Cina, innovazione sociale made in Italy

In by Simone

Con l’avvento della società contemporanea e l’esplosione di nuovi problemi sociali e contraddizioni, la Cina si pone il problema di come creare servizi sociali efficienti. Un modello può venire dall’Italia, dove il "privato sociale" esiste per legge dal 1991 e svolge un’attività complementare a quella dello Stato. Nell’ultimo decennio ufficiali governativi, professori universitari, ricercatori, assistenti sociali cinesi sono stati spediti a studiare come la società civile si relaziona al governo nella distribuzione dei servizi sociali, nei più svariati paesi del mondo, per capire se uno di questi modelli potesse essere “applicabile” in patria. Per quanto la completa trasferibilità dei modelli istituzionali e sociali dagli altri paesi sia di dubbia efficacia nell’impero di mezzo, per una volta, l’Italia può fornire un’idea di come la registrazione delle cooperative sociali abbia contribuito all’innovazione sociale nei servizi.

Negli anni 80’ l’Italia era alla ricerca di soluzioni innovative per alleggerire il sistema di welfare e per risolvere le povertà sociali dette post-capitaliste, tra le quali la disoccupazione. Con le dovute differenze (soprattutto in termini di popolazione e geografia, caratteristiche quasi mai prese in considerazione dagli analisti) anche la Cina sta attraversando un momento in cui le istituzioni non sanno che pesci prendere con dei problemi sociali mai affrontati fino ad ora: il temutissimo Lewis turning point (aumento dei salari e dei beneficiari dei servizi sociali) che sembra essere alle porte e l’enormità della popolazione rende difficile la distribuzione dei servizi.

Negli anni 80’, il ruolo delle famiglie italiane nel supporto dei nuovi problemi sociali comiciò a declinare e le unità governative locali non erano in grado di rispondere alla crescente domanda dei servizi richiesti dalla popolazione. Le difficoltà del governo andavano dall’inefficenza del management alla poca familiarità con le specifiche necessità, come il crescente numero di anziani, le disabilità mentali, gli abusi di sostanze, I senzatetto, l’immigrazione, la disoccupazione. Oggi, in Cina, ci si confronta con delle problematiche molto simili. È stata più volte sottolineata l’estrema difficoltà che hanno i governi locali, a diversi livelli, per far fronte alle problematiche sociali sia in termini di capacità di innovazione e povertà nel managment che per mancanza di fondi. I problemi sociali diventano di portata macroscopica in Cina, basti pensare all’invecchiamento della popolazione dato dalle distorsioni della politica del figlio unico, l’imponenza dell’immigrazione interna, con le conseguenti restizioni sui servizi del welfare dovute al sistema di registrazione dello Hukou, e per finire ai disagi psicologici in continuo aumento che hanno fatto piazzare la Cina al primo posto come numero di persone affette da patologie del genere nel mondo.

Nell’Italia degli anni 80’ erano presenti diversi gruppi, a volte connessi con le chiesa cattolica, che si basavano il più delle volte sul lavoro volontario: furono proprio quei gruppi che cominciarono a costruire un ponte tra la crescente domanda di servizi sociali e l’offerta, inventando nuove forme e strutture organizzative. Anche se questi gruppi soddisfacevano gran parte delle necessità sociali, non erano in alcun modo riconsciuti dalla legge né dalle istituzioni . Oggi, in Cina, vediamo una imponente quantità di gruppi (chiamati “organizzazioni radice”) che tentano con notevoli difficoltà di rispondere alla crescente domanda di aiuto della società. Non vengono riconosciuti né a livello legale né istituzionale. In uno studio condotto da China development Brief nel 2013, si è scoperto che la maggior parte di questi si occupa proprio di disabili, ambiente, bambini, migranti, salute (comprese le organizzazioni che lavorano con l’HIV), anziani, donne.

Come in Italia negli anni 80′, anche in Cina, i problemi sociali non possono essere risolti con dei classici trasferimenti monetari da parte del governo centrale o da nuove macro politiche sociali. I due strumenti non sono sufficienti se non corredati da soluzioni innovative e, come insegna il caso dell’Italia, l’innovazione sociale non si è sviluppata ai “piani alti” (top down) ma è nata e si è sviluppata sul campo, tramite un approccio “bottom up”.

Il problema più grave che affrontavano le organizzazioni negli anni 80′ in Italia e che fronteggiano oggi le organizzazioni radice in Cina è quello dei finanziamenti, prima di tutto per una questione di registrazione. La differenza è che a quei tempi, in Italia, la chiesa cattolica finanziava almeno in parte questi movimenti. In Cina, invece, la situazione è molto peggiore. I finanziamenti che provenivano prima dai paesi occidentali in supporto dei gruppi radice, sono drasticamente diminuiti dopo l’inizio della crisi economica e le organizzazioni religiose sono pochissime e molto controllate. In Italia, ai tempi, la soluzione fu riconoscere legalmente questi gruppi che stavano già lavorando per trovare soluzioni innovative ai problemi sociali esistenti, nella forma di quelle che sono chiamate oggi le cooperative sociali.

