UPDATE – È finita l’odissea di Chen

In by Simone

Chen è arrivato a New York, dove ha ottenuto un posto come ricercatore universitario. In conferenza stampa ha dichiarato la sua gratitudine sia a Washington che a Pechino, probabilmente per proteggere i famigliari rimasti in Cina. Sulla vicenda i media cinesi tagliano corto: una bolla di sapone. (UPDATED)25 maggio – Update

Giovedì 24 maggio Chen Guangcheng è stato ospite del talk show della Cnn Anderson Cooper 360°. Intervistato dal giornalista americano, Chen ha manifestato i propri timori sulla sorte dei famigliari rimasti in Cina, in particolare per il fratello Chen Guangfu (55 anni) ed il nipote Chen Kegui (32 anni).

La scorsa settimana Chen Guangfu ha rilasciato un’intervista ad iSunAffairs.com – ripresa dal Guardian il 18 maggio – in cui ha svelato i dettagli di tre giorni di prigionia e pestaggi nelle mani dei funzionari cinesi locali. Ammanettato ad una sedia, è stato schiaffeggiato e malmenato dalla polizia nel tentativo di estorcere informazioni circa la fuga del fratello.

A fine aprile le autorità locali, racconta il Guardian, irrompevano nella casa di Chen Guangfu e assalivano il figlio Chen Kegui. Kegui pare abbia reagito sfregiando alcune delle guardie che lo stavano malmenando ed ora si trova in carcere accusato di tentato omicidio. Chen Guangcheng sostiene che l’azione del nipote sia da considerarsi atto di "difesa personale".

Una squadra di avvocati indipendenti si era offerta di rappresentare Chen Kegui in tribunale, ma le autorità hanno respinto la richiesta di occuparsi del caso, intimando ai legali di astenersi anche dal parlare con la stampa rispetto alla vicenda.

Nel tentativo di perorare la causa del figlio e fornirgli assistenza legale, Chen Guangfu, come il fratello, è riuscito ad eludere la sorveglianza delle autorità cinesi ed è scappato dallo Shandong per raggiungere Pechino, racconta il New York Times riportando la testimonianza di un legale col quale Chen Guangfu si è incontrato ieri a Pechino.

21 maggio – La storia

Secondo quanto riporta il South China Morning Post, il 20 maggio Chen Guangcheng è arrivato con moglie e figlie nella Grande mela, dove è stato accolto dall’amministrazione americana e dall’Università di New York, che gli ha offerto un posto come ricercatore.

Il volo di tredici ore che separa l’aeroporto di Pechino da quello di Newark, nel New Jersey, sembrano aver messo fine alla sua saga personale e politica.

Chen Guangcheng è il noto avvocato e attivista cieco che per anni ha denunciato gli abusi subiti da molte donne cinesi incinta a causa della politica del figlio unico.

Per aver sfidato le autorità era stato costretto agli arresti domiciliari nel piccolo villaggio di Dongshigu, nella regione dello Shandong, dove sembra avesse subito violenze e torture per mano di funzionari di Partito.

Questa situazione è andata avanti per 18 mesi, un anno e mezzo, finché l’uomo non è riuscito a fuggire da casa e ha trovato rifugio presso l’ambasciata americana a Pechino. Il caso si è così trasformato in un grattacapo diplomatico sia per la Cina sia per gli Stati Uniti.

Secondo quanto racconta il South China Morning Post, nella conferenza stampa che è seguita al suo arrivo negli States, Chen ha ringraziato Washington dicendosi “grato alle autorità americane per l’assistenza ricevuta dall’ambasciata americana”.

Il South China Morning Post riporta che Chen ha avuto parole dolci anche per il governo centrale cinese.“Sono molto felice che il governo cinese sia rimasto moderato e calmo nel trattare il mio caso” ha detto, aggiungendo di essere grato “per aver ricevuto dal governo centrale la promessa di proteggere i miei diritti di cittadino sul lungo periodo.

Sempre secondo il quotidiano di Hong Kong Chen sarebbe disposto a tornare in Cina. Ai giornalisti avrebbe solo letto una frase preparata per l’occasione: “uguaglianza e giustizia non conoscono confini”.

Secondo il Guardian, dietro a tanta gratitudine si nasconderebbe la preoccupazione per i suoi famigliari ancora in patria e quindi esposti alle angherie del Partito.

Il quotidiano britannico scrive che Chen “è stato anche attento a ringraziare il governo cinese, sapendo che il benessere dei suoi parenti potrebbe essere influenzato dai cambiamenti della leadership nel Partito comunista. Ha invece criticato le autorità regionali dello Shandong per anni di persecuzione, inclusi diciotto mesi di arresti domiciliari, pestaggi e molestie ai suoi famigliari”.

In passato, infatti, gli attacchi alle persone vicine all’attivista non sono mancati. Sempre secondo quanto riportato dal Guardian, il fratello di Chen “venne incatenato ad una sedia e picchiato per tre giorni. Il suo avvocato e amico Jiang Tianyong fu colpito così forte dai funzionari della sicurezza dello Stato da perdere l’udito.

Il Global Times –  la voce inglese dell’ala più nazionalista del Partito – ha invece ridotto la questione a un comune conflitto locale esagerato dai media occidentali.

Il quotidiano scrive in un articolo che “il dramma su Chen è come una bolla colorata. Una volta esplosa, non ne rimane nulla.

Se viene menzionato per provare che il sistema giudiziario della Cina è imperfetto, si tratta di uno sforzo superfluo. Se viene usato per provare che il sistema giudiziario sta peggiorando, è un tentativo inutile. La Cina ha un sistema legale incompleto ma in fase di miglioramento. Questo è un fatto che nessuno può negare.

[Scritto per Lettera 43; Foto Credits: abc.net.au]

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Michele Penna è nato il 27 novembre 1987. Nel 2009 si laurea in Scienze della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali con una tesi sulle riforme economiche nella Cina degli anni ‘80-’90. L’anno seguente si trasferisce a Pechino dove studia lingua cinese e frequenta un master in relazioni internazionali presso l’Università di Pechino. Collabora con Il Caffè Geopolitico, per il quale scrive di politica asiatica.