Doris & Hong – Un’amicizia da documentare

In by Simone

Doris è una settantenne nata in Eritrea che vive a Roma. Hong una giovane cinese che vuole iscriversi all’Accademia di belle arti. Finiranno per vivere insieme un anno e mezzo, e la loro straordinaria amicizia sarà documentata da Leonardo Cinieri Lombroso. Il regista, che ben conosce l’Asia, sceglierà il crowdfunding per portarle in Cina. China Files intervista il documentarista e le protagoniste della storia. Solo oggi, per 24 ore, l’intero documentario è disponibile in streaming.
Doris & Hong è la storia di due donne, due culture, due generazioni a confronto. Hong, 23 anni, è una ragazza di Dalian appassionata d’arte, figlia del boom economico cinese. Doris una signora settantenne nata in Eritrea sotto il fascismo, brillante, vorace esploratrice di culture.Le loro strade si intrecciano per caso nel momento in cui la giovane decide di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Roma. Hong cercava casa; Doris, vivendo sola, desiderava una compagnia. Quella che doveva essere la convivenza di pochi mesi si trasforma in una profonda amicizia. Trascorrono quasi due anni sotto lo stesso tetto, insegnando l’un l’altra a colmare le differenze che separano due culture millenarie. Alla fine Doris andrà a Dalian, conoscerà la famiglia di Hong e imparerà a comunicare con il popolo cinese, entrando in sintonia con un’umanità che non ha confini geografici, ma è universale.

La loro storia ha attratto la cinepresa di Leonardo Cinieri Lombroso, regista indipendente romano approdato in Asia nel 2010 con il documentario Through Korean Cinema. Per completare la sua ultima fatica Cinieri è ricorso al crowdfunding, metodo di finanziamento dal basso che gli ha dato la possibilità di portare Doris e Hong in Cina.

[Clicca qui per vedere il documentario in versione integrale gratis, solo oggi martedì 21 giugno]

Doris & Hong si discosta dai tuoi precedenti lavori realizzati in estremo oriente. Perché questa volta la scelta di riportare una storia a metà tra Italia e Cina? Una storia vera peraltro…

Leonardo: I miei precedenti progetti erano al cento per cento asiatici, come lo sono quello realizzato in Corea e quello che sto portando avanti nel Sud-Est asiatico. Doris & Hong è differente perché nasce da una mia voglia di viaggiatore in Asia, ma pur sempre occidentale. A lavorare al cento per cento asiatico ad un certo punto ti rendi conto che hai delle mancanze; ti manca la tua cultura che non puoi mettere in quei progetti (nel mio caso, perché parlavo del cinema di quei paesi). E ho sempre avuto in mente un progetto che fosse un ponte tra le due culture. Non sapevo in che forma; avevo l’idea di farlo, l’idea di due persone. Non sapevo se fare un film o un documentario, avevo però già scritto alcuni pensieri.

Tutte queste idee si avvicinavano a un rapporto tra due persone, che potevano essere due anziani così come i protagonisti di una storia d’amore. E poi invece la trama è arrivata a me come per caso. Mi sono trovato la storia già pronta. Doris la conoscevo perché è la madre di una mia amica. Una sera ci siamo incontrati a cena e c’era anche Hong. Per la prima volta le ho viste insieme, e ho visto qualcosa di veramente speciale. La cosa strana è che anche loro due si vedevano speciali.

Quando sono andato a chiedere singolarmente a ognuna di loro se voleva fare il documentario Doris mi ha rivelato che stava tenendo un diario in cui annotava tutto quello che avveniva tra lei e Hong perché lo trovava straordinario. Anche Hong era entusiasta all’idea di girare un documentario sulla loro vita insieme. In fondo è come se fossero state loro a suggerirmi la storia e io mi sono limitato a coglierla. Ci siamo trovati tutti e tre curiosi l’uno dell’altro. E’ nato tutto in maniera molto naturale dalla semplice curiosità.

E dal punto di vista tecnico quanto è finzione e quanto invece è realtà?

