Caratteri Cinesi – La fede in Cina

In by Simone

La Cina accetta la religione. E si investe addirittura nella costruzione di nuove chiese. Gli intellettuali accusano le classi meno abbienti di superstizione, ma dietro alla recente rinascita religiosa si nascondono esigenze sincere e dolore. L’opinione di Han Dong.La questione della fede riguarda  il vuoto spirituale e il dolore. Si dice che chi non ha Dio non ha regole. E sembra che la fede sia vincolante o forse, più semplicemente, un vincolo.

La fede ha a che fare con le aspirazioni naturali dell’uomo. […] In Cina oggi non esiste una fede condivisa né una religione di stato diffusa e ufficiale. Per questo c’è chi sostiene che i cinesi non hanno un Dio, quasi come se non esistesse nessun virus in grado di attaccarci.

Ma il dolore esiste e in questo momento storico particolare, il dolore appare tanto più profondo. Perciò il bisogno di fede, come minimo, si può considerare un fattore universale.

Legare questo bisogno significa negare il dolore, ovvero considerare la questione della fede come un prospetto senza però considerare le sue radici.

Forse gli intellettuali pensano che la religione sia un modo per riempire un vuoto ed elevare la vita, ma per la maggior parte delle classi più basse la religione diventa un grido liberatorio.

[…] Le masse delle classi più disagiate sono più difficilmente sensibili alla verità assoluta  per le limitazioni dell’ambiente e del livello culturale,  perciò la loro fede assume sfumature che vanno dalla superstizione all’idolatria. Ma non possiamo concludere, per questi motivi, che a loro manchi totalmente la fede oppure che la loro fede manchi di senso.

Marx diceva che la religione è l’oppio dei popoli. E l’oppio mitiga il dolore. […] Negare il sollievo al dolore, è una cattiveria bella e buona. La religione in fondo è un placebo per le persone, un antidolorifico, ma comunque è assolutamente indispensabile. […]

Gli intellettuali sono affezionati alla teoria della discussione metafisica e con arroganza rigettano e generalizzano la fede delle masse riducendola a superstizione. Questo fa si che la questione della fede sia in ultima istanza un concetto confuso sul nulla e qualche chiacchiera vuota.

La religione invece non è un concetto, è una verità, una verità soprannaturale, ma è anche una verità realista. Se non ci fosse il dolore non esisterebbe il bisogno della fede; in assenza di un corpo e di uno spirito pronto a ricevere il dolore, la fede non sarebbe così diffusa.

[…] La religione è il sentimento di un mondo che non ha sentimenti, è l’amore di un mondo senza amore. In altre parole non è una cosa prodotta da questo mondo, ma viene da fuori, è soprannaturale.

[…] Nella Cina antica, prima della liberazione [comunista], la maggior parte dei seguaci della fede buddista erano i miserabili, mentre  quelli che seguivano Gesù erano quasi tutti benestanti o onorevoli – come Chiang Kai-shek e sua moglie Song Meiling.

Questo fenomeno era dovuto all’assimilazione della dottrina buddista nella tradizione cinese. Il cristianesimo, invece, aveva a che fare con il potere occidentale, rappresentava l’orientamento verso il progresso e le nuove tendenze.

Ma la situazione odierna in qualche modo è diversa. Dopo la rivoluzione comunista, la fede, che sia essa cristiana o buddista, è tornata ad un punto di inizio singolare, se non completamente inedito.

Oggi molti poveri credono in Gesù e molti ricchi tendono verso il buddismo. Questo succede perché, fondamentalmente, il cristianesimo non è altro che la religione dei poveri.

La dottrina si diffonde raccontando storie – le parabole – che commuovono milioni di fedeli insieme alla vita di Gesù – vita e morte. Buddha invece prima di diventare un monaco era un principe e le scritture buddiste assumono un carattere discriminatorio, fatto di sottomissione e razionalità.

Oggi molti intellettuali amano intervenire sulla meditazione e sull’anima parlando di buddismo. Se molte stelle del cinema e della tv e sempre più personaggi pubblici si convertono, non è un caso.

Anche la tendenza delle classi povere verso Gesù non è casuale. Tanti anni fa, una ragazza del villaggio dove ero stato mandato, a causa del declassamento, è venuta a Nanchino.

Quando le ho chiesto del paese, mi ha detto: "Adesso crediamo in Giasù". Parlava dialetto e all’inizio non ho risposto. Un attimo dopo ho realizzato che Giasù era Gesù. Allora le ho chiesto: " Perché credete in Giasù?". Lei ha risposto: "Gesù può curare i mali. Se credi, la malattia guarisce".

Per caso quest’anno ho fatto un giro nelle periferie di Nanchino e ho visto tante chiese dall’aspetto particolare che pare siano state costruite dai contadini con i loro soldi.

Il fumo dell’incenso usciva da quelle chiese, la gente si inginocchiava in preghiera proprio come si vede nei monasteri o nel tempio del dio della terra.

[…] C’è sempre un certo bisogno di fede che trova le sue radici nel dolore. Questa esigenza è realmente sincera.

Forse non abbiamo una religione di stato, né un credo condiviso da tutta la popolazione, ma abbiamo […] terreno fertile di dolore […]. È un problema non gradito con cui ci dobbiamo confrontare. Altrimenti cosa riempirebbe questo vuoto? Ma questa è un’altra questione.

[L’intera traduzione è consultabile su Caratteri Cinesi. La traduzione è di Tania Di Muzio]

* Han Dong nasce a Nanchino nel 1961. Dopo la Rivoluzione culturale e la laurea in filosofia imbocca la strada della letteratura. Critico verso il sopravvento del mercato sulla produzione letteraria, prende le distanze dagli intellettuali colti, vicini al Partito ma lontani dalla gente.Nella sua opera mette la storia al centro della costruzione narrativa, evitando sia l’esasperazione del realismo sia eccessivi artifici linguistici. 

[Foto Credits: nbbehring.photoshelter.com]