Calcio: la Cina compra gli Azzurri

In by Simone

No, non è la derelitta nazionale italiana, bensì il Pavia, primo club professionistico italiano che passa in mani cinesi. Centodue anni di storia (mai in serie A), prestazioni deludenti, debiti, ma un ottimo settore giovanile e un territorio che potrebbe fare gola al fondo d’investimento di Shanghai che ne ha rilevato il pacchetto azionario. Da un Fiume Azzurro all’altro, un investimento che potrebbe rivelarsi davvero azzeccato. Il Pavia Calcio è il primo club italiano di livello professionistico che passa in mani cinesi. La società, che ha centodue anni di vita e che gioca in LegaPro Prima Divisione (l’ex C1) sarà ceduta dalla famiglia Zanchi, che deteneva il 90,5 per cento delle quote, all’Agenzia per l’Italia, cioè il distaccamento italiano del fondo di investimenti cinese Pingy Shanghai Investment. Nei prossimi giorni si attende la fidejussione che consentirà alla squadra di iscriversi al proprio campionato ma, se tutto fila liscio, soldi cinesi faranno il lungo viaggio dal Fiume Azzurro (Yangtze) al Fiume Azzurro (Ticino) per aprire nuovi orizzonti agli “azzurri” (del Pavia), che l’anno scorso si sono classificati ultimi nel proprio campionato: graziati dal fatto che per una riorganizzazione della Prima Divisione, nel 2013-2014 non si prevedevano retrocessioni in Seconda. Nella sua storia, il club ha partecipato per quattro volte alla serie B, dalla quale manca però dal 1954-1955.

Nell’organizzazione societaria che si configura, dovrebbe continuare a esserci un management italiano. Il direttore generale e sportivo tornerà a essere Massimo Londrosi, classe 1968, pavese doc, l’uomo che ha già portato il Pavia dall’Eccellenza alla LegaPro e che sogna un giorno di direttore sportivo del Torino, vincere lo scudetto e dimettersi il giorno dopo. Allenatore sarà Riccardo Maspero.
In attesa che il Pavia faccia un doppio grande balzo in avanti verso la serie A e smascheri la natura di “tigri di carta” dei dirimpettai di Milan e inter (che ultimamente lo rivelano tranquillamente senza bisogno di aiuti esterni), proviamo a dare un contesto all’operazione.

Del misterioso fondo d’investimento che rileva il club si sa poco o niente.
Il presidente si chiama Zhu Xiaodong, mentre Wang Qiangming è l’amministratore dell’Agenzia per l’Italia. Sono loro che hanno passato quattro ore in uno studio notarile di Pavia per limare e controlimare le clausole del passaggio di consegne dalla famiglia Zanchi. Finora hanno presentato garanzie bancarie provenienti dalla Cina per un milione e duecentomila euro, una cifra tutto sommato non eccessiva, dichiarando che si accolleranno i debiti del club.
“Si sa che Pingy è un fondo partecipato da altri fondi, sia pubblici sia privati, e precedentemente hanno cercato di fare business anche nella zona di Reggio Emilia”, dice Claudio Gariboldi, giornalista della Provincia Pavese. “Da quanto si può capire finora, a Pavia sono interessati soprattutto a entrare in affari con l’università, il policlinico San Matteo e nel settore dell’enologia, utilizzando il calcio come collaterale”.
Zhu e Wang sono già andati dal sindaco Depaoli, dichiarando che comunicheranno i loro progetti di investimento in quei settori di volta in volta, mentre in settimana si presenteranno ufficialmente ai tifosi pavesi. Si sono serviti dell’ex giornalista della Gazzetta dello Sport ed ex direttore unico del Giro d’Italia Angelo Zomegnan come consulente per lo sbarco tra il Ticino e il Po.
Qui ci si chiede: hanno i soldi o no?”, aggiunge Gariboldi.

I precedenti dei cinesi che sbarcano nell’Europa calcistica non sono entusiasmanti.
Carson Yeung, il magnate di Hong Kong che si era comprato il Birmingham City (Premier League inglese) nel 2009, ha lasciato tutte le cariche nel club lo scorso febbraio, per poi essere condannato a sei anni da un tribunale dell’ex colonia britannica per riciclaggio. Suo figlio e suo cognato restano nel consiglio d’amministrazione del club, che nel frattempo era retrocesso in Championship (serie B inglese), dove si è classificato 21esimo quest’anno.
Sempre oltre Manica, Vincent Tan è il proprietario del Cardiff City. Il tycoon con passaporto malese ma di sangue cinese è meglio noto per avere cambiato colore della maglia alla squadra – da blu a rosso – scatenando le proteste dei tifosi. Intanto il Cardiff è retrocesso dalla Premier alla Championship e Tan ha detto che riconsidererà la faccenda dei colori sociali.
La squadra portoghese di seconda divisione del Mafra è posseduta da Yang Qi, imprenditore del Guangdong: niente da segnalare, a parte la presenza in rosa di ben tre giocatori cinesi.