Leonardo: E’ tutto realtà, soltanto abbiamo pensato di ricreare alcune cose particolarmente interessanti che mi ero perso, o che loro avevano fatto in mia assenza. Me le hanno raccontate e le abbiamo simulate utilizzando le stesse parole che si erano dette. Come ad esempio la scena in cui Doris insegna a Hong come fare un uovo al tegamino, presente anche nel trailer. L’uovo, che poi è simbolico nella nostra cultura per la sua semplicità, a Hong sembrava una cosa incomprensibile perché in Cina non sono più abituati a cucinare a casa nel senso tradizionale. Ormai comprano quasi tutto fuori. Ecco che allora quella scena abbiamo deciso di rifarla e inserirla nel documentario perché aveva un suo significato.

Perché hai deciso di ricorrere al crowdfunding? Avevi già usato questo sistema?

Leonardo: No era la prima volta che lo usavo. Ho sempre pensato che per il crowdfunding fosse necessario un progetto giusto per il web. Avevamo deciso di girare la seconda parte della documentario in Cina per far conoscere a Doris la famiglia di Hong, ma non c’erano i soldi per poterlo fare. Il crowfunding era l’unica soluzione. Siamo andati on line e abbiamo fatto due campagne di due mesi ciascuna. La prima era focalizzata soltanto sul web; siamo stati seguiti da piccoli giornali, mentre alcuni blog hanno segnalato il nostro progetto. Abbiamo coinvolto amici e parenti. Però con internet, in Italia, il crowdfunding funziona male. La gente ha ancora paura di fare pagamenti on line, e questo tipo di mentalità è molto penalizzante.

Dopo i primi due mesi in cui abbiamo tentato la via on line, mi sono accorto che la cosa però non andava molto bene. Eravamo riusciti a raccogliere soltanto circa 1000 euro, mentre avevo calcolato che per andare in Cina ce ne servivano sui 5000. Così abbiamo avviato una seconda campagna con un crowdfunding live; ovvero non più web, ma eventi dal vivo. Un ritorno alla tradizione: scatola ed evento. Si dice quello che si fa e la gente mette i soldi dentro. Quello che si faceva una volta lo abbiamo adattato al modello crowdfunding. Abbiamo organizzato eventi dove io e Hong ci improvvisavamo attori, leggevamo poesie dal vivo accompagnati da un suonatore di erhu, proiettavamo il trailer del documentario e poi tutti e tre raccontavamo la storia al pubblico. Abbiamo tenuto due spettacoli, una performance e una piccola mostra in una galleria d’arte. E con questo sistema siamo riusciti a raggiungere la somma necessaria.

Da dove sono arrivati i contributi più sostanziosi?

Leonardo: Perlopiù da amici, parenti e amici degli amici. Agli eventi però ha preso parte anche gente sconosciuta. Mentre su internet sono stati pochissimi gli estranei a contribuire, al crowdfunding live la partecipazione è stata maggiore.

Avete dovuto utilizzare il crowdfunding per problemi di fondi. Qual’è stata la risposta da parte delle istituzioni (italiane e non)?

Leonardo: Abbiamo provato con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC), ma non siamo passati. La Roma & Lazio Film Commission, invece, non ha soldi per via dei problemi che la regione ha affrontato negli ultimi tempi. La mia casa produttrice, la Blue Film, si occupa della parte tecnica: gira e cura sopratutto la post-produzione, ovvero il montaggio. Questo, in sostanza, è quello che ci offre.

Per il documentario coreano ho avuto come sponsor la Film Commission coreana di Seul, mentre la compagnia aerea mi ha dato tutti i biglietti gratis, quindi non ho avuto problemi di soldi. L’attuale progetto nel Sud-Est asiatico è finanziato dal governo di Singapore, trattandosi di una coproduzione tra Italia e Singapore. Doris & Hong invece è nato in Italia, solo che qui non abbiamo trovato fondi e in Cina non avevamo contatti. Alla fine ci siamo dovuti muovere da soli.

Quali prospettive può avere il documentario a livello di distribuzione?

