Chongqing. La Gotham City d’oriente

In Cina, Economia, Politica e Società by Cecilia Attanasio Ghezzi

Oltre 32 milioni di abitanti, presumibilmente l’area urbana più popolosa dell’intero pianeta. All’intersezione del fiume più lungo dell’Asia, il Fiume azzurro, e di un suo affluente, il Jialing, la città si estende su un terreno così caratterizzato da dislivelli che lo storico americano John King Fairbank la definì, già nel 1942, “il più sfortunato habitat umano”. È Chongqing, la Gotham City che fa da teatro alla complicata vicenda dell’epurazione di Bo Xilai.

Umidità, nebbia e smog. Quando arriviamo intravediamo appena una foresta di gru e di orribili grattacieli. Eppure doveva essere una città bellissima, soprattutto la zona centrale. Intricati vicoli, saliscendi, scorciatoie nascoste a gradini diseguali. Ma su quel che rimane della vecchia città è stato scritto il carattere chai: abbattere.

Cibo ovunque e un brulichio di umanità che a Pechino non esiste quasi più: lucida scarpe, venditori ambulanti, ramazza foglie, operai, raccoglitori e raccoglitrici di carta, vetro, plastica.

E soprattutto di quel che resta degli isolati distrutti: ferro, mattoni integri, sanitari. E ovunque i bangbang, l’esercito dei portatori: un corto bastone di bambù sulla spalla con due enormi pesi legati alle estremità.

Ad ogni incrocio un ombrellone della polizia, e giovani ufficiali in divisa dotati di un portatile che assorbe completamente la loro attenzione.

Una densità incredibile di palazzoni orribili e grattacieli nuovi fiammanti. Si dice che quando ti affacci alla finestra a Chongqing, non vedi che altre finestre. Coltre di smog permettendo, verrebbe da aggiungere.

Nel 1997, per cercare di gestire la massa di umanità che si sarebbe spostata in città a seguito delle evacuazioni forzate per permettere la costruzione della diga delle Tre Gole, a Chongqing è stato assegnato lo status di municipalità, ovvero una città direttamente controllata dal Governo centrale.

È il sogno di ogni metropoli cinese: miliardi di yuan che piovono per lo sviluppo urbanistico. Da allora la pianta della città viene ristampata ogni tre mesi e nel 2010 il governo ha annunciato che un suo distretto diventerà una Zona economica speciale (come Pudong a Shanghai) con tasse, investimenti, politiche commerciali e territoriali specifiche.

Il modello Chongqing

È questa la città che il segretario Bo Xilai ha lasciato, e che nel 2011 vantava un tasso di crescita del 16,4 per cento e un disavanzo di oltre 10 miliardi di euro.

Era il “modello Chongqing”, quello che proclamava di voler dividere la torta fra tutti, quello degli alloggi popolari e delle politiche sociali, quello che spediva gli sms con le citazioni del libretto rosso e mandava dagli altoparlanti delle piazze le canzonette del periodo maoista.

Il modello Chongqing era anche quello che combatte la mafia, da hei, che poteva vantare oltre 9mila indagati e 4781 arresti in dieci mesi.

Una vicenda che aveva appassionato l’intera Cina, ma che – questo all’epoca non si sapeva – troppo spesso aveva superato i limiti della legalità: confessioni estorte a mezzo tortura, avvocati difensori minacciati e, si vocifera, avversari politici di Bo Xilai gettati nel mucchio dei colpevoli.

Il modello Chongqing era quello a cui ben sei dei nove membri del Comitato permanente del Politburo – il gotha del Partito – erano venuti a rendere omaggio e quello che aveva lanciato Bo Xilai come astro nascente della politica cinese, tanto che si credeva fosse destinato a sedersi nel Comitato permanente il prossimo autunno.

Chongqing Drama

All’inizio di febbraio però, si è trasformato improvvisamente nel Chongqing Drama: il super poliziotto Wang Lijun che si rifugia nel consolato americano di Chengdu, il premier Wen Jiabao che parla in conferenza stampa del pericolo di una nuova Rivoluzione culturale, la richiesta della Gran Bretagna di riaprire il caso sulla misteriosa morte di Neil Heywood – un cittadino britannico, consulente di un’azienda fondata da ex agenti dei servizi segreti inglesi, che da vent’anni viveva in Cina e che frequentava la famiglia di Bo – le voci di un tentativo di colpo di stato.

