Alessandra Brezzi racconta Shan Shili

In by Simone

Il viaggio in Italia di Shan Shili è un’occasione per mettere a confronto un’Italia appena uscita dal Risorgimento con una Cina che sta abbandonando il modello politico imperiale per avviare una stagione di generale rinnovamento. Tutto da un punto di osservazione atipico, quello femminile. Intervista alla curatrice Alessandra Brezzi**
Shan Shili, chi era costei? Per i cultori della storia politica cinese, era la moglie di Qian Xun, Ministro plenipotenziario e inviato straordinario dell’Impero Celeste nell’Italia giolittiana, nonché rampollo di un’illustre famiglia di letterati. È il 1908 quando Qian arriva in Europa, dopo aver attraversato una significativa porzione dell’Asia orientale, a partire dal ‘vicino’ Giappone, toccando la Corea fino in Russia. L’Italia aveva già attratto l’attenzione dei riformisti di fine epoca Qing, i quali vantavano una buona conoscenza della ‘recente’ storia risorgimentale italiana. Figlio di un’epoca che pareva presagire su di sé la pressione dell’onda anomala del cambiamento – e la fine  di un impero millenario –  proprio in Giappone Qian, pur da rappresentante imperiale, era entrato in contatto con le frange riformiste cinesi più avanzate, ovvero quelle che avevano intravisto la possibilità di una riforma dello stato in senso repubblicano, e perciò avevano pagato con l’esilio, dopo la feroce reprimenda per mano dell’Imperatrice Cixi, in seguito al fallimento del Wuxu Bianfa (la Riforma dei cento giorni, 1898).

Al seguito di Qian c’è sua moglie, Shan Shili (1856-1943). In una società confuciana e saldamente patriarcale, come lo era la Cina dei primi del Novecento, personaggi come Shan rompono lo specchio, il loro agire dissuona pur stando nel coro, e per questo fanno epoca. Donna e letterata, portatrice di una sensibilità propria e al tempo stesso garante di una misura tutta cinese, Shan – viaggiatrice in Italia – ha lasciato un diario del suo iter mirabilis, il Guiqian, attraverso il quale ha saputo imprimere un orizzonte nuovo nell’interesse cinese verso l’Occidente, l’Europa, l’Italia. E per di più lo ha fatto da una prospettiva propria, perseguendo un modo che solo a tratti può essere assimilato ad altre esperienze vicine. All’orizzonte la delicatissima fase di passaggio tra fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, quando la Cina si trova nel mezzo del lacerante contrasto tra modernità e tradizione. E proprio in una simile stretta dialettica, fioriscono i primi spazi di agibilità femminile. Non a caso, fino ad allora recluse e celate alla vita pubblica, ma mai completamente assenti dalla scena letteraria, le donne sono indicate da riformisti e intellettuali quali attrici per nulla secondarie di una stagione di generale rinnovamento.

Eppure, nel corso della sua non breve esistenza, Shan Shili non fu mai attratta dal protagonismo politico, né il suo può essere indicato come un nome di punta di un’embrionale questione femminile in Cina. L’arma, per così dire, con cui Shan squarciò il velo del suo tempo era squisitamente letteraria, legata a doppio filo al suo lungo viaggiare al seguito del marito, al suo scoprire culture alternative e diverse dalla propria. Sono il viaggio e la scrittura gli strumenti eletti da Shan per scavalcare il solco tra le opposizioni. Se, in quegli anni, per alcuni la modernità resta comunque inscritta sotto il segno dell’Occidente, d’altra parte la lente, il filtro, attraverso cui Shan osserva, è la profonda consapevolezza di sé come donna di lettere, come scrittrice cinese. Il suo interesse peculiare non è più solo lo straordinario sviluppo scientifico e tecnologico europeo (costante che aveva scandito le pagine scritte dagli alti dignitari che l’avevano preceduta), ma anche il panorama umano e artistico dei luoghi visitati, ‘esplorati’, nel corso del tour.

A Shan Shili ha dedicato la sua attenzione Alessandra Brezzi**, docente di lingua e letteratura cinese alla Sapienza e direttrice esecutiva dell’Istituto Confucio di Roma, la quale ha realizzato uno studio del Guiqian, pubblicato con il titolo Note per un dono segreto. Il viaggio in Italia di Shan Shili (Editrice Orientalia).