Menzione a parte per Wang Jianlin, presidente del conglomerato immobiliare e dell’intrattenimento Wanda, già uomo più ricco della Cina con un patrimonio personale da 8,6 miliardi di dollari. Membro del Partito, vero appassionato di calcio, investe nella federazione del suo Paese e sponsorizza club spagnoli (Atletico Madrid, Valencia e Villareal) affinché consentano a “promesse” cinesi di allenarsi nei propri settori giovanili. In passato, il suo nome è stato associato a due o tre squadre inglesi e, soprattutto, alla Roma. Non se ne fece nulla.
Sempre per la società capitolina si parla da tempo di Chen Feng, imprenditore con un patrimonio di circa 45 miliardi di euro e partecipazioni nel settore turistico, in compagnie aeree e alberghi. Dal 2013 sarebbe in trattativa con il presidente Pallotta per entrare nel club con una quota, in un’operazione caldeggiata da Unicredit che da tempo cercava di sbolognare la propria partecipazione a qualcun altro. Per ora, nulla di fatto. Cheng avrebbe chiesto di congelare l’affare in quanto impegnato in altri progetti più urgenti e la stessa Unicredit non avrebbe più fretta: dopo un calo del titolo azionario, il valore del club giallorosso starebbe rimbalzando a causa della qualificazione in Champions League e dei progetti per un nuovo stadio. La banca vorrebbe quindi rivedere il proprio prezzo al rialzo, ma non si sa quanto ciò possa far piacere a Chen.

Prima che arrivasse l’indonesiano Thorir, Massimo Moratti cercò di piazzare il 15 per cento dell’inter e del suo debito al China Railway Costruction Group, un’impresa di Stato che costruisce ed esporta linee ferroviarie in mezzo mondo. Era il 2012 e nel novembre di quell’anno la società cinese smentì drasticamente ogni interessamento. Certo, in caso di nuovo stadio da costruire, potrebbe anche cambiare idea.

L’interessamento imprenditoriale cinese per il calcio, al di là della passione spontanea che sempre più pervade il Paese, sembra dettato da due ragioni: la possibilità di utilizzare il football come veicolo per sbarcare in qualche business appetibile; l’opportunità che offre a livello di guanxi, cioè contatti, cioè pubbliche relazioni, cioè politica.
Non si dimentichi che il presidente Xi Jinping è un grande appassionato e che la nazionale cinese è solo 103esima nel ranking globale, fuori dai mondiali e pluri-umiliata anche in partite amichevoli; di fatto, tutto il football cinese è al centro di scandali legati a giri di scommesse e partite truccate. Chi riuscirà a risollevare le sorti del sistema calcio, farà una gran bella figura.
Il caso di Wang Jianlin e del gruppo Wanda, citato prima, è forse il più esemplare. Ma anche l’arcinoto Jack Ma, guru di internet e fondatore di Alibaba, si è buttato nel football acquisendo di recente il 50 per cento del Guangzhou Evergrande per 1,2 miliardi di yuan (193 milioni di dollari). Si tratta della squadra allenata da Lippi, orgoglio nazionale e attuale detentrice della Champions League asiatica.

Il business pavese del fondo Pingyi si può forse già intravedere. Università, know-how ospedaliero ed enologico sono tre business che in Cina tirano e tireranno sempre di più. Il Dragone ha sempre più bisogno di tecnologie occidentali per fare il grande salto di qualità da “fabbrica del mondo” a economia evoluta, incentrata su consumi interni e servizi. Per quanto riguarda il vino, rappresentanti di investitori cinesi circolano da tempo per l’Italia comprando intere cantine, mentre l’invecchiamento della popolazione e l’inadeguatezza del sistema sanitario rendono assolutamente proficuo il business ospedaliero. L’università si presenta da sola: è una delle più antiche d’Italia e del mondo (anno 1361) e staziona perennemente tra le prime dieci o cinque della penisola a seconda dei ranking internazionali, eccelle proprio negli insegnamenti di medicina e di scienze naturali.
Infine, si dice che i cinesi-pavesi vogliano importare oltre Muraglia anche “formatori calcistici”. Il Pavia è tradizionalmente scarso ma ha un ottimo settore giovanile guidato da un eccellente staff tecnico: chi trasferirà l’arte del pallone nel Celeste Impero, si guadagnerà la gratitudine imperitura di un intero popolo e del presidente Xi. E farà tanti bei soldini.

[Scritto per Lettera43]