Cina – La ‘nuova normalità’ per gli operai

In by Simone

A più di trent’anni dall’inizio delle riforme di mercato, gli operai cinesi riscoprono i loro diritti. Non ci sono dati ufficiali, ma secondo il China Labour , un’ong di Hong Kong impegnata nella difesa dei diritti dei lavoratori cinesi, gli scioperi e le proteste di gruppo dei lavoratori dall’inizio dell’anno sono stati già 650 contro i 202 registrati nello stesso periodo del 2014. Una nuova gatta da pelare per Xi Jinping.
Una crescita impressionante soprattutto se la si osserva su un lasso di tempo più ampio: 1378 l’anno scorso, contro i 656 del 2014 e gli appena 185 del 2011. Il punto è che l’economia cinese cresce meno velocemente e sta cambiando. E anche i lavoratori non sono più quelli di una volta. Un recente sondaggio dell’Ufficio nazionale di statistica, ha definito l’attuale forza lavoro come più vecchia, educata e cara degli anni precedenti. L’età media ha superato i 38 anni, e il salario mensile i 400 euro. E il 24 per cento ha un diploma di scuola superiore o addirittura una laurea. Ma di lavoro ce ne è sempre meno.

I piccoli e medi imprenditori che hanno fatto fortuna con la Cina “fabbrica del mondo” lamentano un venir meno delle condizioni che hanno permesso loro di fare fortuna. Oggi i governi locali chiedono più tasse e gli operai sono meno “flessibili”. Anche per questo sempre più imprenditori scommettono sul lavoro meccanizzato.  Quest’anno, il governo del Guandong ha annunciato che investirà 135 miliardi di euro nei prossimi tre anni per sostituire gli operai con i robot. E già un sondaggio condotto tra i lavoratori della Foxconn all’inizio di quest’anno ha dimostrato come più del 30 per cento degli operai teme che le macchine gli ruberanno presto il lavoro.

Nel frattempo nascono gruppi che si organizzano per portare avanti autonomamente le lotte sindacali e sempre più spesso hanno come rappresentati ex operai che ben conoscono clima e i disagi del lavoro in fabbrica. Un fenomeno in crescita soprattutto nella ricca regione sudorientale del Guangdong, dove si registra oltre il 20 per cento di tutte le proteste e un crescente clima di attacchi e intimidazioni ai danni degli attivisti.

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