La «nuova normalità» dell’India demonetizzata

In by Simone

A New Delhi continuano code di decine e decine di persone ai bancomat e fuori dalle banche, nel tentativo di riprendere possesso dei propri contanti forzatamente depositati in seguito alla demonetizzazione. Ma le nuove banconote, in città e soprattutto nelle campagne, pare non siano ancora sufficienti a soddisfare il fabbisogno collettivo di una società che, dati alla mano, si sta rifiutando di passare a un’economia «cashless», nonostante le nenie governative. Una situazione che, stima la stampa indiana, andrà ancora avanti immutata per mesi.Più passano i giorni, più appare chiara la vera strategia dietro alla demonetizzazione imposta dal governo Modi lo scorso 8 novembre. Quella che era stata presentata come una misura ad hoc per combattere l’evasione fiscale e la diffusione di banconote false nel paese si sta rivelando palesemente una forzatura dell’esecutivo per spingere la popolazione verso un’economia «cashless», fatta di transazioni telematiche, carte di debito e di credito, app per il pagamento istantaneo. Transazioni per definizione tracciabili e, per il fisco indiano, automaticamente rendicontabili nella detrazione delle imposte.

Come avevamo già spiegato qualche tempo fa, ritirare l’86 per cento delle banconote in circolazione e, contestualmente, chiudere i rubinetti dei contanti avrebbe dovuto spingere tutti gli indiani dalla classe media in su – secondo le stime, il venti per cento della popolazione indiana – a preferire metodi di pagamento non in contanti, imprimendo una spinta numericamente composta ma economicamente imponente verso la trasformazione di un paese al 90 per cento dipendente dai contanti a nazione moderna, «cashless».

Un obiettivo assolutamente ambizioso, considerando le abitudini economiche degli indiani. Secondo i dati rilasciati dalla Reserve Bank of India e ripresi, tra gli altri, da Indian Express, fino al 31 ottobre del 2016 (cioè una settimana prima della demonetizzazione) in India erano attive 940 milioni di carte di debito. Anche assumendo che siano equamente distribuite, una a testa, per ogni cittadino indiano (sorvolando, per licenza statistica farlocca, su tutti i minorenni e su tutti coloro che non hanno accesso al sistema bancario), rimarrebbero fuori dal conto qualcosa come 300 milioni di persone. Realisticamente, tenendo conto dei casi di cui sopra e dell’altissima probabilità di più carte intestate a una sola persona, la distribuzione di carte di debito pro capite nella popolazione totale indiana rimane assolutamente minoritaria.

Di queste 940 milioni di carte di debito, solo la metà è «usata attivamente», e di tutte le operazioni permesse e registrate dalla banca centrale indiana nel mese di ottobre, oltre il 90 per cento è stato «prelevare dal bancomat». Cioè gli indiani usano le carte di debito principalmente per procurarsi contante da utilizzare, negazione implicita del senso di un’economia «cashless».

Diverso il discorso per le carte di credito, che in India sono ancora più rare (poco più di 80 milioni, dato Rbi di fine ottobre) ma che vengono utilizzate prevalentemente per pagamenti veramente «cashless».

Ad ogni modo, è chiaro che gli indiani, che al 90 per cento per pagare beni e servizi usano i contanti, stiano sopportando file di ore e una contrazione importante dei propri consumi in attesa che «si torni alla normalità». Un concetto che però non sembra condiviso tra popolazione e governo.

Come spiega molto bene G. Sampath in un articolo pubblicato sul The Hindu, se la «normalità» per la popolazione indiana significa tornare a una condizione in cui si possa prelevare dai bancomat e dagli sportelli bancari senza limiti (al momento, rispettivamente, 2500 rupie al giorno ai bancomat, 25mila rupie a settimana dagli sportelli), l’obiettivo del governo sembra quello di non incentivare un ritorno alla «normalità» pre demonetizzazione, che di fatto vanificherebbe gran parte degli sforzi in favore della «cashless economy». Prova è il fatto che il governo sapeva benissimo di non essere in grado, materialmente, di stampare e distribuire tanti contanti quanti quelli depositati forzatamente nelle banche da qui al 31 dicembre. E se per tutti questo è un problema, non lo è per l’esecutivo di Modi, che vede al contrario la difficoltà di accesso ai contanti come un ulteriore incentivo forzato per smetterla di maneggiare banconote e passare alle carte di debito. Un’opzione, chiaramente, che interessa solo una minima percentuale della popolazione indiana e taglia fuori le centinaia di milioni di «lavoratori alla giornata» pagati a cottimo in contanti: gli stessi che, da settimane, fanno ore o più spesso giorni di coda nelle – poche – banche dell’India rurale per cercare di cambiare o prelevare i propri soldi.

Sampath sostiene che l’economia cashless sarà la «nuova normalità» indiana e che, volenti o nolenti, ci si dovrà adeguare. Anche perché, considerando la capacità della zecca indiana di stampare e distribuire nuove banconote alle banche, si stima che un riciclo completo di tutto il contante «demonetizzato» potrà essere ultimato non prima del mese di luglio del 2017.

Modi, l’8 novembre, aveva detto che «tutto sarebbe tornato alla normalità» entro 50 giorni.

[Scritto per Eastonline]