Cina – Corsi di formazione di massa

In by Simone

La mancanza di specializzazione ha impedito ai lavoratori migranti di divenire lavoratori qualificati nel moderno sistema industriale”. Sono parole di Yang Zhiming, vice ministro delle risorse umane e della sicurezza sociale. Il costo del lavoro è infatti aumentato anche in Cina e continuerà a farlo. È arrivato il momento di passare dal “made in China” al “created in China”.
Il governo, a partire da quest’anno, formerà gli operai. Ancora non sono noti i dettagli specifici, ma l’intenzione è quella di rivolgersi sopratutto alle nuove generazioni, quelle nate negli anni Ottanta o dopo. I dati ufficiali del governo cinese stimano che la cosiddetta nuova generazione sia pari a cento milioni (sui 269 milioni di lavoratori migranti che lavoravano in Cina a fine 2013). Un programma di formazione di massa, dunque, che mira a formare circa dieci milioni di lavoratori all’anno, cento milioni entro il 2020, con una spesa stimata di 60 miliardi di yuan all’anno (oltre 7 milioni di euro).

Il problema di fondo è che in Cina è aumentato il costo del lavoro. Le statistiche del ministero hanno dimostrato che il reddito mensile per i lavoratori migranti ha raggiunto circa 2.600 yuan (309 euro) nel 2013, con un incremento di quasi il 14 per cento rispetto all’anno precedente. Per il 2014, si prevede una percentuale simile se non superiore. Il divario di reddito tra residenti rurali e urbani è ancora grande. I primi, secondo l’Ufficio nazionale di statistica, guadagnano infatti solo il 60 per cento di quello che guadagna la loro controparte urbana. Inoltre la retribuzione media per i migranti che lavorano nelle aree orientali, economicamente più sviluppate, è circa il 10 per cento superiore a quella delle aree centrali e occidentali.

Sono in molti a lamentarsi degli aumentati costi del lavoro e della scarsa qualificazione degli operai. Shi Zhenhuan, un addetto della comunicazione di Foxconn – uno dei principali fornitori dei giganti dell’elettronica, tra cui Apple –  ha dichiarato che è sempre più difficile trovare manodopera specializzata da assumere nei 30 stabilimenti di produzione che hanno in Cina. Ha lamentato che la maggior parte dei dipendenti non sono ben istruiti e mancano delle competenze necessarie e ha aggiunto che per l’azienda è quasi impossibile formarli dal momento che le generazioni più giovani cambiano in continuazione lavoro.

Il governo però vede di buon occhio gli aumenti salariali. Si inseriscono perfettamente nello sforzo programmato di traghettare l’economia del paese dall’industria manifatturiera ai servizi. C’è inoltre il problema dell’invecchiamento della popolazione (il passaggio dalla politica del figlio unico alla politica dei due figli non risolverà la situazione a breve), e la volontà di creare un consumo interno in grado di sostenere la crescita economica. Sono in molti a temere che questo significherà che sempre più produzioni a basso costo si sposteranno nelle aree limitrofe del Vietnam e della Cambogia.  Ma anche a questo il Partito tenta di trovare una soluzione.

Liu Junsheng, ricercatore del lavoro e del salario presso l’Istituto del Ministero delle Risorse Umane e della Previdenza Sociale, ha dichiarato al China Daily che l’aumento dei costi del lavoro ha costretto molte industrie ad alta intensità di manodopera a trasferirsi nelle province interne e nei paesi del Sudest asiatico.

E infatti fa impressione osservare la cartina della Cina su cui sono evidenziate la zone scelte per ampliare gli affari delle aziende esistenti. Ai primi posti ci sono la regione del Sichuan e la megalopoli di Chongqing. Le arie più interessate dalla nuova scommessa cinese: urbanizzare le arie rurali e riportarci quei lavoratori migranti che i dati ci dicono non essere già più il terzo stato ma una nuova classe di consumatori. Quella su cui punta la Nuovissima Cina.

[Scritto per Lettera43]