Professoressa Brezzi, quali sono in sintesi le caratteristiche peculiari della sensibilità di Shan Shili? Perché è stato importante riscoprirne il diario di viaggio?

La sensibilità di Shan Shili è ben diversa da quella dei diplomatici di fine epoca Qing, i quali si rivolgono verso Occidente alla scoperta del suo ‘segreto’ scientifico e tecnologico. La modernità di allora interessa loro limitatamente alle conoscenze tecniche che avrebbero potuto apprendere durante le spedizioni, perseguendo un disegno di pubblica utilità, secondo la prospettiva di introdurre in patria il sapere europeo pur restando fermamente cinesi: «Zhongxue wei ti, xixue wei yong», "sapere cinese come essenza, sapere occidentale come strumento". Shan Shili si pone invece al discrimine tra questo tipo di attenzione e la cura nel comporre, come dire, un bagaglio diverso, nel dare spazio a un’attenzione rivolta agli aspetti culturali, storici, artistici, dei luoghi visitati. Si badi che questo è oltremodo ‘nuovo’, non solo perché Shan è una donna, ma anche per la sua formazione rigidamente cinese. La sua curiosità, oltre a rappresentare una connotazione della sua spiccata sensibilità artistica, è anche il segno di una percezione mutata di sé e della propria identità. Non si dimentichi mai il significato di “Zhong guo”, Cina, ovvero “Terra del Centro”. Accettare l’esistenza di altre culture giustapposte alla propria, è un passaggio non secondario, tutt’altro.  

Al contempo qual è la traccia che un simile passaggio riesce a incidere nella tradizione letteraria cinese?

Non a caso i viaggiatori che succederanno a Shan Shili, esprimeranno in linea di massima un atteggiamento diverso rispetto alla tradizione, non solo appunto per il ‘bagaglio’ con cui viaggeranno, ma per una disponibilità nuova. Proprio in questo senso bisogna ricordare come già certa diaristica cinese di fine Ottocento avesse reso meno ‘esotica’ la lontana Europa. Un processo di ‘avvicinamento’ che ebbe non poche ripercussioni anche sul piano della produzione letteraria, dove troviamo romanzi per la prima volta con ambientazioni europee o più in generali esterne al territorio cinese, così come la comparsa delle capitali del vecchio continente nella narrativa di finzione è una conseguenza del medesimo processo. Insomma, la letteratura di viaggio tende a smarrire la funzione didattico-informativa che l’aveva contraddistinta, e assume un profilo in cui l’elemento soggettivo predomina. E questa centralità, la soggettività del narratore si affermerà, in Cina, proprio in quegli anni.

Da dove attingeva Shan Shili le nozioni minime sul contesto europeo e italiano?

Shan Shili non conosce le lingue parlate in Europa, però ha una buona padronanza del giapponese, e questo le è utile, in qualche modo, per accedere a una biblioteca dedicata all’Occidente molto più ampia di quella che avrebbe potuto trovare in lingua cinese.

Quali sono le novità stilistiche e di contenuto custodite dal Guiqian, e quale portato esprimono?

La peculiarità del Guiqian è la continua ibridazione dei generi, i quali si fondono e si alternano nel corso dei capitoli. L’opera di Shan Shili è sì il racconto e la descrizione di un percorso, di un itinerario artistico che la viaggiatrice compie, ma è anche il tentativo di dipanare una sorta di diacronia, in cui l’autrice tenta di ricostruire in termini storici l’incontro, il dialogo, tra Occidente e Cina. A proposito di questo, la storiografia, all’interno del canone culturale cinese, era il genere più autorevole, quasi il genere letterario per eccellenza, praticato dai funzionari-letterati, i mandarini, e precluso alle penne femminili, che non avevano accesso alla carriera amministativa/politica. La narrativa tradizionale di per sé ha sempre dovuto emulare la storiografia per godere del titolo di genere letterario. Il fatto che Shan Shili abbia scelto per taluni capitoli del suo racconto/diario di viaggio un genere sino ad allora recluso alle donne, è un’operazione assolutamente originale, curiosa, ma che è anche una traccia evidente del segno dei tempi. La produzione letteraria in generale, e quella femminile in particolare, stavano mutando. Bisogna allora interrogarsi su quale ne sia stato l’esito. Molto semplice: il ritratto dell’Europa – e dell’Italia in una buona misura – non ha solo lo scopo di mettere in risalto la distanza scientifico-tecnologica. L’Occidente si riempie di meraviglie di altra natura, di cattedrali e orizzonti urbani irriducibili al paesaggio cinese. Insomma, l’Europa viene ri-scoperta per la sua cultura, e Shan si cura di spiegare al lettore cinese quale fosse l’origine, la fonte di quello che andava scoprendo.  