La legge che creò lo status legale di cooperativa sociale spiegandone la finalità passò nel 1991. Le cooperative sociali hanno come scopo primario il bene della comunità locale e di coloro che ne hanno più bisogno ma allo stesso tempo fanno profitti: esse possono essere considerate una versione all’Italiana dell’impresa sociale. Le cooperative italiane sono di due tipi: la forma A, che lavora maggiormente con i servizi sociali di salute, educazione, anziani, etc. e la forma B che è più orientata alla creazione di posti di lavoro per gruppi svantaggiati, come invalidi mentali, alcolizzati, giovani lavoratori con famiglie problematiche, detenuti. La cosa più interessante è che il maggior contrattore dei servizi delle cooperative è lo stato e che queste cooperative sono uno dei motori dell’innovazione sociale nel paese.

Negli ultimi anni in Cina si fa un gran parlare del concetto di shehuiqiye o impresa sociale, un’organizzazione che fa dei profitti mentre risolve dei problemi sociali. Questo non vuole dire che l’organizzazione si debba arricchire con i ricavati, ma che possa almeno permettersi di essere sostenibile. In Cina, creare un sistema di registrazione snello per i gruppi radice consentendogli così di registrarsi come imprese sociali potrebbe risolvere diversi problemi. Questo tipo di soluzione porterebbe benefici sia alle organizzazioni che allo stato. I gruppi radice, essendo in parte finanziati da privati, snellirebbero il peso del welfare e lo stato, attraverso gare di appalto, potrebbe assicurare servizi innovativi e mantenere le organizzazioni trasparenti (uno dei problemi più severi nel mondo delle organizzazioni radice). Il governo potrebbe inoltre beneficiare delle competenze acquisite da queste organizzazioni, le quali, lavorando a stretto contatto con le realtà locali, hanno una profonda conoscenza dei problemi esistenti e di come affrontarli nel miglior modo possible nella loro specificità. Oltre a ciò, il riconoscimento delle organizzazioni potrebbe rendere il lavoro volontario marginale e dare spazio a professionisti qualificati creando reali posti di lavoro, andando a colpire il pregiudizio che il lavoro in questo settore non debba essere remunerato. Le organizzazioni valide ne potrebbero beneficiare non solo in termini di finanziamenti statali, ma anche agli occhi dei donatori privati, in quanto registrandosi sarebbero più credibili ai loro occhi (uno dei problemi delle organizzazioni radice è che non essendo registate non possono ottenere sovvenzioni né dalle istituzioni straniere né da privati, i quali dubitano delle loro “buone relazioni” con il governo).

Il tipo di innovazione sociale portata dalle cooperative in italia riguarda diversi servizi nei quali sono avvenuti cambiamenti di grande portata e duraturi. Per esempio in alcuni servizi pre-esistenti le cooperative hanno migliorato i modelli di lavoro come per esempio l’assistenza ai disabili, che è divenuta personalizzata. Le cooperative hanno permesso l’estensione di servizi o attività già esistenti a nuovi ambiti territoriali e a nuovi utenti, per esempio estendendo lo stesso servizio a comuni o province limitrofi. Le cooperative hanno anche permesso di introdurre elementi di novità nelle attività consolidate, per esempio coloro che si occupavano di servizi educativi hanno cominciato anche ad occuparsi di servizi occupazionali. Infine, grazie alle cooperative, si sono sperimentati veri e propri nuovi modi di lavorare e organizzare servizi fornendo risposte a bisogni prima non considerati o inesistenti. Non solo le cooperative hanno portato innovazione sociale a livello di servizi ma sono state spesso promotrici di cambiamenti a livello di politiche sociali attraverso l’individuazione di nuovi problemi. Proprio per questi motivi, realtà come quella delle organizzazioni radice in Cina dovrebbero essere in grado di avere accesso alla registrazione: al fine di liberare le spinte innovatrici che vengono dal basso, dalla società civile, la quale può fornire validissimi spunti per dei cambiamenti macroscopici.

*Fiorinda Di Fabio nasce ad Ascoli Piceno nel torrido agosto 1986, si laurea in Lingue e Civiltà Orientali all’Università di Roma “La Sapienza” con una tesi sulla funzione storiografica delle iscrizioni sui bronzi rituali Zhou. Si specializza prima all’Universita’ di Lingue e Culture di Pechino poi all’Universita’Qinghua in Sviluppo Internazionale con una tesi sulle strategie di advocacy delle ONG in Cina. Dal 2009 ha collaborato presso diverse ONG e in due dei piu’ importanti centri di ricerca che si occupano di societa’ civile in Cina: China Development Brief e il Centro di Ricerca per le ONG dell’Universita’ Qinghua. Nel 2010 fonda Morning Tears Italia a Macerata che si occupa di figli di condannati a morte e detenuti in territorio cinese. Attualmente sta portando avanti un percorso di ricerca al fine di addentrarsi nell’inconscio della popolazione della terra di mezzo, occupandosi di integrazione culturale degli stranieri in Italia.