Caratteri cinesi – le riforme “basate” sul mercato

In by Simone

O la va o la spacca. Le riforme varate al terzo plenum del 18° Comitato Centrale saranno "basate" sul mercato o non saranno, secondo l’economista Zhang Ming, che fa il quadro generale della situazione cinese e spiega perché bisogna cambiare. Un articolo assolutamente "sul pezzo", mentre si chiude il plenum Alla vigilia della terza sessione plenaria del 18° Comitato Centrale, gira voce che l’obiettivo principale dei quadri del partito sarà quello di portare avanti la "riforma basata sul mercato". In passato, la “riforma” veniva definita come “orientata al mercato” [sottintendendo che fosse ancora ad una fase intermedia di realizzazione; ndt]. Questo cambiamento nella definizione lascia supporre che, probabilmente, in questa nuova fase sarà attribuito al mercato un ruolo ancor più centrale in quella che è l’allocazione delle risorse. Ciò potrà, senza dubbio, accelerare la transizione dall’attuale modello di crescita trainata dalle esportazioni e dagli investimenti, ad una crescita trainata da un più equilibrato consumo interno, ponendo quindi le basi per una crescita più sostenibile per i prossimi dieci anni.

Il concetto di "riforma basata sul mercato" sottintende, come minimo, tre cambiamenti cruciali: il primo consiste nell’accelerare l’implementazione della riforma affinché sia il mercato a determinare i prezzi dei fattori produttivi; il secondo è rappresentato dalla necessità di infrangere il monopolio delle imprese statali in un certo numero di servizi; il terzo corrisponde, infine, a ridurre l’intervento del governo nelle attività economiche, rafforzando la capacità di innovare dei soggetti economici di piccole dimensioni.

Negli ultimi decenni, il sistema distorto dei prezzi dei fattori produttivi ha causato un trasferimento delle ricchezze dalla popolazione alle grandi imprese, incoraggiando quindi un ambiente economico dominato da elevati investimenti in beni fissi, che ha evidentemente contribuito a dare forma all’attuale modello di crescita della Cina. Col tempo, i costi ed i problemi che queste distorsioni hanno creato, sono cresciuti in maniera esponenziale: il rapporto tra reddito dei cittadini e reddito nazionale ha continuato a diminuire costantemente, ostacolando la transizione del modello di crescita; ciò ha incoraggiato il modello di crescita estensivo dell’economia cinese. Questo modello non solo ha portato ad uno spreco di risorse, ma ha anche causato un forte degrado ambientale. Una modifica del sistema attuale risulterebbe quindi indispensabile, anche se l’obiettivo fosse solo mantenere il tradizionale modello di crescita economica della Cina.

Per questo motivo, ci si aspetta che il governo cinese acceleri le riforme per la mercatizzazione dei prezzi delle risorse naturali (come l’acqua, l’elettricità, il petrolio, il carbone, il gas e i trasporti), quella dei capitali (attraverso l’adozione di meccanismi di mercato per stabilire il tasso di cambio del rmb ed il tasso d’interesse) e del costo del lavoro e della terra, oltre a rendere prioritari nelle scelte economiche i costi ambientali. Nel breve periodo, la riforma per mercatizzare i prezzi dei fattori produttivi potrebbe far aumentare i costi di gestione delle imprese, riducendo la competitività internazionale dei prodotti d’esportazione cinesi e causando un temporaneo rallentamento della crescita economica. Tuttavia, nel medio e lungo periodo, questa stessa riforma porterà ad un miglioramento della struttura industriale delle imprese cinesi, favorendo il passaggio da un modello di crescita estensiva – ad alto consumo di risorse naturali e con elevati livelli di inquinamento – ad una crescita intensiva, ossia basata sul risparmio delle risorse e la protezione ambientale.

I profondi squilibri presenti nell’economia cinese – lo sviluppo eccessivo del settore manifatturiero, a cui si contrappone uno sviluppo non sufficiente del settore dei servizi – sono ormai un fatto noto ai più. Una delle principali cause di questo squilibrio è il monopolio detenuto dalle imprese statali in molti dei più importanti settori dei servizi. Tali monopoli si traducono, da una parte, in uno scarso accesso a questi settori da parte delle imprese private; dall’altra, riducono gli stimoli ad aumentare gli investimenti e migliorare la qualità dei servizi per le stesse imprese statali che detengono una posizione di monopolio. Ciò comporta che gli investimenti del settore dei servizi cinese sono generalmente non sufficienti, la qualità dei servizi è bassa, mentre i prezzi tendono ad essere elevati. Considerando la questione da un’altra prospettiva, lo sviluppo non sufficiente del settore dei servizi, da un lato, risulta in una più esigua percentuale sul totale dei redditi da lavoro (poiché il settore dei servizi è un’industria ad alta intensità di lavoro, mentre il settore manifatturiero è un’industria ad alta intensità di capitali); dall’altro, riduce il consumo da parte degli abitanti. Per questo, il monopolio delle imprese pubbliche nel settore dei servizi è una delle cause principali della serie di problemi attuali che l’economia cinese si trova ad affrontare.
Come ha indicato quest’estate il premier Li Keqiang, nel corso del forum di Davos, il governo cinese dovrà sviluppare vigorosamente un’economia a proprietà mista [pubblica e privata; ndr], rilassando le restrizioni per l’accesso al mercato in settori come la finanza, l’energia elettrica, le telecomunicazioni, le opere pubbliche, le ferrovie, lo sfruttamento delle risorse energetiche ed il settore petrolifero, attirando quindi maggiori investimenti privati. Se il governo riuscisse a realizzare questo obiettivo durante questo mandato, sarebbe sicuramente un grande risultato. Tuttavia, come dimostra l’esperienza del passato, l’accesso delle imprese private al settore dei servizi è stato promesso più volte ma mai realizzato finora. E’ capitato infatti che le imprese private abbiano ricevuto sulla carta il via libera, ma, poi, abbiano di fatto incontrato diversi ostacoli, come ad esempio numerose limitazioni nel processo di approvazione o di finanziamento.
Per aprire realmente questi settori alle imprese private, permettendo ad aziende con differenti tipologie di proprietà di competere ad armi pari, è forse necessario smantellare prima le gigantesche imprese statali.