Si parla nel corso del volume di una ‘morale femminile’. Potrebbe spiegare in breve a cosa si riferisce? Perché un simile rilievo ha assunto importanza nel corso della sua trattazione?

La ‘morale femminile‘ è la misura con la quale Shan soppesa, e traduce, la novità. In Italia rimane colpita, disorientata, dalle statue nude. Ma anche certi rituali prescritti dalla religione cattolica le provocano un vero e proprio shock culturale, come per esempio il fatto che durante la confessione una donna si inginocchi davanti a un uomo, non della sua cerchia familiare, resti sola con lui, e gli riferisca fatti personali e privati. In tal senso, non mancano nelle pagine di Shan commenti alla morale femminile europea, e alle piccole e grandi immoralità alle quali le pare di assistere, come per esempio la stretta di mano tra uomini e donne. Ma a parte la solida formazione confuciana, la stessa che la fa vibrare di sdegno per la vicenda di Beatrice Cenci, figlia che addirittura trama per l’uccisione del padre, Shan Shili incarna comunque una novità per il suo tempo. È pur sempre una moglie cinese che accompagna il marito in viaggio, e che tiene desta una curiosità peculiare per ciò che incontra lungo il suo cammino, giustapponendo sempre accuratezza delle informazioni e giudizio personale.

A suo avviso, quale sarebbe l’esito di un’eventuale comparazione tra i modi di raccontare l’Asia Orientale – e la Cina, in particolare – messi in campo dagli scrittori italiani e quelli cui è ricorsa Shan Shili nel suo testo?

La questione, benché di difficile soluzione per l’irriducibilità dei due approcci, è comunque affascinante. I viaggiatori occidentali hanno espresso quasi sempre un sforzo enorme per penetrare il ‘mistero’ cinese, inteso come l’altro polo dell’esperienza umana. Tutte le più grandi civiltà sono morte, oppure sono diventate prossime, o addirittura sono state assorbite, mentre la Cina – forse ancora oggi – permane nella sua essenza di alterità completa, di originalità radicata, come ci dice a chiare lettere Anne Cheng nel suo bel libro Storia del pensiero cinese. Shan Shili, invece, ci dimostra come dalla parte cinese il percorso sia stato diverso. A un certo punto della sua storia, dopo un isolamento di millenni, la Cina comprende che non potrà mai diventare completamente consapevole di sé senza conoscere l’altro. La scoperta dell’Occidente rivela alla Cina i propri limiti, i propri contorni: da Centro del Mondo a regione del mondo. Ripensare la propria identità culturale e sociale attraverso il confronto, magari per uscirne rafforzati ancor di più: questa forse la più macroscopica delle differenze. La Cina per noi è sempre stata una selva di vicende mirabili, un universo più letterario che materiale; l’Occidente per la Cina è stato, invece, un metro di misura, un modello verso il quale rapportare se stessa, per scoprirsi, rafforzarsi, e chissà, ritornare al centro del mondo.

*Danilo Soscia è nato a Formia nel 1979. Studioso di letteratura di viaggio e di cultura cinese, vive e lavora a Pisa. Ha esordito nella narrativa nel 2008 con Condòmino (Manni). Ha curato il volume In Cina. Il Grand Tour degli italiani verso il Centro del Mondo 1904-1999 (Ets) e In Giappone. Scrittori italiani alla scoperta del Sol Levante (Ets), di prossima uscita.

**Alessandra Brezzi è professore associato di Lingua e letteratura cinese alla Sapienza Università di Roma. Negli ultimi anni si è dedicata alla ricezione della letteratura italiana in Cina nel Novecento. Ha curato i volumi La letteratura italiana in Cina (2008), Cara Cina… gli scrittori raccontano (2006), Al Confucio d’occidente. Poesie in onore di P. Giuli Aleni (2005).