Atlanta, ultimo capitolo del virus antiasiatico degli Usa

In Cina, Cultura, Relazioni Internazionali by Redazione

Nel pomeriggio di martedì 16 marzo ha avuto luogo una serie di sparatorie di massa in diversi centri massaggi nella zona metropolitana di Atlanta, Georgia: le vittime sono state otto, tra cui sei donne di discendenza asiatica. Robert Aaron Long, un uomo bianco di 21 anni, ha prima aperto il fuoco nel centro massaggi ‘Youngs Asian Massage’ a 50 chilometri a nord di Atlanta, dove sono morte cinque persone. La seconda sparatoria è avvenuta poco più tardi nel quartiere di Buckhead, trovando altre tre vittime all’interno della ‘Gold Spa’. In un altro centro benessere dello stesso quartiere è stata trovata un’ulteriore vittima. L’attentatore è stato successivamente fermato e arrestato dopo un inseguimento.

I sanguinosi attacchi che hanno causato otto vittime, tra cui sei donne di discendenza asiatica, sono avvenuti in un contesto segnato da un diffuso e crescente sentimento di insicurezza tra i membri della comunità asiatica e delle isole del Pacifico. Al momento gli investigatori non hanno ancora confermato la matrice razziale degli attacchi, ma è impossibile non notare l’evidente aumento dei crimini d’odio anti-asiatici.

Il Stop AAPI Hate, un centro di segnalazione che tiene traccia degli attacchi contro gli asioamericani e gli isolani del Pacifico, nato in risposta all’allarmante escalation di xenofobia e fanatismo derivante dalla pandemia di COVID-19, ha affermato che le autorità stanno ancora indagando sul possibile movente. Ciò che è evidente è che la comunità asiatica ha paura e non si sente al sicuro. Sono stati circa 3.800 gli incidenti verificatisi dal 19 marzo 2020 al 28 febbraio 2021, secondo un report pubblicato il 16 marzo, 503 solo dall’inizio dell’anno.

Di seguito solo alcuni dei più recenti episodi avvenuti negli Stati Uniti:

  • A luglio 2020 una donna cinese di 89 anni è stata schiaffeggiata da due uomini che successivamente hanno dato fuoco ai suoi vestiti a Brooklyn, New York.
  • A febbraio 2021, un thailandese di 84 anni, Vichar Ratanapakdee, è morto in seguito al trauma subito in seguito ad un’aggressione avvenuta a San Francisco in cui è stato violentemente scaraventato a terra da un uomo. 
  • Il 3 marzo 2021 un uomo filippino di 61 anni è stato accoltellato al volto da un uomo mentre si trovava su uno dei vagoni della metropolitana di New York, per medicarlo i medici gli hanno dovuto cucire quasi 100 punti di sutura.

Oltre alle aggressioni fisiche e verbali, il report documenta episodi di vandalismo contro abitazioni private e attività commerciali, luoghi in cui si registra il più alto numero di episodi di violenza. È difficile determinare il numero esatto di tali crimini e casi di discriminazione, poiché nessuna organizzazione o agenzia governativa ha monitorato il problema a lungo termine e i parametri di segnalazione possono variare da stato a stato. E, inoltre, si ritiene che molti di questi crimini non vengano neppure denunciati. 

Le statistiche più recenti sui crimini d’odio a livello nazionale sono disponibili nella voce ‘2019 Hate Crime Statistics’ tratte dalla Uniform Crime Report dell’FBI. Per il 2020 ci sono invece i numeri relativi ad alcune grandi città degli Stati Uniti. Ebbene, emerge che a fronte di un calo generale del 7% degli hate crimes, quelli nei confronti della comunità asiatica sono cresciuti del 150%. 

Dall’inizio dell’epidemia, i casi di violenza sono cresciuti esponenzialmente – soprattutto ai danni di donne e anziani, visti come gruppi più vulnerabili – alimentati ed esacerbati da un certo tipo di propaganda politica e da una serie di slogan come ‘China Virus’ e ‘Kung Flu’, utilizzati in numerose occasioni anche dall’ex presidente Usa Donald Trump.