Leonardo: Quando siamo stati a Dalian la madre di Hong ha organizzato degli appuntamenti con i giornalisti e ci ha presentato una persona della televisione locale. Questa persona ha fatto un servizio di tre minuti su di noi e ha detto di essere interessata all’acquisto del nostro progetto e a mandarlo in onda. A Pechino invece l’Istituto di Cultura italiano ha dato la sua disponibilità ad organizzare un evento per sponsorizzare il documentario all’interno della sua struttura, e vorrebbe invitare dei distributori e delle televisioni cinesi per vedere come poter promuoverlo in Cina.

Personalmente, il primo canale che mi interessa come trampolino di lancio è un festival internazionale di qualità. Il primo festival è quello che segna il tuo prodotto, partecipare a uno mediocre vorrebbe dire bruciarsi sul mercato. Per esempio, Sacro GRA è andato bene nelle sale solo perché era stato presentato a Venezia. Il secondo step consiste nel trovare un distributore internazionale, perché è importante che il documentario circoli almeno in Italia e Cina, trattandosi di un progetto che promuove uno scambio tra le due culture. Intanto Rai 4 e Doc3 pare lo vogliano vedere….vedere però…

Come sarà il dopo Doris & Hong?

Leonardo: Doris & Hong è stato un esperimento; il primo ponte tra due culture, e va a interrompere questa via che ho intrapreso dei documentari, entrando un po’ nel mondo della fiction. Anche per il modo in cui è stato girato; abbiamo voluto che sembrasse tutto molto reale, cercando di far parlare Doris e Hong, seguendo la loro vita nel quotidiano. Sono situazioni ricostruite, ma in realtà sono reali. Questo ormai è il genere che va per la maggiore, che è poi quello di Tir, il vincitore del Festival di Roma. La mia intenzione futura è sempre quella di continuare a costruire dei ponti.

Sull’idea di Doris & Hong avevo già dietro una sceneggiatura tra Italia e Cina. Ce l’ho pronta e ora sto cercando di produrla. Ancora una volta si tratta della storia tra due personaggi, un italiano e un cinese. Un altro progetto che ho in mente è quello di raccontare la comunità filippina a Roma. Pensavo alla storia di una famiglia emigrata in Italia, perché tutte le famiglie filippine -come, d’altraparte, quelle cinesi- sono divise a metà tra chi rimane in patria e chi viene da noi a lavorare. Potrebbe essere interessante studiare questa dualità.

Il Cinema indipendente in Asia è giovane ma cresce a vista d’occhio. Hai avuto modo di conoscerlo direttamente durante i tuoi viaggi?

Leonardo: In Asia ho avuto rapporti con i grandi registi che sono stati a Berlino, Cannes e Venezia e che poi hanno vinto, come quelli della Corea e del Sud-Est asiatico. Sono stato da loro perché rappresentano i maestri del cinema non solo per la nuova generazione asiatica, ma anche per gli occidentali che li prendono come fonte d’ispirazione. Osservando loro posso capire anche i piccoli, perché i piccoli si ispirano a loro volta ai grandi. Sono loro che cambiano il linguaggio, ed essendo grandi registi, creano un linguaggio che è universale, che rompe lo schema asiatico e occidentale arrivando a tutti.

Mi interessano perché fanno un cinema che non è domestico, che non si chiude nel paese di provenienza, ma che supera le barriere geografiche. Tant’è che ai festival riescono a vincere persino nella competizione con gli occidentali. Sono loro che cambiano il cinema mondiale, anche se poi a livello di distribuzione è un disastro…

Ora che sto lavorando nel Sud-Est asiatico noto le profonde differenze con la Corea che ha invece un tipo di distribuzione sullo stile americano, enorme e potente. La Corea copia molto l’entertainment Usa, avendone subito la dominazione. I paesi del Sud-Est asiatico invece sono i paesi sottosviluppati, vengono considerati ancora terzo mondo, anche se in realtà sono in rapido sviluppo, ed è per questo che sono interessantissimi. E’ lì che nascono i nuovi filmmaker.

