Caratteri cinesi – Il cantante #2

In Caratteri Cinesi by Simone

Seconda parte di un racconto di Haizi dallo stile mistico e oscuro. Il protagonista di un pezzo che forse sarebbe più corretto definire "poesia in prosa", ai limiti del surreale, è un cantante. Ma in realtà si tratta di un poeta, forse di Haizi stesso, dal momento che, secondo la sua visione, poesia e musica sono assolutamente complementari. La prima parte

In questa valle, a volte mi capitò di canticchiare uno o due versi, molto belli, ma anche molto tetri. Erano affascinanti, seducenti, avrebbero potuto condurre a morte qualcuno, perfino. Forse sto esagerando un po’. Non è questa la cosa principale. Il mio scopo è quello di trovare quel cantante che si è perduto in tutti questi anni di leggende, quel cantante il cui nome trovai in un vecchio libro ammuffito, quel cantante già famoso negli anni della sua giovinezza.

Da allora sono passati quasi settecento anni. E tuttavia, a confronto con i canti, sette secoli non sono un granché. Però, a confronto con sette secoli, i cantanti sono ancora più impermanenti e patetici, non vale la pena neanche menzionarli. Quel cantante, forse perché era molto solitario, venne a vivere in questa gola, in questa valle d’inferno, o in questa valle imperiale fiorita. Da un punto di vista superficiale, il territorio di questa valle non ha niente di inusuale o straordinario; si potrebbe dire: non è un posto che salta all’occhio.

Tuttavia, esso custodisce molti spiriti malvagi e altre anime. Per questo è un luogo che merita di essere visitato. Questo è il punto cruciale. A volte ho fermato la mia imbarcazione in questo luogo puro. Casualmente decisi per l’immortalità. Inoltre, gli alberi bluastri lungo la riva fecero sì che il mio corpo fragile sembrasse prendere posizione. Pensai di poter vedere qualsiasi tipo di albero che potesse seppellirmi.

A quel tempo la pensavo così. Ho acceso un fuoco, nella valle, ho pianto lacrime roventi, sulle ceneri scure. In questo modo, ho ottenuto una scura canzone. Il mio sguardo già si è posato fugace su quei fiori. Proprio per questi fiori il territorio di questa valle somiglia alla terra santa, e per certi versi davvero tale nome si accorda con la realtà; inoltre è perfettamente adatta a quell’oscuro canto ammuffito.

Un fiume di fiori, fluttuanti sotto il sole rovente. Semplicemente non puoi credere di poterti avvicinare a lei. Avvicinarti a lei. Hai abbandonato la barca e hai risalito a riva. Ogni cosa è perfettamente ordinata. Fin qui sembra che nessuna complicazione, nessun errore sia accaduto, nel viaggio, tutto sembra esser fluttuato via lontano, anche la storia dello scavar tombe.

Su questi fiori selvatici, proprio qui è il canto. Le ossa sono schiacciate l’una contro l’altra, la lingua viene sputata fuori: proprio così si ottiene il canto. Sono stato disteso per lungo tempo, ora mi appoggio alla terra e come ingurgitassi vino bevo acqua, di nuovo la mia voce prorompe in un canto. La gente sull’altra riva dice: questa volta la valle davvero ha un cantante.

Io invece penso questo: non importa chi sia, basta che scenda dalla barca e risalga la riva, sospenda la sua viandanza, arrivi qui: qualunque suono che l’esistenza saprà emettere sarà certamente un canto. Ma chi sarà a venire? Io sto per addormentarmi in un sonno profondo, quando mi sveglierò scoprirò che quel libro ammuffito non ci sarà più. Ma io, la persona che avrà perso la bellezza del mattino cantato in quel vecchio libro, imparerò i veri canti. All’inizio saranno solo poche sillabe, senza parole. Ma poi le parole si udiranno flebili e rade, e poi ancora aumenteranno gradualmente d’intensità e di numero.