Joe Biden aveva già criticato prima degli avvenimenti di Atlanta la retorica sinofoba portata avanti da Trump, mentre la vicepresidente Kamala Harris, la prima donna e prima figura di discendenza asiatica a ricoprire la carica, ha espresso le condoglianze alle famiglie delle vittime e la sua vicinanza alla comunità.

La comunità asiatica d’America si dichiara in un punto di crisi: mercoledì sera circa 200 persone si sono riunite nel quartiere di Jackson Heights, nel Queens, che ospita numerosi cittadini di discendenza asiatica, per tenere una veglia in seguito agli attacchi di Atlanta e cercare di sensibilizzare sulla violenza di tipo anti-asiatica a New York e in tutto il paese.

Paura, rabbia, insicurezza ed esasperazione sono ormai sentimenti all’ordine del giorno per i membri della diaspora asiatica, che sembrano non essere più intenzionati a restare in silenzio. Sono state istituite diverse forme di sostegno per le famiglie delle vittime, tra cui raccolte fondi per le spese legali e mediche. Sono nate diverse associazioni di volontariato, i cui membri si sono messi al servizio della comunità asiatica come accompagnatori della fascia più vulnerabile: gli anziani. Insomma, i volontari e le volontarie fungono da chaperon dei tempi nostri, ‘scortano’ chi ha timore di andare a far la spesa o semplicemente passeggiare per il proprio quartiere. Nella chinatown di Oakland (California) è attiva l’associazione di volontari ‘Compassion in Oakland’, nata dallo spirito di iniziativa di Jacob Azevedo, un giovane cittadino americano di origini ispaniche. L’obiettivo è quello di promuovere l’empatia, la solidarietà per un ambiente più sicuro per tutti. In rete si è diffusa la notizia e centinaia di giovani si sono uniti alla sua causa e altri ancora hanno seguito il suo esempio in tutto il paese.

Ma non bisogna dimenticare che anche l’Italia è stata teatro di episodi di violenza ai danni di cittadini asiatici o italiani di origine asiatica, la maggior parte concentrati all’inizio del 2020. A febbraio 2020, una donna di 40 anni, cittadina di origine cinese era stata aggredita prima verbalmente e poi fisicamente da una coppia in pieno centro a Torino. Sempre a febbraio 2020 in provincia di Vicenza, un uomo di origine cinese era stato preso a bottigliate in un rifornimento di benzina, lo stesso mese in provincia di Cagliari un giovane ragazzo di origini filippine, mentre si trovava a bordo di un autobus per fare ritorno a casa, era stato prima insultato e poi ferocemente aggredito. 

Per contrastare questa ondata di violenza, era nata in rete il movimento #IoNonSonoUnVirus con l’obiettivo di esprimere vicinanza e solidarietà alla comunità sino-italiana. Secondo l’ultimo report del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la comunità cinese è al terzo posto per numero di presenze in Italia, dopo quella marocchina e albanese. 

Una delle complessità della diaspora asiatica in Italia e negli Usa – in particolar modo quella dell’Asia orientale, ancora di più quella cinese – è dovuta alla sua etichetta di ‘minoranza modello’, che molto spesso è stata utilizzata dalla politica a scopo propagandistico in antitesi con altre minoranze – soprattutto con quella afroamericana negli Usa, inasprendo ulteriormente le preesistenti tensioni. Anche in Italia, la comunità cinese è stata ritratta nel corso degli anni, anche da alcuni esponenti politici, come ‘immigrazione modello’. Non tanto per volontà di inclusione, ma semmai con intenti propagandistici e di esclusione. La strada da fare, da una parte all’altra dell’Atlantico, è ancora parecchia.

di Xixi Hong

*Generazione Z e italiana di seconda generazione, Xixi Hong è una laureanda in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa all’Università degli Studi di Torino. È un’appassionata di lingue: parla inglese, cinese, spagnolo e tedesco. Segue con occhio attento le dinamiche culturali, sociali e di attualità, cercando di formare al tempo stesso la propria penna.