Questi non hanno alle spalle una struttura cinematografica di produzione come la nostra, gigantesca, con costi altissimi e leggi che bloccano il produttore e il modo di fare film. Senza il peso di una tradizione di cinema alle spalle sono molto più liberi. Loro nascono sopratutto con l‘era digitale, quindi con telecamere molto leggere e con queste riescono a girare film straordinari semplicemente perché hanno grandi idee. Sono le idee che contano.

I film americani di oggi sono tutti effetti speciali, non hanno più idee, sono lontani dalla realtà, tanto che non riesci più a entrare in contatto con i personaggi. Invece il neorealismo -che tutti ci insegnano ha cambiato il cinema mondiale- adesso è in Asia. Oggi il Sud-Est asiatico è paragonabile al nostro dopoguerra, quando c’era fermento, energia e voglia di ricostruire. Quando erano tutti poveri, eppure tutti cercavano di mettere un mattone per costruire il futuro economico del paese. Il cinema indipendente di oggi è in Asia.

Possibilità di far arrivare tutto questo da noi?

Da noi il problema è culturale. Basta vedere le news; già soltanto il telegiornale potrebbe aiutare ad aprire la mente alle persone, invece che focalizzarsi sui nostri politici. Il cinema d’altra parte è una finestra sul mondo, ma se la gente non è abituata a vedere oltre i confini nazionali…Sicuramente il mezzo di internet può aiutare il processo di apertura.

Ormai è possibile contattare i nuovi registi [asiatici] direttamente su Facebook, tutta la loro produzione è sul web, non come i nostri che sono inavvicinabili. A livello di distribuzione, poi, la rete è utilissima perché qui non sono più i governi a decidere cosa far passare, ma è il singolo cittadino a scegliere. Oggi il mondo sta cambiando: ci troviamo nel pieno di una crisi generazionale, una crisi d’identità dell’uomo, delle varie culture, dei governi. E il web è l’unico mezzo che dà al cittadino la libertà di scegliere.

Passiamo a Hong. Qual’è stato l’impatto con l’Italia e con una cultura completamente diversa?

Hong: Mi sono resa conto che ci sono profonde differenze. In Cina si dà molta importanza al denaro, alla situazione economica di una persona, mentre la cultura viene messa in secondo piano. Qui, invece, a prescindere dallo status sociale di un individuo, la cultura viene tenuta in grande considerazione perché è qualcosa che tutti dovrebbero avere. Ho apprezzato il ritmo di vita italiano più rilassato, molto meno frenetico rispetto a quello delle città cinesi. Penso che gli italiani siano più felici di noi per questo; perché hanno più tempo da dedicare a sé stessi.

Hai intenzione di rimanere a vivere in Italia o pensi di tornare in Cina?

Hong:  In un immediato futuro non credo di tornare in Cina, vorrei vivere all’estero, non necessariamente in Italia, ma comunque in un altro paese. Perché vivere lontano da casa ti dà maggiore libertà di scelta. Nel paese di nascita siamo tutti influenzati dalle regole che ci impone la società, dalle aspettative che le nostre famiglie proiettano sul nostro futuro. Andando via si può scegliere quello che veramente si desidera fare della propria vita.

Doris, sicuramente il fatto di essere nata in un altro paese la rende una persona "speciale", più portata allo scambio culturale con un paese così diverso come la Cina. Mi parli dei suoi anni in Eritrea. So che avete contattato l’Istituto Luce per inserire nel documentario dei video d’epoca sugli italiani espatriati in Africa nel 1936, sotto il regime fascista…

Doris: Al tempo mio padre e mia madre erano giovani sposi. I loro genitori e nonni avevano dei piccoli alberghi vicino Bergamo, e loro s’erano conosciuti così. Il loro futuro sarebbe stato quello di rimanere a lavorare nelle attività di famiglia, ma decisero di approfittare della campagna di incentivi lanciata da Mussolini per spingere gli italiani ad andare a popolare le colonie africane. Così i miei genitori andarono in Eritrea con i loro due figli piccoli per aprire un albergo. L’idea era quella di restare due-tre anni. Ve ne rimasero ventidue. Nel frattempo nacquero altri figli, tra cui io.

