Bon Jovi non canta più

In by Simone

Il caso Bon Jovi, ultimo cantante che si è visto cancellare le date cinesi per aver "solidarizzato" con il Dalai Lama, rimanda a molti precedenti illustri, che non riguardano solo la musica. Intanto, Pechino festeggia in pompa magna la "liberazione" del Tibet mentre fa sapere al mondo che il Panchen Lama sta bene e non gradisce essere disturbato. Le due date del tour cinese di Bon Jovi, Pechino e Shanghai, sono state cancellate dal ministero della Cultura. Secondo fonti anonime, le autorità avrebbero agito dopo avere scoperto che il rocker del New Jersey aveva inserito una foto del Dalai Lama in un video che faceva da sfondo a un suo concerto a Taiwan del 2010.
Il promoter del tour, AEG Live Asia, ha poi messo fine a ogni speranza rilasciando un comunicato ufficiale: “Annunciamo con rammarico che i concerti di Bon Jovi del 14 settembre a Shanghai e del 17 settembre a Pechino sono stati cancellati per ragioni imprevedibili”. Pare che gli organizzatori le abbiano provate tutte per fare ricredere i funzionari cinesi, ma la band ha già rimosso i due appuntamenti dal proprio sito ufficiale. Nessun commento, come di consueto, da parte delle autorità.

Sono molti gli artisti ad essere caduti in disgrazia presso le autorità di Pechino a causa del proprio appoggio al leader religioso tibetano, che fuggì nel 1959 e ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 1989.
Il 2 marzo 2008, la cantante islandese Bjork gridò “Tibet! Tibet!” alla fine della sua canzone Declare Independence durante un concerto a Shanghai e sollevò un vespaio di polemiche. Pochi mesi dopo, il ministero della Cultura cinese chiarì che i gruppi artistici che durante gli eventi dal vivo “minacciano l’unità nazionale” o “suscitano odio etnico” sarebbe stati banditi e, da allora, Bjork non si è più vista oltre Muraglia.
In seguito, anche gli Oasis furono costretti ad annullare un tour in Cina a causa della partecipazione di Noel Gallagher a un concerto Free Tibet a New York.
Nel 2011, le porte si chiusero per la rock band californiana Linkin Park che si era fatta fotografare con il Dalai Lama durante un evento pubblico a Los Angeles.
A luglio di quest’anno, è toccato ai Maroon 5, le cui date cinesi – che avrebbero dovuto svolgersi in questi giorni – sono state cancellate per un tweet in cui il tastierista del gruppo, Jesse Carmichael, augurava buon compleanno al vecchio leader tibetano.

Se ci si sposta al più ampio mondo dello spettacolo e del jet set, non possono mettere piede in Cina Richard Gere, da sempre impegnato nella causa dell’indipendenza del Tibet, e Sharon Stone, che nel 2008 ebbe la brillante idea di dichiarare al mondo che il devastante terremoto del Sichuan fosse dovuto al “pessimo karma” che affligge la Cina a causa delle sue politiche sull’altopiano. Brad Pitt, scomunicato latae sententiae dopo essere stato protagonista del film Sette anni in Tibet del 1997, è apparso a Shanghai a fine 2014 mantenendo un profilo bassissimo, come semplice “principe consorte” di Angelina Jolie in tour promozionale per un suo film.

In questi giorni ricorre per altro il 50esimo anniversario della creazione della Regione Autonoma del Tibet. Se infatti l’altopiano fu “liberato” dall’Esercito Popolare di Liberazione nel 1950, la regione amministrativa fu istituita solo nel 1965. L’evento è stato celebrato con una grande manifestazione di fronte al Potala di Lhasa, con tibetani in costume tradizionale, studenti che sventolavano bandiere cinesi e discorsi in cui, manco a dirlo, è stata attaccata “la cricca del Dalai Lama” e più in generale ogni “separatismo” che cerca di distruggere la Cina. Intanto, Pechino ha pubblicato un libro bianco sul Tibet in cui si elencano le conquiste della regione da quando si è insediato il potere cinese e si ricorda lo stato di arretratezza e diseguaglianza che imperava durante “il feudalesimo”, cioè quando era l’élite dei monaci lamaisti a governare l’altopiano.

Il 2015 è un anno di anniversari a cifra tonda, perché il Dalai Lama ha compiuto 80 anni e ricorrono anche due decenni dalla sparizione del Panchen Lama scelto da lui, che fu sostituito con uno voluto da Pechino. Pochi giorni fa, le autorità cinesi hanno fatto sapere che il fu (per poco) Panchen, seconda carica del lamaismo, sta bene, “vive una vita normale” e “non vuole essere disturbato”. Per la prima volta si è così appreso qualcosa sul destino di Gendun Choekyi Nyima, che nel 1995 fu rimpiazzato dai cinesi con Gyaltsen Norbu, oggi considerato invece un fake da molti tibetani. La Cina e il Dalai Lama si contendono il diritto di nominare il Panchen e in futuro, quando l’attuale Dalai morirà, lo stesso problema si presenterà quasi sicuramente anche per la massima carica del buddhismo tibetano.

[Scritto per Lettera43]