato. Il gol del difensore sudcoreano Rim Chang-woo, arrivato quasi allo scadere del secondo tempo supplementare della finale del torneo di calcio maschile dei Giochi asiatici, ha tolto alla squadra nordcoreana la medaglia d’oro, da conquistare proprio in terra nemica, nel vero senso della parola. I giochi sono stati infatti ospitati nella città portuale sudcoreana di Incheon.

La finale tra le due Coree giocata lo scorso 2 ottobre è stata uno di quegli appuntamenti che travalica l’ambito sportivo. Corea del Nord e Corea del Sud sono di fatto in stato di guerra da sessantuno anni, in mancanza di un trattato di pace dopo il conflitto tra il 1950 e il 1953. La stessa partecipazione dei nordcoreani ai Giochi asiatici era stata oggetto di un tira e molla diplomatico, in particolare sui numeri della delegazione di Pyongyang composta da atleti e sostenitori.

Alla fine, scriveva a metà settembre il Korea Herald, lo scambio di atleti tra Paesi – i cui rapporti sono tesi come nel caso delle due Coree – è un bene. «Ogni volta che il Nord invia atleti al Sud o ogni volta che si raggiunge un accordo per presentare squadre unificate in qualche competizione internazionale ospitata da un Paese terzo, si parla della possibilità di migliorare i rapporti», aggiunge il quotidiano, mettendo tuttavia in guardia da eccessive aspettative. Il rischio infatti è che tutto si consumi una volta terminato l’evento, senza dare seguito alle speranze.

Quanto queste manifestazioni si intreccino con la realtà politica lo dimostra il fatto che per i calciatori sudcoreani il gradino più alto del podio voglia dire anche l’esenzione dai 21 mesi di servizio militare obbligatorio. Ossia quella naja tornata di recente al centro delle polemiche, per casi di suicidi e nonnismo. Mali tornati all’attenzione con la vicenda del militare che lo scorso giugno aprì il fuoco per vendetta contro i suoi commilitoni uccidendone cinque. O ancora lo scorso agosto, con quella della giovane recluta morta per le botte e gli abusi subìti in caserma.

L’esenzione è un beneficio di cui godono i campioni nei Giochi asiatici e olimpici, per far sì che non interrompano la loro carriera sportiva imbracciando il fucile. Un privilegio che risale agli anni Settanta del secolo scorso, quando la Corea del Sud era a sua volta sotto regime.
Proprio agli anni Settanta, esattamente al 1978, risaliva l’ultimo precedente tra le due squadre in finale. Finì in pareggio.

Se i nordcoreani possono gioire per il 3-1 con cui la selezione femminile ha battuto il Giappone, (vittoria quasi da pronostico, come commentava un esperto di calcio sul sito dell’agenzia ufficiale Kcna) alla squadra maschile restano le proteste dell’alleanatore Yun Jong Su. Paradossalmente per un rigore contro non concesso durante l’azione che ha portato al gol. Nelle fasi concitate, praticamente a fine partita, la rete è arrivata dopo un tocco di mano di un giocatore nordcoreano, con l’arbitro che concedeva il vantaggio e non fischiava contro, sebbene il guardalinee avesse sollevato la bandierina e segnalato il fallo.

Tanto è bastato per scatenare la reazione di Yun, già critico con i direttori di gara durante tutto il torneo, che alla vigila della finale aveva sottolineato i propri timori per una gestione della partite a suo dire poco equilibrata, contestando il cartellino rosso che nella vittoriosa semifinale contro l’Iraq ha tagliato fuori dal match con i sudcoreani la stella Jong Il Gwan.

Per gli atleti nordcoreani oltre alla gloria, la vittoria dell’oro avrebbe avuto un significato molto più materiale e non soltanto un motivo d’orgoglio nel costruire l’immagine della nazione: una casa nei nuovi appartamenti costruiti nella capitale Pyongyang.

[Scritto per Lettera43; foto credit: bloomberg.com]