Abitavamo ad Asmara, la capitale; una città che ricorda l’architettura razionalista di Sabaudia, a 2200 metri di altitudine, con una temperatura meravigliosa in mezzo ad una natura rigogliosa. Gli eritrei sono una popolazione molto mite e amabile. Nonostante, alla fine dell’800, la precedente campagna italiana fosse sfociata in un massacro, gli anni avevano fatto dimenticare tutto e gli italiani, come colonizzatori, non erano così razzisti come lo sono oggi verso gli extracomunitari.

Poi mio padre ebbe un presagio: temeva una guerra tra l’Eritrea e l’Etiopia per ragioni etniche e di confini, così decidemmo di tornare in Italia. Il conflitto scoppiò due anni dopo la nostra partenza, nel 1958. Il trasferimento è stato un grandissimo trauma perché fino a quel momento avevamo vissuto in una torre d’avorio, in una terra senza conflitti, con una natura bellissima.

Quando sbarcammo a Napoli avevo 15 anni ed era la mia prima volta in Italia. Proseguimmo verso nord; mio padre cercò un albergo prima a Bergamo, poi in Piemonte, ma non ci piaceva molto…la verità è che non ci piaceva più stare in Italia.

Come le è venuto in mente di prendere una ragazza cinese in casa?

Doris:  Dopo che mia figlia se ne è andata di casa ho avuto con me una ragazza turca per due-tre mesi. Sono una persona molto curiosa, ed essendo nata all’estero alla fine mi trovo meglio con gli stranieri che con gli italiani. L’incontro con Hong è stato come dettato dal destino. Il giorno in cui ci dovevamo accordare perché venisse a vedere la casa mi chiamò sul cellulare l’amico che la stava ospitando per chiedermi indicazioni. Alla fine della telefonata scoprii di essere casualmente proprio sotto il suo portone. Così Hong è scesa dopo nemmeno mezzora e lì ci siamo incontrate per la prima volta. Penso esista una rete di messaggi extrasensoriali e subliminali che a noi sfugge. Doveva restare pochi mesi, ma alla fine Hong è rimasta con me un anno e mezzo.

La sua prima volta in Cina. Il contatto con un altro paese ci dà la possibilità di conoscere un’altra cultura ma anche di conoscere meglio noi stessi. Cosa le ha svelato di lei la Cina?

Doris: E’ stata un’esperienza positiva, anche se, a dire il vero, la Cina non rientrava tra i miei obiettivi futuri di viaggio. Il mio interesse per quel paese si limitava alla filosofia, alla cucina e al taiqi, che pratico da oltre dieci anni. Il soggiorno a Dalian è stato tutto filtrato dalla famiglia di Hong che ci ha permesso di avere contatti con la popolazione cinese "vera".

Sicuramente questo viaggio, così come la convivenza con Hong, mi hanno fatto scoprire una tenerezza verso i cinesi, un’accoglienza dell’anima che non avevo. O meglio, che avevo verso gli africani -perché ci avevo vissuto insieme per anni- ma che non provavo per gli asiatici. Ti rendi conto che il mondo è uno, e che siamo veramente tutti uguali. Ricordo in Cina le vecchiette sedute sulle panchine nei parchi, magari di altre estrazioni sociali, ma lo stesso curiosissime di comunicare con te in qualche modo. E alla fine con un tocco, una carezza ci capivamo pur parlando due lingue diverse.

*Alessandra Colarizi, classe ’84, bazzica l’Estremo Oriente dal 2005, anno in cui decide di chiudere per sempre i tomi di diritto privato e aprire quelli di cinese. Si iscrive alla Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Roma La Sapienza e nel 2010 consegue la laurea magistrale. In questi anni coltiva il suo amore per cineserie e simili, alternando lo studio sui libri a frequenti esplorazioni attraverso il continente asiatico. Abbandonata la carriera accademica, approda alla redazione di AgiChina24, trascorre diversi mesi presso lo Studio Legale Chiomenti di Pechino, infine rimpatria. Oggi collabora da Roma con l’agenzia di stampa cinese Xinhua.