Asia-Files: Chi c’è dietro all’attentato di New Delhi e cosa vogliono

In by Simone

L’attentato alla High Court di New Delhi è stato rivendicato dalla Harkat-ul-Jihad-al-Islami, una cellula terroristica pakistana molto attiva nel subcontinente indiano. Obiettivo: la liberazione di Afzal Guru, uno dei leader del separatismo kashmiro.
Un nuovo episodio di terrore ha scosso la capitale indiana la mattina del 6 settembre, quando l’esplosione di un ordigno nascosto in una valigetta ha provocato 12 morti e oltre 60 feriti davanti alla Corte Suprema di New Delhi.
A poche ore dalla strage, un messaggio che ha per mittente l’indirizzo email harkatuljihadi2011@gmail.com inviato da uno dei tanti cyber cafè di Kishtwar (Jammu e Kashmir) – i cui proprietari musulmani sono stati prontamente arrestati in quanto sospetti – ha rivendicato l’atto terroristico: “Ci assumiamo la responsabilità dell’esplosione alla High Court di Delhi. La nostra richiesta è che venga immediatamente revocata la sentenza capitale per Afzal Guru, in quanto potremmo prendere come bersaglio altre High Court principali e la Corte Suprema dell’India”. Firmato: Harkat-ul-Jihad-al-Islami (Movimento di Lotta Islamica).
Uno dei più attivi gruppi di fondamentalismo islamico nel subcontinente. 

IL GRUPPO HUJI – La storia del gruppo terroristico Harkat-ul-Jihad-al-Islami (conosciuto come HuJI) ha inizio nel contesto dell’invasione sovietica in Afghanistan, quando, intorno al 1980, venne fondato un nuovo gruppo mirato a contrastare l’avanzata comunista. Successivamente l’HuJI si vide principalmente impegnato nella questione del Jammue e Kashmir, affinché il territorio kashmiro venisse annesso alla Terra dei Puri.
La situazione si inasprì a seguito della tanto discussa distruzione della Babri Mosque di Ayodhya, episodio che sancì l’inevitabile proseguimento dell’odio intracomunitario fra hindu e musulmani. Nel 1992, la branca bengalese dell’Harkat (HuJI-B), capitanata da Fazlur Rahman, firmò una dichiarazione di Guerra Santa, da combattere a fianco di Osama Bin Laden.
Oggi il gruppo terroristico con sede pakistana ha ramificazioni in oltre 20 paesi del mondo; forte delle connessioni con Al Qaeda e degli accordi con i maggiori gruppi separatisti del nord-est indiano (come ULFA – United Liberation Front of Assam – e PULF – il People United Liberation Front dello stato di Manipur), l’Harkat è stato responsabile, direttamente o per complicità collaborativa, della maggior parte degli attentati avvenuti nell’ultimo decennio sul territorio del subcontinente indiano, come la distruzione dei due templi hindu di Varanasi nel 2006, le esplosioni sul Sanjhauta Express, 68 morti, e la distruzione della Mecca Mosque di Hyderabad nel 2007, fino al più recente attentato alla German Bakery di Pune (9 morti e 45 feriti), per citare solo alcuni dei più grandi successi organizzativi del terrorismo firmato HuJI.
Nel pedigree dell’organizzazione criminale Harkat si vantano anche casi di cospirazione ad alti livelli politici: il loro contributo nell’organizzazione del colpo di stato del ’95 che mirava a sovvertire il governo pakistano di Benazir Bhutto è ormai comprovato, così come la loro responsabilità nell’attentato alla vita dell’attuale primo ministro del Bangladesh Sheikh Hasina nel 2000. Nonostante ciò, il gruppo fondamentalista islamico HuJI non venne bandito legalmente dalla nazione bengalese fino al 2005, quando i suoi membri sfilarono pubblicamente mostrando cartelloni che portavano il seguente slogan: “Amra shobai hobo taliban, Bangla hobe Afghanistan” (“Noi tutti diventeremo talebani, il Bangladesh diventerà un Afghanistan”).
Gli ideali della linea di pensiero dell’Harkat derivano dalla scuola conservatrice di Islam riformato Deobandi, ma l’applicazione pratica dei principi di panislamismo e ristabilimento della pura legge coranica seguono la via dei taliban, sponsorizzando la violenza e la programmatica eliminazione di istituzioni e personalità progressiste.

