Convertibilità dello yuan. Prove generali

In by Simone

(In collaborazione con AGICHINA24) I dettagli dell’operazione sono ancora scarsi, ma le linee generali emergono con chiarezza: Shenzhen, la culla del manifatturiero cinese, ospiterà una zona finanziaria speciale per sperimentare una più libera circolazione dello yuan. 

Venerdì scorso i funzionari cinesi hanno tracciato un primo profilo del progetto: la zona franca si chiamerà “Qianhai Shenzhen- Hong Kong Modern Service Industry Cooperation Zone” e sarà sviluppata ai confini con l’ex colonia britannica per un costo di 45 miliardi di dollari.

La politica cinese consiste in un’apertura graduale del conto capitale per realizzare la piena convertibilità dello yuan” ha dichiarato Zhang Xiaoqiang, vicepresidente della Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, il principale organo di pianificazione economica del governo di Pechino. 

Secondo alcune indiscrezioni filtrate sui media cinesi, è possibile che le misure previste per la zona speciale includano anche la possibilità di prestiti in yuan-renminbi tra le società della Cina continentale e quelle di Hong Kong, dove vige un diverso sistema finanziario e monetario.

Finora, infatti, il governo di Pechino ha attuato una politica di estremo controllo sul conto capitale, impedendo allo yuan di attraversare i confini per essere impiegato in operazioni finanziarie pure: gli istituti di credito dell’ex colonia di Sua Maestà, al momento, possono erogare prestiti in moneta cinese esclusivamente ai clienti domiciliati sul suo territorio, ma non oltre frontiera. 

Il percorso di internazionalizzazione dello yuan, prosegue: tra il 2008 e il 2011 la fetta di scambi internazionali che il Dragone fissa nella sua moneta nazionale sono passati dallo 0 all’8% grazie a un’avveduta politica di swap di valuta con le banche centrali dei più importanti partner commerciali cinesi.

L’ultimo di questi accordi, fissato con il Brasile, ammontava a quasi 30miliardi di yuan, e consentirà alle società delle due nazioni di stabilire relazioni commerciali senza passare per attraverso la conversione in dollari. Alla Borsa di Hong Kong, inoltre, è già possibile scambiare prodotti finanziari denominati in yuan, i cosiddetti “dim sum bond”. 

Ma già sabato le autorità bancarie di Pechino hanno tenuto a precisare che la portata dell’esperimento sarà limitata ad aree precise: “L’esperimento della convertibilità dello yuan in conto capitale nella zona speciale di Qianhai sarà limitato a determinati settori in cui il livello di convertibilità è più basso, come ad esempio i prestiti” ha dichiarato il vice governatore della Banca centrale Hu Xiaolian. 

Attualmente, lo yuan-renminbi non è una moneta pienamente convertibile: la Banca centrale fissa quotidianamente un tasso di riferimento e limita le perdite o i guadagni all’interno di una banda di oscillazione che si situa allo 0.5% rispetto a tale livello, una politica particolarmente sorvegliata che permette al governo di controllare da vicino il tasso di cambio. 

Ma se da una parte uno yuan così limitato protegge la Cina e i suoi scambi, dall’altra restringe il campo delle ambizioni internazionali di Pechino: “Senza un conto capitale aperto, l’internazionalizzazione dello yuan è efficace solo al 10% delle sue possibilità –scrive l’analista di Deutsche Bank Jun Ma in una nota ai clienti – e i controlli sul conto capitale, se non saranno limitati, diventeranno un collo di bottiglia capace di strozzare la moneta cinese nei prossimi anni”. 

L’esperimento di Shenzhen, dicono gli analisti, potrebbe diventare il primo passo per una completa liberalizzazione, che secondo numerose indiscrezioni Pechino punta a realizzare nel giro dei prossimi cinque anni.

Con questo processo, la moneta cinese potrebbe accreditarsi sempre di più come divisa ideale per le riserve in valuta estera, a fianco di dollaro ed euro. All’inizio degli anni ’80 l’apertura all’economia di mercato è partita dalle zone speciali di Shenzhen. Oggi, la megalopoli del Guangdong potrebbe diventare il centro delle riforme finanziarie.