La Cina ha ormai maturato un’esperienza trentennale di riforma e apertura, ma l’intervento del governo nell’economia rimane ancora illimitato e profondamente radicato. L’importanza data alla Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma è probabilmente esemplificativa dell’ubiquità e della capillarità dell’interferenza del governo in quella che è, ad esempio, la pianificazione e il processo di verifica e approvazione. Ma, questa continua ed estensiva interferenza del governo nell’economia tende a ridurre la vitalità e la capacità innovativa dei soggetti di piccole dimensioni e crea terreno fertile per il fenomeno noto, in inglese, come “rent seeking” ["ricerca di rendita", ossia il fenomeno che si verifica quando un individuo, un’organizzazione o un’impresa cerca di ottenere un guadagno mediante l’acquisizione di una rendita economica attraverso la manipolazione o lo sfruttamento dell’ambiente economico; ndt] e per la corruzione sistemica.

Negli ultimi anni il potenziale rallentamento della crescita e, in particolare modo, il rallentamento della crescita della produttività di tutti i fattori produttivi – indicatore questo che rivela l’elasticità e la capacità di innovare del sistema economico – è stato un chiaro riflesso dei danni provocati dall’intervento del governo alla sostenibilità della crescita economica.

Fortunatamente, dopo il cambio di leadership, “la semplificazione e la decentralizzazione” sono diventate parole chiave della riforma strutturale dell’amministrazione e sono state portate avanti con risolutezza. Il nuovo esecutivo si è impegnato fin dall’inizio del suo mandato, come ha affermato il premier a Davos, a modificare quella che è la funzione del governo, promuovendo con forza la riforma strutturale della gestione amministrativa. A partire da quest’anno, sono state abolite, o trasferite ad un livello più basso, oltre 200 voci del processo di verifica e approvazione amministrativa. Lo scopo è stato quello di creare un ambiente competitivo più equo per tutte le imprese, stimolando la vitalità creativa degli attori presenti nel mercato. Se si continuerà a portare avanti la semplificazione e la decentralizzazione, stabilendo in maniera netta quale sia il confine tra la “mano invisibile” del mercato e la “mano visibile” del governo, allora non solo si potranno registrare effetti positivi come una rinnovata vitalità dei soggetti di piccole dimensioni, ma sarà anche possibile creare un sistema di governo altamente efficiente e pulito.

In sintesi, se il governo cinese, nei prossimi cinque anni, accelererà la transizione alla mercatizzazione dei prezzi dei vari fattori produttivi, romperà i monopoli delle grandi imprese statali in molti servizi e aprirà realmente questi stessi settori ai capitali privati, riducendo l’interferenza dell’amministrazione in tutte le attività economiche, si registreranno miglioramenti a tutti i livelli. Dal punto di vista delle imprese, ciò contribuirà ad attivare la vitalità e la creatività dei soggetti presenti nel mercato. Al livello intermedio, ciò permetterà di migliorare l’equilibrio della struttura industriale. Da un punto di vista macroeconomico, questo consentirà infine di redistribuire il reddito nazionale e trasformare il modello di crescita dell’economia.

Se la Terza Sessione Plenaria del 18° Comitato Centrale riuscirà realmente a promuovere la riforma basata sul mercato, allora le prospettive dell’economia cinese di uscire dalla trappola del reddito medio e di diventare un paese sviluppato a tutti gli effetti saranno abbastanza promettenti.

[Il pezzo è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Piero Cellarosi]

*Zhang Ming è un economista di Pechino nato nel 1977. Ha conseguito un dottorato in economia ed è associate research fellow. Attualmente ricopre la carica di vice direttore del Dipartimento di finanza internazionale dell’Institute of World Economics and Politics (IWEP) e quella di segretario generale dell’Institute of Finance and Banking (IFB), due influenti istituti di ricerca che fanno capo all’Accademia cinese di scienze sociali. Zhang Ming è inoltre membro del China Finance 40 Forum. I suoi articoli sono spesso pubblicati da importanti testate finanziarie cinesi, tra le altre scrive per Caijing, China Forex, Shanghai Securities News e la versione cinese del Financial Times.