Cina – Il venerdì nero dei diritti umani

In by Simone

Lo scorso fine settimana c’è stata un’operazione di polizia senza precedenti. In un arco di tempo inferiore alle 48 ore, 114 persone tra legali e attivisti per i diritti umani sono stati presi in consegna dalle autorità, interrogati o arrestati. La “banda criminale” studio legale Fengrui viene ufficialmente accusata di “aver provato a generare conflitti sociali e a influenzare l’opinione pubblica diffondendo voci non verificate”
Una sola scintilla può incendiare tutta la prateria. Il pensiero di Mao è evidentemente tornato di moda nella Cina di Xi Jinping che, complice la nuova e vaghissima definizione legale di “sicurezza nazionale”, ha ulteriormente inasprito il controllo e la repressione del dissenso. Lo scorso fine settimana c’è stata un’operazione di polizia senza precedenti. In un arco di tempo inferiore alle 48 ore, 114 persone tra legali e attivisti per i diritti umani sono stati presi in consegna dalle autorità, interrogati o arrestati.

Ad oggi sei di loro sono stati ufficialmente incriminati, 92 rilasciati. Di molti non si ha ancora notizia. Tutti avevano lavorato su casi che riguardano la libertà di parola e di culto, i diritti umani e l’abuso di potere. La maggior parte di loro è collegata allo studio legale Fengrui,  famoso per aver difeso gli anelli più deboli della società e i cosiddetti dissidenti. Tra i suoi clienti più noti, l’artista Ai Weiwei e l’economista uiguro Ilham Tohti.

La prima a scomparire è stata l’avvocato Wang Yu. Poco dopo la mezzanotte dell’8 luglio, quando l’attenzione globale era concentrata sul crollo delle borse, scriveva su WeChat: “Dopo aver accompagnato mio marito e mio figlio in aeroporto, a casa è saltata l’elettricità. Anche la connessione internet è andata giù. Ho sentito che qualcuno cercava di forzare la mia porta. Parlavano a bassa voce. Ho chiamato sia mio marito che mio figlio, nessuna risposta”. Poi più niente. In 24 ore 101 avvocati hanno firmato una breve lettera che denunciava la sua scomparsa.

Arriviamo al “venerdì nero”. Il 10 luglio, dopo 9 mesi di detenzione, le autorità liberano Zhang Miao. L’ex assistente della corrispondente in Cina per il magazine tedesco De Zeit, era stata arrestata il primo ottobre scorso per aver partecipato a una piccola cerimonia di supporto ai manifestanti di Hong Kong. Fuori lei e dentro il suo legale: Zhou Shifeng, il direttore dello studio legale Fengrui. Poi tutti gli altri.

Il giorno successivo, la banda criminale” Fengrui viene ufficialmente accusata di “aver provato a generare conflitti sociali e a influenzare l’opinione pubblica diffondendo voci non verificate”.  “Volevano raggiungere fama e profitto e creare caos sociale” gli fa subito eco e megafono il Quotidiano del popolo. Secondo il China Daily avrebbero offerto oltre 14mila euro per ogni registrazione video che portasse nuovi elementi su un caso su cui stavano lavorando, mentre una vittima avrebbe ricevuto più di 80 euro per partecipare a un sit in con un cartello.

Contemporaneamente agli arresti, Telegram, la app che permette di mandare messaggi crittografati e di programmarne la loro completa distruzione, ha subito un attacco informatico che ha reso i suoi server inaccessibili dalla Cina. Secondo il Quotidiano del popolo, l’applicazione era usata dai suddetti avvocati per “tenere il governo all’oscuro delle loro azioni”. Non ci sono prove, ma storia ci insegna che soffiare sul fuoco non è mai un buon metodo per spegnerlo. Neanche nella Repubblica popolare cinese.

[Scrito per il Fatto Quotidiano]