E ancora la notizia bomba che molti aspettavano da oltre un mese. Martedì scorso il notiziario della televisione di stato Cctv riporta che Bo Xilai è stato espulso dal Comitato centrale del Politburo.

E l’agenzia di stampa governativa Xinhua lancia la notizia che la moglie, Gu Kailai, è ufficialmente indagata per la morte di Heywood.

Politica in prima pagina, fatto assai strano per la Cina comunista. Ma nell’attesa del prossimo ottobre, quando avverrà la transizione alla quinta generazione di leader, vale tutto.

Era dai tempi dell’“incidente di Tian’anmen”, che la lotta politica in Cina non usciva così prepotentemente dalle mura di Zhongnanhai.

La retorica rossa e i buchi di bilancio

E se gran parte degli accademici, dei giuristi e di altri intellettuali sono contenti perché vedono punito il promotore di una giustizia sommaria che aveva riportato lo stato del diritto cinese indietro di trent’anni, i cuori del popolo, riscaldati dalla retorica rossa, fanno fatica a spegnersi.

“Non ci sarà più nessuno che si prenderà cura della città come lui” ci dice una signora che ha quasi sessantanni indicando gli alberi di ginkgo che costeggiano i viali “gli altri sono tutti uguali”.

I ginkgo (una spesa di 10 miliardi di yuan, circa un miliardo di euro), così come le piattaforme attrezzate per gli agenti (ognuna delle quali costa un centinaio di migliaia di euro), sono segni distintivi dell’era Bo Xilai.

“I signori della mafia stanno festeggiando assieme a voi occidentali” si infervora un tassista di 41 anni. E non sa che, se il disavanzo fiscale del 2011 supera i cento miliardi di yuan, è colpa anche delle 70mila nuove uniformi per la Polizia che la municipalità di Chongqing ha acquistato a più di 400 euro l’una nella città di Dalian (per inciso la città di Bo, di sua moglie, del super poliziotto Wang Lijun e della moglie di Heywood, la “spia” inglese).

“La senti? È musica pop, di nessun interesse” ci commenta schifata una signora, che siede con l’amica ai giardinetti di quartiere. “Da quando non ci fanno più cantare, io non ballo più”.

Non sono molto profonde né troppo diverse l’una dall’altra le opinioni che raccogliamo per strada. Soprattutto quelle delle persone di una certa età, soprattutto nel tardo pomeriggio quando ci si incontra per giocare a mahjong, per mangiare uno spuntino in strada o per partecipare a quei balli di gruppo così caratteristici di piazze e spiazzi della Cina moderna. E tutti rimpiangono le canzoni rivoluzionarie che Bo gli faceva cantare.

Il perché ce lo spiega un trentacinquenne che lavora in un’azienda cinese che si occupa di shopping online. “Cantare le canzoni rosse era obbligatorio, le idee di Bo Xilai andavano concretizzate. Ogni danwei [le unità di lavoro su cui è organizzato il settore pubblico in Cina] doveva inserire quest’attività nell’orario di lavoro. Ci pensi che pacchia per i lavoratori? Mezz’ora di pausa retribuita. Magari l’avesse fatto anche la nostra azienda!”.

È stato impossibile verificare se fosse veramente un obbligo per i lavoratori pubblici quella mezz’ora di canti, ma da più parti abbiamo trovato riscontro sul fatto che le danwei organizzassero questo tipo di attività in orario lavorativo e che fossero disposte a pagare per assicurare la massima partecipazione da parte dei dipendenti.

La municipalità di Chongqing aveva stanziato dei fondi proprio per questi momenti ricreativi nostalgici. E, neanche a dirlo, era un finanziamento a fondo perduto.

Tutto ciò che ha caratterizzato la politica populista di Bo Xilai, ha contribuito ad assottigliare il budget della municipalità. L’esempio più esplicativo è la decisione di non permettere al canale satellitare di Chongqing di trasmettere messaggi pubblicitari: le entrate fiscali della città avrebbero coperto il 50 per cento delle spese della stazione televisiva.