CHI E’ AFZAL GURU – Nel testo dell’email di rivendicazione i responsabili della strage richiedono la revocazione immediata della pena di morte per il compagno Afzal Guru, condannato per aver collaborato con i gruppi separatisti kashmiri Lakshar-e-Toiba e Jaish-e-Mohammad nell’elaborazione dell’attentato al Parlamento indiano per il quale, il 13 dicembre 2001, più di dieci persone persero la vita. Gli attentatori sarebbero stati pilotati da Afzal Guru, che si trovava a Srinagar (Kashmir) nel momento dell’attentato, e avrebbero avuto contatti telefonici con Afzal poco prima dell’infiltrazione in Parlamento, come ha rivelato lo stesso detenuto in una più o meno spontanea confessione.
La condanna a morte fissata per il 20 ottobre 2006 è stata più volte rimandata per via delle insistenti richieste di grazia e commutazione della pena da parte di associazioni per i diritti umani kashmire, indiane e internazionali. Tali richieste si fondano sull’assunzione che la condanna di Afzal sia dovuta ad un processo iniquo e che abbia subito episodi di violazione dei diritti umani durante la sua detenzione. Fra le voci a favore della clemenza compaiono grandi nomi di scrittori ed attivisti indiani, quali Arundhati Roy e Praful Bidwai.

I MUSULMANI INDIANI – La diffidenza indiana nei confronti dei cittadini di fede islamica, già fomentata da un passato controverso nei rapporti fra le comunità hindu e musulmana, aumenta a dismisura a seguito dei recenti attentati che si succedono apparentemente senza tregua sul territorio di una grande democrazia in via di secolarizzazione.
Le principali ragioni di scontro fra le due comunità riguardano la tuttora irrisolta questione politica del Kashmir, regione a maggioranza musulmana incastonata fra la catena montuosa dell’Himalaya e le rivendicazioni dei due contendenti, separati e mai riconciliati dopo la Spartizione del 1947.
Tuttavia sono molte altre le potenziali ragioni di un malcontento sociale all’interno della grande popolazione musulmana in India (161 milioni, secondo l’ultimo censimento), terzo paese al mondo per numero di fedeli musulmani (dopo Indonesia e Pakistan).
Il credo islamico appartiene al 14% della popolazione indiana, da sempre una fetta demografica soggetta a malnutrizione e inferiori livelli di istruzione, tanto da meritarsi un gran numero di comunità contrassegnate come OBC (Other Backward Classes – “ altre classi arretrate”) e soggette alle facilitazioni assegnate a tribali e fuoricasta: categorie sociali che dopo l’indipendenza vennero riconosciute come storicamente discriminate e marginalizzate e per questo soggette ad un maggior livello di arretratezza, da colmare applicando il principio delle quote riservate. In molti stati indiani (ad esempio Andhra Pradesh, Kerala, Tamil Nadu) vi sono posti riservati per i musulmani, in quanto minoranza poco rappresentata, nell’accesso alle cariche pubbliche e amministrative.
Tali provvedimenti, se da una parte sono volti al rilanciare la posizione sociale dei musulmani indiani, tendono a legalizzare una sorta di discriminazione religiosa che non si fatica a riscontrare anche in altri ambiti della società: si parla infatti di problemi quali la “ghettizzazione” dei cittadini musulmani all’interno dei quartieri adiacenti alle moschee, di difficoltà nel reperire case in affitto mostrando un cognome musulmano, e addirittura di casi di doppia identità in cui i musulmani indiani inventano uno pseudonimo dagli echi hindu per non subire discriminazioni nella vita quotidiana e nel loro ambiente lavorativo.
 

[Nella foto: manifestazione per la liberazione di Afzal Guru in Kashmir. Credit: kashmirnewz.com]