Le lingue. A volte appaiono su una spalla, sull’ombelico. A volte sulla testa. A volte appaiono su una coscia. A volte le metto tutte in bocca, sulla lingua. Imparo. Sputo. Sono estranee, come gli uccelli, ognuno che insegue l’altro. Sulla superficie dell’acqua del fiume risuona un’eco antica, ma distinta e quieta. Sull’altra riva del fiume le persone credono che io sia quel cantante. Ma non capisco: quel cantante sono io? Quel cantante esiste o non esiste dunque?

Discendo la valle, quella valle infernale, quella valle che per prima l’imperatore discese. Ma allora, quel cantante di cui narra la leggenda, chi è? La sorgente e l’uccello.

Sul corso superiore del fiume, sul sentiero che conduce alla cima della collina, sono sbocciati dei fiori di un rosso brillante come sangue. Le foglie sono marcite tanto che sembrano formare un sottile strato d’acqua. Una fiamma ardente e una carezza. Negli incavi tra gli alberi e nei pertugi tra le rocce si aggira strisciando un ingombrante essere di forma umana. Il lago ha ricoperto metà delle montagne e della foresta.

Speranza e benedizione sono giunte tra gli uomini. Una mandria di cavalli fulvi passeggia fugace come un corpo fluido tutt’intorno. Un gruppo di nomadi la cui origine e la cui destinazione mi sono incerti passano di qui. Le vette innevate e i pendii erbosi velano la bruttezza del gruppo. Gli uomini con le irte ciglia si riparano gli occhi dalla stagione piovosa. La loro vita, di giorni felici e sempre uguali, porta sulle spalle un ingombrante ricordo doloroso. Un brullo crinale montano. Da dove veniamo? E dove siamo diretti? Chi siamo noi? Una luna rossa e uno strumento musicale tirato a lucido dalle palme delle mani e dalle labbra ci accompagnano attraverso la notte.

Quella luna rossa è come un’enorme voglia sulla pelle che non riusciamo a lavare via. In una notte di luglio scopro di non esser più taciturno, dolorante ho regalato a ogni fuoco acceso una storia. La storia della madre che nella notte è stata svegliata dalle gambette scalcianti del bimbo nel ventre, del cordone ombelicale. Dei capelli della mia amata che si sono arricciati al tepore dei miei sospiri, cadenti a ricoprire il suo seno delicato. Le storie dei semi nella neve e dell’angoscia del nord. Storie di amicizia e di pretesti che puzzano di sangue. Di stelle comete cadute sulla terra e volate via di nuovo.

Di gigli e di orchidee, del pianto della sposa. Delle mani coperte di sangue del nemico. Storie di giustizia, di preghiera e di vendetta.
Storie che narrano dei raggi del sole della giustizia, che come fruste colpiscono la schiena del colpevole. Storie sulla dea delle poesie pastorali e della luna. In molti si sono destati e di nuovo caduti nel sonno. In molti si sono addormentati e di nuovo destati. Le ombre degli uomini proiettate dal fuoco formano un corpo enorme. Infine ho raccontato degli uccelli. Sono pieni di essenza spirituale. Il volare non può essere superato. Né la forza fisica né l’intelletto possono comandarlo.

Esso è un miracolo. Se potessi raggiungere le fila di uccelli in volo, ti sentiresti solo. Il tuo cuore si allargherebbe e si stringerebbe al tepore di quelle morbide piume. Il tuo cuore non è fatto per esser cauto, ma per volare alto. La canna della pistola sulla terra facilmente sarà puntata verso te. Su quel velo del cielo di un blu che fa male, tu voli, il petto adorno di semi già ingoiati, voli, solitario, disperato, porti con te perfino un odio banale.

2. fine

[Il pezzo è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Serena De Marchi]

*Haizi, al secolo Zha Haisheng, nasce il 24 marzo 1964 nella provincia dell’ Anhui da famiglia contadina. Si suicida il 26 marzo 1989, poco prima degli eventi di piazza Tian’anmen, diventando così un simbolo, "martire dell’arte" per il movimento degli studenti. La sua produzione copre un periodo di soli 7 anni (1982-1989) ma è molto prolifica: più di 250 poesie, opere in versi e racconti. Haizi adotta per lo più il verso libero, in una poesia individualista, dove emerge l’ego del poeta. Spesso utilizza la tecnica del flusso di coscienza.