Caso marò: un po’ poco per chiamarla «apertura»

In by Simone

La strada del dialogo diplomatico sull’asse Roma – New Delhi pare ancora in salita. La ministra degli esteri Swaraj ha ammesso che il governo indiano sta valutando una proposta di conclusione consensuale del caso marò inviata dall’Italia. Ma tutto rimane comunque subordinato al giudizio della Corte suprema.
Mercoledì 18 dicembre la ministra degli Esteri indiana Sushma Swaraj ha risposto per iscritto a un’interrogazione parlamentare avanzata da M.P. Achuthan – deputato del Kerala in forze al Partito comunista indiano (Marxista) eletto a rappresentare lo stato meridionale indiano alla Rajya Sabha, la Camera Alta del parlamento indiano – relativa al caso dei due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

Achuthan chiedeva se corrispondesse al vero l’indiscrezione che il governo italiano avesse «cercato una soluzione consensuale relativa al caso dei due marines italiani accusati dell’omicidio di due pescatori [Ajesh Binki e Valentine Jelastine, ndr] al largo delle coste del Kerala nel 2012» e, in caso di risposta affermativa, quale fosse stata la reazione del governo centrale.

Swaraj, in una stringatissima risposta, ha confermato l’esistenza di questa proposta italiana che, al momento, è al vaglio del governo, mentre tutto il caso è «sub judice dell’Onorevole Suprema Corte indiana».
La notizia, battuta e arrivata inizialmente solo in Italia – introvabile sui media indiani nella giornata del 19, il che dà la misura dell’apprensione locale rispetto al caso Enrica Lexie – ha rinnovato la speranza in un dialogo sull’asse Roma – New Delhi ancora in corso, nonostante lo stop della Corte suprema a un prolungamento della degenza di Latorre in Italia e al ritorno a casa di Salvatore Girone per le vacanze natalizie.

Nei mesi scorsi l’esistenza di una proposta indirizzata al governo indiano era stata indicata a mezza voce anche dalla stampa italiana, seguita da un’esclusiva del quotidiano indiano Economic Times.

Ora sappiamo oltre ogni lecito dubbio che sul tavolo del primo ministro Narendra Modi c’è una proposta di via d’uscita avanzata dall’Italia: un documento del quale non si conoscono i contenuti, ma che il governo indiano «sta valutando».

Nel burocratese asettico della politica indiana è importante pesare molto bene le parole. E Swaraj, al momento uno dei ministri degli Esteri meno influenti nella storia dell’India indipendente, in poche righe ha comunque confermato la posizione espressa già qualche mese fa da New Delhi: al di là di ogni dialogo o proposta proveniente dall’Italia, la conclusione della vicenda Enrica Lexie è prima di tutto subordinata al giudizio della Corte suprema. È una questione legale e come tale, ci tiene a chiarire New Delhi, sarà gestita. Un po’ poco per parlare di «apertura all’Italia».

In questi due anni e dieci mesi, i due governi indiani che si sono succeduti alla guida del Paese non hanno mai dato adito a speculazioni su possibili soluzioni extra-giudiziali del caso, riaffermando ogni volta il primato della Corte suprema – l’organo dello Stato indiano più rispettato e stimato nel Paese – nella gestione dell’intera vicenda.

Da quando nel gennaio del 2013 il faldone delle indagini sulla morte di Binki e Jelastine – colpiti, secondo il rapporto della scientifica indiana, da colpi esplosi da fucili a bordo della petroliera italiana – è passato dalla Corte del Kerala a quella federale a New Delhi, l’impressione è che lo spazio di manovra per la diplomazia sia andato via via restringendosi, facendo sprofondare il procedimento penale nelle sabbie mobili di continui rinvii ora cercati dalla difesa italiana, ora banalmente fisiologici nella farraginosa macchina burocratica indiana.

Al silenzio della politica e della stampa indiana si aggiunge quello della comunità internazionale, eccezion fatta per la ministra degli Esteri Ue Federica Mogherini che, per ovvi motivi, ha alzato i toni minacciando ripercussioni sui rapporti tra Europa e India.

Roma, al momento, pare piuttosto isolata nel braccio di ferro con New Delhi, e la pressione interna sull’esecutivo guidato da Matteo Renzi inizia a farsi sentire. Il neo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, aumentando i dubbi circa l’efficacia di questa «nuova fase» diplomatica, due giorni fa in un’intervista esclusiva rilasciata a Rainews24 ha ammesso che i risultati portati dai contatti politici tra Italia e India sul caso marò sono «pessimi».

Sbloccare l’impasse in Corte suprema sembra sia l’unica via percorribile, se si vuole ancora insistere sulla strada del dialogo. Altrimenti, rimane la carta dell’arbitrato internazionale, che con le sue tempistiche dilatate e l’incertezza di un esito favorevole all’Italia, rischia solo di allontanare ancora di più la fine delle «ostilità» tra India e Italia.

[Scritto per il manifesto; foto credit: in.com]