Compagni Queer

In by Simone

«Abbiamo iniziato nel 2007, eravamo in tre persone. Abbiamo cominciato realizzando dei talk show on line, ora produciamo per lo più documentari. Interviste, chiacchiere con esperti, ma anche riprese esterne. Abbiamo cominciato a mettere tutti i nostri contenuti on line e abbiamo trovato uno sponsor, una fondazione Usa che si occupa di problematiche sessuali. Anche perché il nostro messaggio è proprio quello: devi sentirti bene con te stesso. Ci occupiamo di notizie gay in Cina ma anche nel mondo, una sorta di Queer News Service».

Xiaogang Wei è un cinese han originario del Xinjiang, nonché promotore e cuore pulsante della Queer Comrades Production, vero e proprio motore della comunità omosessuale cinese. Lo incontriamo in un piccolo bar di Sanlitun, la zona delle ambasciate e della movida della capitale: uno dei posti di Pechino dove poter sorseggiare un caffè e sentirsi in una città cosmopolita, in un via vai di cinesi, stranieri, bancarelle di cibo, negozi di dvd e discoteche alla moda: «non siamo un’azienda, siamo un progetto che lavora insieme a un’organizzazione di Pechino che si occupa di questi temi, non si tratta di una ONG perché qui in Cina è molto difficile metterne su una. Per registrare una organizzazione non governativa, in Cina, c’è bisogno del governo, è un paradosso ma è la verità. Però il nostro sito da gennaio a oggi ha fatto un milione e mezzo di contatti, siamo molto soddisfatti. Anche perché la maggior parte del nostro tempo è dedicato a questo progetto che si realizza per lo più on line. Preferiamo sviluppare le nostre campagne su internet, piuttosto che organizzare eventi».

La prima volta che ho incontrato Xiaogang è stato in un piccolo locale, fuori dal quarto anello pechinese, un luogo decisamente nascosto: tema della serata la proiezione di alcuni film a tematiche omosessuali. Luogo ameno, distante dal centro e da occhi indiscreti, forse dovuto ai controlli governativi? «Non possiamo dire di essere controllati, spiega Xiaogang, ma in qualche modo in Cina spesso si attua una sorta di autocensura, anche se non c’è una censura diretta. Noi in ogni modo siamo focalizzati su cose positive, cerchiamo di porre l’omosessualità in un’ottica positiva, in modo da non avere problemi. Proviamo anche a sdoganare alcuni argomenti proibiti come ad esempio i reportage sul mondo sadomaso. Ogni tanto i nostri video vengono cancellati dai siti cinesi dove si possono caricare file multimediali. Usiamo per lo più piattaforme cinesi e a parte in alcuni casi in cui conosciamo alcune persone nell’azienda, spesso i nostri video vengono cancellati».

La loro attività dimostra che qualcosa in Cina è cambiato: dal 2001 l’omosessualità non è più considerata una malattia mentale e su molti quotidiani e riviste si è anche stimato il numero, sarebbero circa 30 milioni gli omosessuali: «in Cina ultimamente abbiamo più spazi, luoghi per incontrarci, ma in termini di diritti siamo ancora molto indietro. Un conto poi sono le città come Pechino, più aperte, ma nelle zone rurali non puoi avere informazioni, capire chi sei ed essere te stesso. Ora abbiamo più gente che combatte per alcuni diritti, ma è una strada molto lunga».
Le principali discriminazioni riguardano l’ambiente lavorativo e famigliare: da questi ambiti arrivano le pressioni principali per gli omosessuali cinesi. «Ci sono ancora molte discriminazioni. Se sul lavoro dici di essere gay, spesso vieni licenziato a meno che tu non sia impiegato in un’azienda straniera o in un’azienda di comunicazione, dove la gente è più open minded. Quindi spesso i gay non fanno coming out, preferiscono stare zitti. Infatti molti si sposano anche, perché c’è una pressione sociale e della famiglia molto forte. Se non ti sposi e non hai figli, non puoi ad esempio avere una carriera, non ti promuovono». Questo clima di discriminazione sembra però rimanere sotto traccia, come tutto il resto: se non altro, in Cina, non si assiste ad azioni di violenza contro i gay come in tanti altri paesi (Italia compresa).

«Sono veramente pochi gli episodi di violenza contro gli omosessuali, specie rispetto a Usa ed Europa. In Cina questo è un aspetto positivo e credo sia dovuto alla mancanza di un background religioso. I problemi principali qui sono la pressione sociale e la famiglia. Qualcosa di simile all’Italia, la tua famiglia ti dà tutto per la tua carriera lavorativa, ti aiuta se devi sposarti, magari ti comprano la casa e tu non puoi deluderli. E ti senti colpevole. In Cina tutto questo è poi associato al concetto di faccia: fare bella figura con gli amici, dire che tuo figlio è sposato. La mia famiglia, per dire, spesso viene considerata male da altre famiglie, come se non fossero stati in grado di trasmettermi i giusti valori».
Omosessualità sdoganata, ma fino ad un certo punto: nella lista dei temi censurati dalle autorità, insieme alla critiche al governo, al porno, alla violenza, c’è anche l’omosessualità: «per questo non hai mai visto un film gay in Cina. So per certo che molti film che nel plot prevedevano ambientazioni gay, sono stati poi cambiati per non essere censurati. E parlo anche di film noti, che hanno vinto premi internazionali».

Dai film alla realtà: quali sono le problematiche reali degli omosessuali cinesi? «C’è molta prostituzione omosessuale per consumatori cinesi. Ho conosciuto un transessuale che si prostituisce a Shanghai, una storia veramente triste. Per questo il primo diritto da ottenere è porre fine alla discriminazione. E’ un problema educativo ed è la cosa più importante adesso. Il matrimonio per i gay, ad esempio, qui in Cina è una battaglia che vale la pena combattere, può essere un buon punto di inizio, perché trova anche un buon riscontro mediatico. All’interno della cultura cinese può essere un ottimo obiettivo per il movimento gay».

Per questo i compagni queer si sbattono mica poco: vanno ovunque possono per parlare di tematiche omosessuali. «Andiamo spesso nelle università, proiettiamo film, parliamo con gli studenti. La domanda più frequente è: e se mi innamoro di uno straight? E poi sul matrimonio, sui figli, proiettando film inoltre è più semplice sviluppare un dibattito: le immagini aiutano molto a stimolare domande a noi, ma anche a se stessi».
Mentre ci salutiamo, chiacchierando delle loro prossime iniziative, il Queer Comrades Tour per la Cina, chiediamo a Xiaogang se sarà possibile a breve avere qualche omosessuale noto, magari un papavero del partito comunista. Gli strappiamo una risata: «ci sono dei rumors su una persona particolarmente in vista. Ma credo che i tempi non siano ancora prematuri». E una risata, mentre su Pechino tramonta il sole, inghiottendo e cullando vite, sogni e le battaglie dei tanti compagni queer cinesi.

[Pubblicato su Il Manifesto il 18 marzo 2010]