E il 15 marzo, solo poche ore dopo la sostituzione di Bo Xilai come segretario di partito della municipalità, la televisione ha trasmesso un annuncio pubblicitario. Il primo in due anni.

Ed proprio sulle spese che l’amministrazione Hu Jintao-Wen Jiabao sta cercando di colpire definitivamente Bo.

Secondo quanto riferito al Wall Street Journal da un funzionario dell’Ufficio finanza di Chongqing già il 21 marzo – solo una settimana dopo la sostituzione di Bo – la principale agenzia di pianificazione economica della città e il suo ufficio finanziario hanno emanato congiuntamente la “comunicazione urgente” di “ripulire” i progetti di investimento del governo nella città e il Consiglio di Stato ha dichiarato di aver ordinato separatamente ai ministeri e alle amministrazioni locali di rivelare ulteriori dettagli sulla spesa pubblica e sulla costruzione di case economicamente accessibili come parte di uno sforzo per frenare la corruzione.

L’importanza politica di Bo Xilai

Ma Bo Xilai non è solo retorica rossa, buchi di bilancio e il pericolo di una Rivoluzione culturale di ritorno. Non ci sarebbe stato tanto accanimento politico se si fosse trattato solo di questo.

Il punto è che il Partito comunista cinese è in un momento estremamente complicato.

A pochi mesi dal cambiamento di leadership, evento che di regola cade ogni dieci anni, è al minimo storico della sua popolarità. Ed è inoltre diviso al suo interno tra le pressioni della sempre crescente classe media e dei grandi capitani di impresa che vorrebbero una Cina sempre più inserita nelle dinamiche finanziarie internazionali e lo scontento sempre maggiore di milioni di lavoratori e contadini che vedono allargarsi sempre più il gap tra ricchi e poveri.

Chongqing è “in piccolo” la summa delle contraddizioni del paese. Nella sua inimmaginabile crescita urbanistica ha inglobato 23 milioni di persone delle aree rurali, la maggior parte delle quali ora lavora in città.

Da quando nel 2007 è divenuto segretario di Partito della municipalità, Bo Xilai ha fatto una scelta di campo precisa portando avanti politiche che – almeno sulla carta – andavano incontro alle classi più svantaggiate (e sicuramente più numerose): sanità, case popolari, pensioni e servizi pubblici.

La punta di diamante di quello che fino al mese scorso è stato il “modello Chongqing” era il progetto di 800mila unità abitative da affittare a prezzi calmierati (il 40 per cento più bassi dei prezzi di mercato) alle fasce di popolazioni svantaggiate con un reddito inferiore ai tremila rmb al mese, poco più di trecento euro.

Gli appartamenti non sarebbero potuti essere immessi sul mercato ma si sarebbero potuti vendere dopo cinque anni agli affittuari a prezzi bloccati. Purtroppo ad oggi non è chiaro quanti di questi alloggi siano stati già costruiti.

Si stava anche lavorando a una riforma degli hukou – il sistema che vincola la popolazione cinese al proprio luogo d’origine distinguendo i diritti destinati alla cittadinanza rurale da quelli destinati a quella urbana – che avrebbe permesso di scambiare i diritti sulla terra degli hukou rurali in cambio del welfare garantito dagli hukou urbani.

Queste politiche hanno di fatto incoraggiato chi viveva in campagna a trasferirsi in città, e sono 10 milioni i cittadini che ne hanno già beneficiato. È la prima città in Cina ad attuare questo tipo di riforma.

Insomma, a prescindere dai metodi vetero maoisti e dagli indubbi vantaggi personali che si procurava con metodi discutibili (quando non illegali), Bo Xilai ha avuto il merito di riportare contadini e lavoratori poveri nell’agenda politica.

Il sociologo Sun Liping ha pubblicato sul Jingji Guancha un importante editoriale che riassume perfettamente la situazione. Le scelte compiute da Bo, scrive, “non sono un suo capriccio, ma sono nate con l’obiettivo di rispondere a richieste reali della società”.

E aggiunge di avere una “grande preoccupazione. Ovvero che, negando il modello Chongqing, si finisca con l’ignorare i problemi e i bisogni della popolazione che questo modello aveva preso in carico”.

di Cecilia Attanasio Ghezzi

[Scritto per Linkiesta]